Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27858 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/12/2011, (ud. 18/11/2011, dep. 20/12/2011), n.27858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.r.l. T.P.A. -Trading Piattaforme Aeree – (già: s.r.l. Piattaforme

Aeree) in persona del legale rappresentante, l’amministratore unico

sig. F.C., rappresentata e difesa dall’avv. Esposito

Gino ed elettivamente domiciliata con lo stesso, presso lo studio

legale Centomiglia, in Roma, via Pelagio Primo n. 10, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

– S.r.L Officine Meccaniche LABORANTI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 388/2010 della Corte di Appello di Trieste,

pubblicata il 30/08/2010;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza del 18/11/2011

dal consigliere designato Dott. Bruno Bianchini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice.

Fatto

IN FATTO

– rilevato che il Consigliere designato ha ritenuto d’avviare la trattazione in Camera di consiglio redigendo la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c.:

“La srl ITA Trading Piattaforme Aeree -già Piattaforme Aeree- impugnò innanzi alla Corte di Appello di Trieste il lodo arbitrale reso il 30 giugno 2009 in Trieste, con il quale l’arbitro unico (nominato dal Presidente della Camera di Commercio di Trieste giusta la clausola compromissoria contenuta nel contratto di appalto) aveva deciso la controversia insorta tra la srl Officine Meccaniche Laboranti appaltatrice, su incarico della TPA, della costruzione di 80 piattaforme aeree: a – risolvendo il contratto per inadempimento di essa esponente; b – dando altresì atto della parziale esecuzione del contratto (relativamente a 6 dei 10 lotti in cui l’appalto era stato suddiviso) da entrambe le parti e della esistenza di un residuo credito della Laboranti per Euro 43.395,60; c – riconoscendo altresì come dovuti gli importi di Euro 25.786,37 e di Euro 99.404,00, rispettivamente: per le ore lavorate e per i materiali impiegati relativamente agli stati di avanzamento relativi al settimo ed all’ottavo lotto.

La Corte distrettuale, con sentenza n. 388/2010 respinse l’impugnazione e regolò le spese del procedimento.

Il giudice del merito pervenne a tale conclusione negando la fondatezza dei motivi del gravame diretti a far valere: a – la nullità del lodo in quanto si sarebbe trattato di lodo irrituale – giudicando che la relativa questione non rientrava nelle specifiche ipotesi di nullità del lodo- ; b – l’inosservanza, nel giudizio arbitrale, del principio del contraddittorio, non avendo disposto l’arbitro la comunicazione alla deducente della ordinanza con la quale aveva ammesso la prova avversaria, non formulata, oltretutto, su capitoli specifici, decidendo – per conseguenza – su prove che non avrebbe potuto ammettere – sostenendo al contrario la Corte territoriale che l’arbitro, in assenza di previsioni negoziali in merito alla procedura da seguire, non era vincolato al rispetto delle norme del codice di rito e, soprattutto, che la TPA era rimasta inerte durante il corso del giudizio arbitrale; c – la violazione delle norme sugli effetti della risoluzione, avendo condannato l’impugnante alla parziale esecuzione di un contratto che aveva espressamente dichiarato risolto – sottolineando, il giudice del merito, che la regola della retroattività dell’effetto risolutivo non sarebbe stata attinente a principi di ordine pubblico e che le parti non avrebbero espressamente previsto nella clausola compromissoria la violazione dell’art. 1458 cod. civ. come un vizio su cui si sarebbe potuta fondare l’impugnazione; d – la violazione dei principi in materia di risarcimento del danno, avendo l’arbitro condannato essa esponente a pagare il costo dei materiali utilizzati per la produzione del settimo e dell’ottavo lotto – non avendo ritenuto la Corte di Appello provata la previsione del riutilizzo degli stessi materiali da parte dell’appaltatrice.

Contro tale decisione la TPA ha proposto ricorso per cassazione, articolandolo in due motivi; la intimata non ha svolto difese.

