Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27862 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/12/2011, (ud. 18/11/2011, dep. 20/12/2011), n.27862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

– G.G. (c.f. (OMISSIS));

– V.L. (c.f. (OMISSIS));

parti entrambe rappresentate dall’avv. Lachin Roberto in unione

all’avv. Zacchia Riccardo ed elettivamente domiciliate presso lo

studio del secondo in Roma, via Attilio Regolo n. 12/d, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

– B.B. (c.f. (OMISSIS)) rappresentato e difeso

dagli avv.ti Seguso Elisabetta e Maurizio Messina ed elettivamente

domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via Arezzo n. 38,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

S.r.l. C.I.M. – Costruzioni Industriali Mestrine – in liquidazione

(p. iva (OMISSIS)) in persona del liquidatore B.C.,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Seguso Elisabetta e Maurizio

Messina ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in

Roma, via Arezzo n. 38, giusta procura in calce al controricorso;

– altro controricorrente –

avverso la sentenza n. 1065/2010 della Corte di Appello di Venezia,

pubblicata il 12/05/2010 e notificata il 16/07/2010;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza del 18/11/2011

dal consigliere designato Dott. Bruno Bianchini;

udito il procuratore della parte ricorrente, avv. Riccardo Zacchia,

che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito il procuratore della parte contro ricorrente, avv. Antonio

Matonti – a ciò abilitato da delega dell’avv. Maurizio Messina – che

ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

IN FATTO

– rilevato che il Consigliere designato ha ritenuto d’avviare la trattazione in Camera di consiglio redigendo la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c.:

” G.G. e V.L. citarono innanzi al Tribunale di Venezia B.B.; la srl Organizzazione Commerciale B. B. e la srl C.T.M. – Costruzioni Industriali Mestrine -, chiedendo che fosse accertata la difettosa esecuzione di opere su un proprio immobile in (OMISSIS) e che i convenuti, in via solidale, fossero condannati a pagare la differenza tra quanto ricevuto quale corrispettivo dell’appalto e quanto effettivamente dovuto nonchè quanto esborsato per il completamento dei lavori.

I convenuti si costituirono chiedendo il rigetto delle domande perchè infondate, eccependo preliminarmente la carenza di legittimazione passiva del B. in proprio o, in alternativa, delle due società.

Interrotto il giudizio per fallimento della Organizzazione Commerciale, lo stesso venne riassunto nei confronti delle altre parti convenute ; eseguita consulenza tecnica sui lavori in contestazione, l’adito Tribunale accolse per quanto di ragione la domanda dei G. – V. contro il B. e la srl CIM, con conseguente loro condanna solidale. La Corte di Appello di Venezia, accogliendo il gravame della srl CIM – ma non quello del B. – riformò la decisione del primo giudice nel capo di condanna di detta società.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i G. – V., sulla base di tre motivi, cui hanno resistito, con separati controricorsi, la srl CIM ed il B..

Diritto

IN DIRITTO

1 – Con il primo motivo viene denunziata la ” violazione e falsa applicazione delle norme ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 115 c.p.c., all’art. 1326 c.c. e all’art. 2697 c.c.” censurando l’interpretazione che la Corte veneziana aveva inteso seguire del “preventivo spesa” 29/4/1988 redatto dal solo B. B., non attribuendo allo stesso – pur se sottoscritto da essi esponenti – valore di proposta contrattuale accettata e disconoscendo quindi che detto documento potesse costituire il titolo per l’obbligazione personale del medesimo B., in solido con la società CIM , pur dallo stesso all’epoca rappresentata; si dolgono altresì i ricorrenti che non siano state correttamente valutate – nel senso da essi patrocinato – le altre emergenze di causa, quali le quietanze di pugno del B. sulle matrici emesse dagli esponenti, a fronte di fatture emesse dalle due società.

2 – Con il secondo motivo le parti ricorrenti fanno valere la “Erronea e/o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in merito alla eccepita carenza di legittimazione passiva del sig. B.B.;

violazione o falsa applicazione delle norme ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento all’art. 115 c.p.c. e art. 1326 c.c.” assumendo – a completamento dell’argomentazione contenuta nella prima censura – che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto esistente un preventivo, sottoscritto il 29/4/1988 dal B., e una proposta contrattuale – sottoscritta solo da essi ricorrenti – il successivo 12/10/1988.

