Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27858 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. II, 04/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 04/12/2020), n.27858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23038-2019 proposto da:

O.S.O., rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANIA SANTILLI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 5351/2019 del TRIBUNALE di

MILANO, depositato il 23/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere GORJAN SERGIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.S.O. – cittadino della Nigeria – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Milano avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’aver dovuto lasciare il suo Paese poichè il padre – pastore protestante – non accettava la sua relazione sentimentale con ragazza di fede mussulmana, dalla quale aveva già avuto due figli, tanto da giungere anche a porre in essere violenza fisica contro di loro.

Per evitare detta persecuzione il ricorrente, unitamente alla compagna, era venuto in Italia dove erano nati dalla loro relazione altri due figli.

Il Tribunale ambrosiano ebbe a rigettare il ricorso ritenendo che la vicenda personale narrata dal ricorrente, fondata sull’attività di persecuzione posta in essere dal padre, non era credibile; che non sussisteva, nello Stato nigeriano di provenienza del richiedente asilo, una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa e che non concorrevano ragioni attuali di vulnerabilità od elementi lumeggianti integrazione nella società italiana ai fini della protezione umanitaria, posto che la nascita dei due figli in Italia configurava – eventualmente – ragione ostativa all’espulsione.

Il richiedente asilo ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale lombardo articolato su cinque motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, s’è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto da O.S.O. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c., – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n 7155/17.

Anzitutto la Corte deve rilevare l’inammissibilità dei documenti depositati in questa sede dall’ O. poichè non rientranti nella tipologia di quelli consentiti ex art. 372 c.p.c..

In limine il ricorrente propone dubbio circa la legittimità costituzionale della norma D.L. n. 13 del 2017, ex art. 21, comma 1, convertito con la L. 46/17, in relazione agli artt. 3,24 e 11 Cost., poichè a procedimento amministrativo ancora istruito secondo le modalità previste dalla disciplina antecedente al citato decreto legge, conseguirà l’applicazione, nel giudizio avanti il Tribunale, del rito processuale previsto dalla nuova disciplina.

In tal modo situazioni differenti tra loro vengono trattate in modo identico con lesione dei diritti della difesa.

La questione sollevata appare manifestamente infondata in quanto è irrilevante nel caso di specie, posto che la norma di cui si sospetta l’illegittimità costituzionale attiene al regolamento della fase amministrativa, mentre oggetto d’esame da parte di questa Corte è il decreto adottato dal Giudice in conseguenza dell’opposizione al provvedimento adottato ad esito della fase amministrativa, i cui vizi per consolidata giurisprudenza di questa Corte – Cass. sez. 1 n 20492/20, Cass. sez. 1 n 420/12 – non assumono alcun rilievo in sede giudiziale.

Con la prima ragione di doglianza il ricorrente lamenta violazione del disposto D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, commi 10 e 11, in relazione alla direttiva U.E. in materia e alla Carta dei diritti U.E. poichè il Collegio ambrosiano ha rigettato la sua istanza di protezione ritenendo non credibile il suo racconto senza procedere, come dovuto, alla sua audizione per decidere – con piena cognizione di causa – la sua specifica posizione personale, siccome previsto dalla normativa Europea in tema. La censura appare inammissibile poichè generica, in quanto si compendia in critica meramente assertiva fondata su richiamo ad arresti delle Corti Europee circa la necessità di procedere all’audizione del richiedente asilo nell’ambito della procedura tesa alla valutazione della sua richiesta di protezione.

Ma appunto l’ O. risulta sentito in sede amministrativa e, in ossequio alla norma dedotta siccome violata, risulta esser stato evocato a comparire avanti il Giudice ed a detta udienza – come precisato senza contestazione specifica sul punto nel decreto impugnato – la parte ricorrente è stata sentita.

Dunque le prescrizioni dettate D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, risultano rispettate e parte impugnante non contesta ciò in modo specifico, limitandosi a postulare genericamente che ebbe a chiedere d’essere ascoltato senza però anche precisare quali elementi nuovi avrebbe inteso in tal modo introdurre nel giudizio. Con la seconda ragione di doglianza il ricorrente lamenta violazione dalle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, nonchè artt. 2 e 3 CEDU in quanto il Tribunale non avrebbe compiuto il prescritto esame comparativo tra le sue dichiarazioni e la sua situazione personale da indagare anche mediante l’attivazione dell’istruttoria officiosa.

La critica mossa appare fondata su argomentazione astratta e dogmatica senza un confronto effettivo con la motivazione illustrata dal Collegio ambrosiano circa la credibilità del narrato reso dal ricorrente in ordine alla valenza della condotta posta in essere dal padre, all’esame della situazione sociale circa le coppie di diversa religione nonchè all’accesso alla difesa da parte dell’Autorità.

Difatti il Tribunale ha messo in evidenza come, nonostante l’opposizione del padre, il ricorrente ha convissuto in Patria per ben otto anni con la compagna di fede mussulmana generando due figli; come non ebbe a fornir logica spiegazione la scelta di abitazione vicino alla casa del padre invece di allontanarsi; come non spiega perchè si decise ad espatriare con viaggio lungo e pericoloso, oltre che costoso, invece di prendere alloggio in zona distante dalla casa paterna; come non sia rimasto chiarito perchè il ricorrente decise anche di prender detta illogica decisione lasciando in Patria i figli.

Inoltre il Collegio ambrosiano ha puntualmente richiamato le fonti – rapporti redatti al riguardo da Organismi internazionali affidabili – circa la funzionalità del servizio giustizia in Nigeria e l’intervenuta accettazione sociale dei matrimoni interreligiosi così concludendo che l’attività di disturbo – se anche eventualmente esistente – messa in esser dal padre non configurava persecuzione poichè attività che poteva essere fermata dall’Autorità se solo il ricorrente si fosse determinato a ricorrere a detto aiuto.

