Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2786 del 06/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2786 Anno 2018
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FEDELE ILEANA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da
D’Agostino Antonio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Patrizia
Pelliccioni e Alberto Buzzi, elettivamente domiciliato presso il loro
studio, sito in Roma, via dei Gracchi 209
– ricorrente contro
Trenitalia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. Gerardo Vesci, elettivamente
domiciliata presso il suo studio, sito in Roma, via di Ripetta 22
– controricorrente avverso
la sentenza n. 19315/2016 della Corte Suprema di cassazione,
depositata in data 29 settembre 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 6 dicembre 2017 dal Consigliere Ileana Fedele.

Data pubblicazione: 06/02/2018

Rilevato che:
questa Corte ha respinto il ricorso di Antonio D’Agostino proposto
avverso la sentenza di merito di rigetto dell’impugnazione del
licenziamento intimatogli da Trenitalia s.p.a. in data 22 novembre
2011;

ad unico motivo;
la Trenitalia s.p.a. resiste con controricorso;
è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis
cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al
decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
il ricorrente ha depositato memoria.
Ritenuto che:
il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;
nel ricorso per revocazione si prospetta come unico motivo l’errore di
fatto in cui sarebbe incorsa la Corte per aver ritenuto che l’azienda
avesse motivato il licenziamento con l’intollerabile decorso di oltre
sette anni di inesecuzione della prestazione lavorativa per fatto
imputabile al lavoratore, mentre dalla letterale datoriale di recesso
emergerebbe chiaramente che il motivo di licenziamento addotto
risiederebbe non solo nel lungo tempo trascorso di assenza dal
servizio ma anche e soprattutto nel perdurare della condizione
impeditiva della prestazione individuata dallo stesso datore di lavoro
nella lettera di recesso con il ricovero presso ospedale psichiatrico
giudiziario, errore di fatto decisivo ai fini della valutazione circa la
legittimità del recesso, in quanto la Corte non si era pronunciata sul
profilo del perdurare della condizione impeditiva della prestazione,
venuta meno per effetto della revoca della misura di sicurezza del
ricovero in OPG e della sua sostituzione con la libertà vigilata;
il ricorso è inammissibile in quanto non prospetta un errore di fatto
riconducibile al vizio revocatorio di cui all’art. 395, n. 4, cod. proc.

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il D’Agostino chiede la revocazione della decisione con ricorso affidato

civ., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391
bis cod. proc. civ.;
come è stato osservato (Cass. 03/04/2017, n. 8615) «questa Corte
ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395,
n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, si

obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato
ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo
incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero
l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi
risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore
meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività
valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite
nella loro oggettività; […] ne consegue che non è configurabile
l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente
la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di
un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una
viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo
esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di
giudizio formatisi sulla base di una valutazione»;
nella specie si prospetta come vizio revocatorio l’omessa
considerazione del perdurare della condizione impeditiva della
prestazione, come motivo addotto dal datore di lavoro per giustificare
il licenziamento e non considerato nella sentenza; tuttavia, dalla
lettura della stessa emerge chiaramente che la Corte ha preso in
considerazione la censura che costituisce il motivo dell’odierna
richiesta di revocazione («con il primo motivo il ricorrente […]
lamenta ancora che nella lettera di licenziamento il motivo addotto a
giustificazione del recesso consisteva nella misura di sicurezza del
ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (d’ora in avanti, OPG) per
anni cinque disposta dall’autorità giudiziaria, e che nel perdurare di

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configura come una falsa percezione della realtà, una svista

tale condizione la società non era più in grado di conservargli il posto
di lavoro.»: p. 3 sentenza), per ritenere che il licenziamento intimato
era legittimo già in relazione all’intollerabile decorso di oltre sette
anni di inesecuzione della prestazione lavorativa (p. 5 sentenza),
elemento pure indicato nella lettera di licenziamento, il cui contenuto

ne consegue che non è apprezzabile alcun errore di percezione,
trattandosi della valutazione resa dalla Corte in ordine alla legittimità
del licenziamento;
pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza;
in relazione all’esito del ricorso e considerata l’epoca di introduzione
del procedimento, ricorrono i presupposti per l’applicazione del
disposto di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre
2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che
liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed
agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 dicembre 2017
residente
tro Curzio)

è stato espressamente riportato (p. 4 sentenza);

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