Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27857 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. I, 30/10/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 30/10/2019), n.27857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28089/2018 proposto da:

T.S., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Svetlana Turella, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Avverso il decreto n. 802/2018 del TRIBUNALE di Trento, depositato il

03/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2019 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Trento con cui è stata respinta la domanda di protezione internazionale di T.S., proveniente dalla (OMISSIS).

Questi – dopo avere narrato di essere sofferente di tubercolosi sin da piccolo e di avere lasciato la (OMISSIS), dove aveva una compagna e due figli e lavorava come sarto, perchè non riusciva a curarsi, e, quindi, di essere stato lasciato dalla compagna al momento in cui questa aveva scoperto la malattia, prima ignorata – aveva richiesto, con esito negativo, l’accertamento del proprio status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in via ulteriormente gradata, il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il ricorso si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14, lett. b) in merito al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Il ricorrente si duole che la richiesta di protezione sussidiaria sia stata respinta in relazione alla sola ipotesi disciplinata dalla lett. c), laddove, a suo parere, le sue condizioni di salute, conseguenti all’essere affetto da tubercolosi e da diabete ed il fatto che le sue difficili condizioni economiche non gli avrebbero consentito di avere accesso alle cure, a pagamento, in (OMISSIS) di modo che il rientro in Patria era tale da dar luogo ad un “trattamento umano o degradante ai suoi danni” tale da poterlo condurre anche alla morte.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dell’art. 32 Cost. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in merito al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per non avere ritenuto rilevanti, il Tribunale, le ragioni sanitarie esplicitate dal richiedente e la integrazione sociale e lavorativa.

3. Entrambi i motivi vanno dichiarati inammissibili.

4. Il Tribunale ha motivatamente escluso, con accertamento in fatto, che la vicenda narrata dall’odierno ricorrente in merito alle ragioni della fuga fosse credibile, rimarcando come poco verosimile il fatto che la moglie ignorasse la malattia di cui soffriva da bambino e che per tale motivo avesse deciso di abbandonarlo, ed evidenziandone la genericità ed la inidoneità ad integrare i presupposti per protezione internazionale, sia quale rifugiato, che sussidiaria, oltre che umanitaria.

Ciò detto, questa Corte, quanto all’assolvimento dell’onere della prova, ha già affermato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lett. da a) ad e) della citata norma (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni); ha inoltre di recente precisato che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ex art. 3, comma 5, lett. a) D.Lgs. cit., essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati e che la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ex art. 3, comma 5, lett. c) nominato decreto, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

Nel caso in esame, il giudice del merito ha però escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi coerenti e plausibili, oltre che sufficientemente dettagliate, e tale rilievo, per quanto detto, risulta essere decisivo in merito alla richiesta di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b) cit. e la censura non coglie nel segno.

Va osservato in proposito che, per ottenere il riconoscimento delle fattispecie di protezione tipizzate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503); non dissimili considerazioni si impongono in tema di protezione umanitaria, giacchè la condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento di tale forma di protezione deve essere ancorata a “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione), dovendosi apprezzare la situazione particolare del singolo soggetto, non quella del suo paese d’origine in termini generali ed astratti.

E’ del tutto evidente che in presenza di un racconto non circostanziato e non credibile non esista alcuna possibilità di riferire alla persona del ricorrente le situazioni tipicamente legittimanti l’accesso a queste diverse forme di protezione (art. 14, lett. a) e b), di guisa che la decisione sul punto appare immune dai vizi denunciati.

Ciò non confligge con il fatto che, per quanto poi concerne la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), il Tribunale – facendo corretta applicazione del principio per cui la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale, sussistendo essa anche qualora il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese, lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass. 23 ottobre 2017, n. 5083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130) – sia giunto, ad escludere – sulla base di un accertamento di fatto non sindacabile nella presente sede – che la regione da cui proviene il ricorrente fosse interessata a una tale situazione.

A ciò va aggiunto che non risulta adeguatamente illustrata la tempestiva prospettazione della impossibilità di avvalersi di cure in (OMISSIS) per ragioni economiche, come rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti.

Inoltre, va osservato che le condizioni di salute del richiedente sono state valutate in fatto dal Tribunale, sia ritenendo che non ricorreva uno stato patologico di rilievo in quanto la tubercolosi era stata curata e guarita ed il diabete, costituendo una malattia cronica, richiedeva l’attuazione di un adeguato stile di vita e il trattamento insulinico, prescrivibile anche in (OMISSIS), di guisa che è stato escluso che integrassero una situazione di vulnerabilità, senza che la censura attinga in maniera puntuale la ratio decidendi; stesso discorso vale per la statuizione con cui è stato escluso che fosse maturata una significativa integrazione del richiedente in Italia, non avendo questi svolto alcuna attività lavorativa.

5. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese stante l’assenza di attività difensiva della controparte.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater stante la provvisoria ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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