L’argomento critico sviluppato a fronte di detta puntuale motivazione si risolve in richiami astratti ad arresti giurisprudenziali ed a linee guida generali redatte da Organismi internazionali circa l’esame della credibilità del richiedente asilo ovvero in apodittica contestazione della specifica valutazione – operata dal Tribunale – circa le illogicità ed incongruità emerse dal racconto reso dal ricorrente, poste in evidenza dal primo Giudice.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione della disciplina dettata dalla Convenzione di Ginevra del 1951 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8, e 14, in quanto il Tribunale avrebbe errato nell’escludere la persecuzione messa in essere da soggetto privato quale figura sintomatica rientrante nella disciplina prevista dalla normativa di protezione internazionale.

Difatti, osserva l’ O., detto tipo di persecuzione assume rilievo in presenza di determinate condizioni – assenza o diniego della protezione statale – circa la concorrenza delle quali il Collegio ambrosiano avrebbe dovuto indagare acquisendo apposite informazioni, anche azionando l’istituto della collaborazione istruttoria ex officio.

La censura s’appalesa inammissibile poichè generica, in quanto viene sviluppato argomento meramente assertivo ed astratto senza un effettivo confronto con la motivazione illustrata dal Collegio ambrosiano, specie in relazione alle precise informazioni assunte dal Collegio circa la funzionalità del servizio Giustizia in Nigeria e l’atteggiamento, del tutto tollerante, assunto dalla società civile nei riguardo dei matrimoni interreligiosi a fronte della palesata volontà del ricorrente di non aver voluto denunziare il padre all’Autorità acchè cessasse le pressioni sulla coppia.

Con il quarto mezzo d’impugnazione proposto il ricorrente deduce violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, lett. g) e 14, nonchè omesso esame di fatto decisivo poichè il Collegio ambrosiano ebbe ad escludere che, nella zona della Nigeria in cui viveva, concorreva situazione di instabilità socio-politica, connotata da violenza diffusa, con pericolo per la sua incolumità personale.

L’argomento critico svolto dal ricorrente nel motivo si compendia nella mera proposizione di tesi alternativa rispetto alla valutazione degli elementi probatori in atti, siccome operata dal Collegio milanese, sicchè la censura risulta generica eppertanto inammissibile.

Il Tribunale ha partitamente esaminata la situazione socio-politica della zona della Nigeria in cui il ricorrente viveva – Lagos – per escludere la sussistenza di una situazione di violenza diffusa secondo il contenuto assegnato a tale concetto dalla Corte Europea, e ciò sulla scorta di precise informazioni aggiornate – al 2018 – tratte da rapporti redatti da più Organismi internazionali affidabili all’uopo preposti.

Inoltre il Collegio lombardo ha pure rilevato come la zona di Lagos nemmeno venga segnalata – in detti rapporti – siccome connotata da attività terroristiche o da precarie condizioni di sicurezza, sicchè ha escluso il ricorrere di minaccia rivolta alla generalità dei cittadini.

A fronte di ciò il ricorrente si limita ad argomentazione dogmatico-astratta e ad asserzioni di mancato od insufficiente esame di fonti accreditate ed attuali circa la situazione socio-politica della Nigeria senza indicare altri rapporti, redatti da Organismi internazionali all’uopo preposti, lumeggianti una situazione sociopolitica diversa – Cass. sez. 1 n 26728/19.

Con la quinta ragione di doglianza – nuovamente denominata quarta nel ricorso – il ricorrente deduce vizi ex art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e n. 5, in materia di protezione umanitaria per violazione di un cospicuo numero di norme positive, motivazione omessa od apparente ed omesso esame di fatti decisivi in quanto il Collegio ambrosiano non avrebbe ritenuto esistente sua condizione di vulnerabilità sia soggettiva che oggettiva senza adeguatamente considerare la precaria situazione della sicurezza pubblica e la carenza di lavoro esistenti in Nigeria.

Già la contemporanea e promiscua deduzione ed illustrazione di più e, tra loro, anche logicamente inconciliabili vizi di legittimità lumeggia l’inammissibilità del motivo, ma pure in concreto lo stesso si compendia in apodittica ed astratta contestazione della motivazione esposta a supporto del rigetto della domanda tesa al riconoscimento della protezione umanitaria da parte del Tribunale.

Difatti il Collegio ambrosiano ha puntualmente messo in evidenza come non concorrono in causa elementi atti a lumeggiare un inserimento sociale in Italia del ricorrente, stante che le attività documentate sono state svolte nell’ambito del circuito dell’accoglienza.

Quanto a condizione di vulnerabilità il Tribunale ha evidenziato come il richiedente asilo ha precisi punti d’appoggio familiari in Patria e come non siano state prospettate condizioni di vulnerabilità diverse da quelle già esaminate – con esito negativo – in relazione agli istituti della protezione internazionale.

A fronte di detta esaustiva valutazione, il ricorrente si limita ad enfatizzare l’instabile situazione socio-politica della Nigeria, con particolar riguardo anche alla corruzione dei pubblici impiegati, sicchè non sarebbe nemmeno garantito il servizio di pubblica sicurezza, ed a postulare – genericamente – l’obbligo del Giudice di un approfondito esame della questione anche mediante l’ausilio della collaborazione istruttoria senza indicare in modo specifico verso quali mete dette ulteriori indagini dovevano essere rivolte.

Dunque l’argomento critico sviluppato appare prescindere dal confronto indispensabile con la motivazione illustrata dal primo Giudice con conseguente genericità del mezzo d’impugnazione.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione resistente, liquidate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere in favore dell’Amministrazione degli Interni le spese di questa lite di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

 

 

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