Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27855 del 12/12/2013
Civile Sent. Sez. 3 Num. 27855 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE
SENTENZA
sul ricorso 8299-2008 proposto da:
BUCCHERI MARIA BCCMRA56P66F899U, LODETTI SALVATORE
LDTSVT58L14F899B in proprio e quali esercenti la
potestà parentale sul figlio LODETTI ROBERTO,
D’ALESSANDRO GIUSEPPE DLSGPP54TO3F899Q, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA SESTO FIORENTINO 41, presso
lo studio dell’avvocato FERRARA CARMELO FABRIZIO, che
li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
D’ALESSANDRO GIUSEPPE anche difensore di sè medesimo;
– ricorrenti contro
Data pubblicazione: 12/12/2013
ASL/3 CATANIA, MONACO AGRIPPINO MNCGPP51A20F217C,
GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL/29 CALTAGIRONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 298/2007 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 30/03/2007, R.G.N. 1417/2002
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/11/2013 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso
per raccoglimento del ricorso;
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e 52/2003;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 2 febbraio 1990 Maria Buccheri e
Salvatore Lodetti, in proprio e quali esercenti la potestà
parentale sul figlio Roberto, convennero innanzi al Tribunale di
Caltagirone Agrippino Monaco e la USL n. 29 della stessa città,
gravissimo deficit intellettivo dal quale era affetto Roberto
Lodetti.
Esposero che la Buccheri, arrivata al termine della gravidanza,
era stata ricoverata, in data 4 ottobre 1985, presso l’Ospedale
di Caltagirone, in presenza di segni premonitori del parto; che
i sanitari del nosocomio non avevano effettuato alcun
intervento fino a quando ella stessa non aveva sentito come un
botto; che solo allora avevano deciso di praticare il taglio
cesareo; che il bambino aveva subito presentato sofferenza
asfittica; che lo stesso era invalido al 100%.
Costituitisi in giudizio, i convenuti contestarono le avverse
pretese.
Con sentenza del 9 novembre 2001 il giudice adito, in
accoglimento della domanda, condannò Agrippino Monaco e la USL
n. 29 di Caltagirone, in solido tra loro, al risarcimento dei
danni.
I gravami proposti avverso tale pronuncia dal Monaco e dalla
Gestione Liquidatoria della ex USL 29 nonché, in via
incidentale, da Maria Buccheri e da Salvatore Lodetti, in
proprio e nella qualità, sono stati decisi dalla Corte d’appello
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chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al
di Catania in data 30 marzo 2007 con sentenza che, in
accoglimento delle impugnazioni proposte dai convenuti
soccombenti, ha rigettato le domanda attrici.
Avverso detta pronuncia ricorrono per cassazione Maria Buccheri
e Salvatore Lodetti, in proprio e quali esercenti la potestà
e notificando l’atto ad Agrippino Monaco, alla Gestione
Liquidatoría ex USL 29 e alla ASL n. 3.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
moTrvI
DELLA DECISIONE
1 Nel motivare il suo convincimento, per quanto qui interessa,
il decidente ha evidenziato che il giudice di prime cure, dato
atto che né gli accertamenti svolti in sede penale, né quelli
espletati in sede civile, con una nuova consulenza tecnica,
avevano fatto emergere condotte colpose dei medici che avevano
assistito la partoriente e il neonato, prima e dopo il parto,
aveva tuttavia ritenuto che dalle carenze riscontrate nelle
annotazioni della cartella clinica dovesse desumersi che non
erano stati attuati tutti i presidi “normalmente prescritti e
idonei a dimostrare che il personale sanitario responsabile
aveva affrontato il caso con diligenza e perizia”.
Ora,
tale
argomentazione,
specificamente
oggetto
di
impugnazione, è stata ritenuta non condivisibile dalla Corte
territoriale, sulla base delle seguenti considerazioni:
a)
per
giurisprudenza praticamente costante, la responsabilità del
gestore di una struttura sanitaria nei confronti del paziente ha
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parentale sul figlio Roberto Lodetti, formulando quattro motivi
carattere contrattuale;
b)
lo stesso, in forza dell’art. 1228
cod. civ., risponde pertanto anche del comportamento dei propri
dipendenti;
c)
le obbligazioni inerenti all’esercizio di
un’attività professionale sono obbligazioni di mezzi e non di
d)
conseguentemente l’inadempimento del
professionista non può
tout court
desumersi dal mancato
raggiungimento del risultato; e) il danno derivante da eventuali
azioni o omissioni del sanitario in tanto è ravvisabile, in
quanto si accerti, sulla base di criteri probabilistici, che,
senza quelle azioni o omissioni, il risultato sarebbe stato
conseguito;
f)
in particolare, il nesso di causalità tra
condotta commissiva o omissiva del sanitario ed evento dannoso
deve essere accertato alla luce di un serio e ragionevole
criterio di probabilità scientifica.