3- Con il terzo motivo ci si duole della ” violazione e falsa applicazione delle norme ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento all’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. “sottoponendo a critica l’affermazione, contenuta nella gravata decisione, secondo la quale non sarebbe stato assolto, dagli esponenti, l’onere di dimostrare l’esistenza di un valido titolo contrattuale nei confronti anche del B., non correttamente valutando il preventivo del 29/4/1988 che, costituendo rituale proposta contrattuale, avrebbe onerato il B. medesimo di dimostrare: sia la propria estraneità al negozio della cui esecuzione si controverteva e, in linea con la tesi sostenuta in grado di appello, sia che avrebbe agito per delega delle società.

4 – Ritiene il relatore che i tre motivi – da esaminare congiuntamente in quanto espressione di diversi aspetti di una medesima critica alla decisione impugnata – siano inammissibili.

4/a – Innanzi tutto va sottolineato che i ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – art. 366 c.p.c., n. 6 – non hanno riportato il contenuto dei due documenti indicati nell’atto introduttivo del presente giudizio, rendendo dunque impossibile un controllo da parte della Corte circa la fondatezza delle critiche sopra esposte.

4/b – In secondo luogo, deducendosi la non corretta valutazione delle intese negoziali intercorse – per quello che qui interessa- tra il B. e i ricorrenti, la censura si riduce ad una diversa valutazione di merito – inibita in sede di legittimità se congruamente motivata (sul punto v. infra)- che si contrappone a quella del giudice dell’appello, senza riferimento alle regole di ermeneutica – artt. 1362 e segg. cod. civ.- che sarebbero state violate.

4/c – Ritiene poi il relatore che le parti ricorrenti non abbiano fornito argomenti che consentano di derogare al consolidato indirizzo interpretativo secondo il quale il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (vedi Cass. 7394/2010, cui adde: Cass. 15499/04, 16312/05, 10127/06 e 4178/07): nel caso in esame non si contesta la portata astratta dell’art. 1326 cod. civ. ma si deduce che la fattispecie concreta – non delibabile per quanto detto sub a – erroneamente non sarebbe stata ricondotta allo schema legale.

4/d – Quanto poi alla violazione dell’art. 115 c.p.c., ritiene questo relatore che non sia stato specificamente indicato in qual modo la Corte distrettuale avrebbe disatteso i principi di applicazione di tale norma – in ipotesi: ponendo a base della decisione fatti ritenuti notori o la propria scienza personale o, anche, dando ingresso a prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè discussi – emergendo quindi, nuovamente che la censura era costituita dalla ritenuta non condivisibilità del percorso logico seguito dal giudicante e non già dal non prestato ossequio alla regola juris richiamata.

5- Quanto al vizio di motivazione ritiene il relatore che i ricorrenti non abbiano esposto valide ragioni per far deflettere la Corte dall’ormai costante indirizzo interpretativo secondo il quale “il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti”. (così Cass. 10657/2010; cui adde: Cass. 4178/2007);

5/a – Nella fattispecie -evidente essendo che non può essere censurata l'”erroneità” della motivazione, limitando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 il controllo della Corte alla motivazione insufficiente, omessa o contraddittoria – le considerazioni sopra esposte sub 4/a e 4/b permettono di escludere che legittimamente i ricorrenti abbiano fatto emergere delle aporie logiche nel ragionamento della Corte veneziana, dal momento che disconoscere carattere di proposta al “preventivo” del 29/4/1988 non si pone in contrasto con il riconoscimento di tale qualità alla successiva proposta del 12/10/1988.

6 – Dal momento che la Corte veneziana si è attenuta ai principi di diritto richiamati ed ha dato logica motivazione delle sue scelte interpretative, è convincimento del relatore che il ricorso è idoneo ad essere trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, artt. 376 e 380 bis c.p.c., per quivi esser dichiarato manifestamente infondato”.

La relazione è stata ritualmente comunicata alle parti ed al P.M. che, in sede di adunanza, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ritiene il Collegio di poter integralmente recepire tali conclusioni, dal momento che non sono state depositate dalle parti ricorrenti ulteriori memorie dalle quali trarre argomenti di riflessione che possano incidere sulle argomentazioni esposte nella relazione suddetta.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna parti ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6^ sezione della Suprema Corte di Cassazione, il 18 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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