Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27855 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. I, 30/10/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 30/10/2019), n.27855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26766/2018 proposto da:

K.E., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Sabina Zullo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Avverso il decreto n. 749/2018 del TRIBUNALE di Trento, depositato il

07/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2019 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Trento con cui è stata respinta la domanda di protezione internazionale di K.E., proveniente dal Gambia, il quale ha richiesto, con esito negativo, l’accertamento del proprio status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in via ulteriormente gradata, il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il ricorso si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo denuncia la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d).

L’istante – che aveva narrato di essere fuggito perchè, pur provenendo da una casta inferiore si era fidanzato con una ragazza, figlia di un Iman, appartenente ad una casta superiore con cui aveva avuto rapporti sessuali prima del matrimonio, di guisa che temeva di subire sanzioni corporali e persecuzioni ad opera del padre della ragazza – si duole che il Tribunale non abbia ritenuto sufficiente il fondato timore di persecuzioni per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il ricorrente sottolinea, al riguardo, che ai cittadini gambiani non è garantito un giusto processo e l’esercizio del diritto di difesa per la corruzione dilagante tra l’amministrazione pubblica. Inoltre deduce di soffrire di “ittiosi” e lamenta che rientrando nel proprio Paese non potrebbe godere delle cure necessarie.

2. Il secondo mezzo lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. g) e h), “conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g)”. L’istante, richiamato anche il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 sostiene quanto meno il diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria, considerato il rischio di subire un grave danno una volta rientrato nel proprio Paese poichè lo Stato non sarebbe in grado di garantirgli protezione.

3. Il terzo mezzo prospetta la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. L’istante deduce di avere diritto al riconoscimento della protezione umanitaria, in considerazione del proprio inserimento nella società italiana e dei rischi che avrebbe corso in caso di rimpatrio, nonchè delle condizioni di salute ed infine della situazione sociale, economica e politica esistente nel Paese di origine.

4. Il quarto motivo lamenta la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. L’istante imputa al Tribunale di non avere fatto corretta applicazione dei principi che, in tema di protezione internazionale, definiscono l’onere probatorio del richiedente.

5. Gli esposti motivi, che possono essere trattati congiuntamente per connessione, non hanno fondamento, sicchè il ricorso deve essere respinto.

6. Il Tribunale ha motivatamente escluso, con accertamento in fatto, che la vicenda narrata dall’odierno ricorrente fosse credibile, rilevando, inoltre, come essa fosse generica e non suffragata da riscontri nè in ordine alla ricorrenza di una forma di persecuzione, nè all’accertamento della responsabilità dei soggetti indicati; ha, inoltre, chiaramente illustrato perchè la stessa non potesse, comunque, integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato poichè i rischi per la incolumità paventati dal richiedente non provenivano da autorità statali o parastatatali, ma da privati -, che non ricorreva nemmeno una situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato in Gambia, sulla scorta delle informazioni assunte dal sito “(OMISSIS)” del Ministero degli Esteri del 5/4/2018, nè altre condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Infine ha escluso il riconoscimento della protezione umanitaria.

Ciò detto, questa Corte, quanto all’assolvimento dell’onere probatorio, ha rilevato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art.:3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni); ha inoltre di recente precisato che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ex art. 3, comma 5, lett. a) D.Lgs. cit., essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati e che la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ex art. 3, comma 5, lett. c) nominato decreto, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

Nel caso in esame, il giudice del merito ha però escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi coerenti e plausibili, oltre che sufficientemente dettagliate, e tale rilievo, per quanto detto, risulta essere decisivo.

Va osservato che, per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, occorre una precisa correlazione tra la vicenda individuale descritta dal richiedente ed il rischio rappresentato; pure con riguardo alle fattispecie tipizzate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503); non dissimili considerazioni si impongono in tema di protezione umanitaria, giacchè la condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento di tale forma di protezione deve essere ancorata a “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione), dovendosi apprezzare la situazione particolare del singolo soggetto, non quella del suo paese d’origine in termini generali ed astratti. E’ del tutto evidente che in presenza di un racconto non circostanziato e non credibile non esista alcuna possibilità di riferire alla persona del ricorrente le situazioni tipicamente legittimanti l’accesso a queste diverse forme di protezione. Inoltre, le condizioni di salute sono state valutate ritenendo che non potessero assumere valore decisivo, in considerazione del fatto che le cure ricevute in Gambia, per ammissione dello stesso richiedente, erano dello stesso tipo di quelle prescrittegli in Italia.

Per quanto poi concerne la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio per cui la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di essere interessato in modo specifico a motivo di elementi che riguardino la sua situazione personale, sussistendo essa anche qualora il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese, lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass. 23 ottobre 2017, n. 5083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130): il Tribunale ha tuttavia escluso – sulla base di un accertamento di fatto non sindacabile nella presente sede – che la regione da cui proviene il ricorrente fosse interessata a una tale situazione.

3. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese stante l’assenza di attività difensiva della controparte.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, stante la provvisoria ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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