Diritto

IN DIRITTO

A – Con il primo motivo vengono denunziate “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – Insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in punto di applicazione dei criteri di determinazione della natura rituale o irrituale dell’arbitrato”, assumendo la ricorrente che la decisione dell’arbitro sul presupposto della propria potestas – relativamente alla natura dell’arbitrato – rientrerebbe nell’ipotesi di cui all’art. 829 c.p.c., n. 4 e che la natura rituale dell’arbitrato non potrebbe essere desunta – come invece argomentato dalla Corte triestina – dal solo uso di particolari espressioni nella clausola compromissoria.

1 – Ritiene il relatore che il motivo sopra esposto sia inammissibile.

1/a – Invero le censure relative alla violazione della convenzione di arbitrato presuppongono la trascrizione della medesima, al fine di portare l’esame della Corte sulla cattiva interpretazione della medesima operata dal primo giudice, violandosi altrimenti il principio dell’autosufficienza del ricorso, quale disciplinato dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

1/b – Quanto poi al dedotto vizio di motivazione, lo stesso non viene supportato da idonea argomentazione, diretta a dimostrare la non ricostruibilità logica – e non già, come mostra di ritenere la ricorrente, la mera non condivisibilità- del percorso espositivo seguito dal giudice del gravame nel ritenere infondata la censura, già proposta nei medesimi termini innanzi alla Corte distrettuale.

B – Con il secondo motivo si assumono sussistenti “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1223 e 2697 cod. civ., all’art. 115 c.p.c., comma 2, ed all’art. 829 c.p.c.” sostenendo la ricorrente che , avendo riconosciuto la Corte triestina la “macroscopica violazione” delle regole di diritte) in relazione all’art. 1458 cod. civ., con ciò avrebbe anche sancito la non corretta applicazione delle conseguenze della risoluzione in termini di risarcimento del danno:

in particolare negando che potesse farsi riferimento al notorio per ritenere che i materiali non utilizzati dall’appaltatrice potessero essere utilizzati in altra lavorazione, limitando così il risarcimento del danno da risoluzione.

2 – Anche tale motivo, a giudizio del relatore, è inammissibile.

2/a – Va innanzi tutto evidenziato che espressamente la Corte territoriale ritenne non invocabile la violazione dell’art. 1458 cod. civ. quale motivo di nullità del lodo e tale motivazione non ha formato oggetto di ricorso: per le medesime ragioni – facenti leva sulla nuova formulazione delle ipotesi di nullità del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, indicate nell’art. 829 c.p.c., comma 3, nella formulazione applicabile ratione temporis, introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24 – non può censurarsi la violazione delle norme relative alla conseguenza patrimoniale dell’inadempimento dell’obbligazione dedotta in giudizio.

2/b – In secondo luogo è inammissibile la censura che si fondi sulla ritenuta violazione delle regole che presidiano la ripartizione dell’onere della prova le volte in cui la doglianza si concreti nella mera non condivisibilità dei risultati interpretativi raggiunti dal giudice del merito, oltretutto senza neppure far valere il vizio di motivazione: sul punto il relatore ritiene che la ricorrente non abbia fornito valide argomentazioni – per vero: neppure affrontando la relativa questione – per consentire alla Corte di disattendere il consolidato orientamento secondo il quale in tema di ricorso per Cassazione, “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.);

viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione” (così Cass. 7394/2010, cui adde: Cass. 15499/04, 16312/05, 10127/06 e 4178/07).

C – Ove si ritengano fondati i sopra indicati rilievi, il ricorso è idoneo ad essere trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5, degli artt. 376 e 380 bis c.p.c., per quivi esser dichiarato manifestamente infondato”.

La relazione è stata ritualmente comunicata alla parte ricorrente ed al P.M. Tali conclusioni ritiene il Collegio di poter integralmente recepire dal momento che non sono state depositate ulteriori memorie dalle quali trarre argomenti di riflessione che possano incidere sulle argomentazioni esposte nella relazione suddetta: dunque il ricorso va respinto senza ulteriori statuizioni in merito alle spese del giudizio di legittimità, non avendo svolto difese la parte che è risultata vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 18/11/2011, nella camera di consiglio della 6^ sezione della Suprema Corte di Cassazione, il 18 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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