Nello specifico – ha rilevato la Corte – non vi era alcun
elemento dal quale potesse dedursi l’esistenza di un nesso di
causalità tra le patologie da cui era affetto Roberto Lodetti e
la condotta (commissiva o omissiva) del personale ospedaliero;
né peraltro, era stato in concreto individuato il comportamento,
riferibile agli appellanti, che aveva determinato l’evento. La
laconicità della cartella clinica – ha aggiunto – non poteva
ingenerare alcuna presunzione in ordine alla sussistenza di
fatti rimasti indeterminati e privi di supporto probatorio,
tanto più che, secondo quanto emerso dalla compiuta istruttoria,
la partoriente era stata assistita durante tutto il travaglio e
il ricorso al taglio cesareo era stato deciso non per il
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risultato;
rilevamento di sintomi di sofferenza fetale, ma perché, a
dilatazione completata, era stato constatato “il mancato impegno
della parte presentata”. In tale contesto – ha concluso – non
potevano formularsi rilievi di sorta né in ordine allo
svolgimento dell’intervento, né in ordine all’assistenza
2.1
Di tale valutazione si dolgono dunque gli impugnanti che,
con il primo motivo di ricorso, denunciano violazione dell’art.
1218 cod. civ.,
ex art. 360, comma l, n. 3, cod. proc. civ.
Oggetto delle critiche è l’affermazione del giudice di merito
secondo cui era rimasta indimostrata la pretesa degli attori di
addebitare le gravi anomalie dalle quali era affetto Roberto
Lodetti a fatto e colpa del personale ospedaliero, laddove
nell’illecito contrattuale spetta al debitore dimostrare che
l’inadempimento o il ritardo sono stati determinati da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile.
2.2
Con il secondo mezzo gli esponenti lamentano vizi
motivazionali,
ex art. 360, comma l, n. 5, cod. proc. civ.,
sulla pretesa mancanza di prova di ogni responsabilità dei
sanitari, in conformità al disposto dell’art. 1218 cod. civ.
2.3 Con il terzo mezzo denunciano mancanza o insufficienza della
motivazione con riferimento all’affermazione del giudice di
merito secondo cui era pur sempre necessario valutare i fatti
avendo riguardo alle attrezzature esistenti e ai protocolli
adottati all’epoca in cui si erano svolti. L’affermazione
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prestata al neonato dopo il parto.
sarebbe inappagante, posto che ignorerebbe del tutto l’esistenza
e la diffusione di uno strumento – il cardiotocografo – che il
consulente tecnico d’ufficio aveva ritenuto importante per la
gestione del travagli.
2.4
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano,
ex art. 360,
alle cause che avevano provocato il danno, non avendo il giudice
di merito dato conto della insussistenza di cause delle
patologie da cui era affetto Roberto Lodetti, riconducibili a
una malattia congenita, nonché delle conseguenze da trarre dalla
lacunosità della cartella clinica, secondo il diritto vivente.
3 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente
per la loro evidente connessione, sono infondate per le ragioni
che seguono.
È ben vero che questa Corte, qualificata come contrattuale la
responsabilità del medico nei confronti del paziente per danni
derivati dall’esercizio di attività di carattere sanitario, ha,
in
via
di
principio,
risolto
i
problemi
connessi
all’individuazione dei reciproci oneri probatori lungo le
direttrici segnate nella sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533.
In tale arresto le sezioni unite ebbero a precisare che, rimasta
inadempiuta una obbligazione, il creditore il quale agisca per
la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno,
ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte
(negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di
scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza
7
comma 1, n. 5, cod. proc. civ., vizi motivazionali in relazione
dell’inadempimento della
controparte,
mentre
il debitore
convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo
dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento,
puntualizzando altresì, in tale prospettiva, che eguale criterio
di riparto deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui sia
inesatto adempimento, posto che allora al creditore istante sarà
sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza
dell’adempimento (per violazione, ad esempio, di doveri
accessori, come quello di informazione), mentre graverà, ancora
una volta, sul debitore l’onere di dimostrare il contrario
(Cass. civ., sez. unite, 30 ottobre 2001, n. 13533).
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Trasponendo tali criteri nelle cause di responsabilità
professionale del medico sul postulato, si ripete, del
carattere contrattuale della stessa – la giurisprudenza di
legittimità ha dunque ripetutamente affermato che sull’attore
grava la prova del contratto, dell’aggravamento della
situazione patologica o dell’insorgenza di nuove patologie
nonché del nesso di causalità tra l’azione o l’omissione del
debitore e l’evento dannoso, allegando il solo inadempimento del
sanitario, mentre resta a carico del debitore l’onere di provare
l’esatto adempimento, e cioè di avere tenuto un comportamento
diligente (Cass. n. 12362 del 2006; Cass. 11.11.2005, n. 22894;
Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 3.8.2004, n. 14812).
5
Considerando peraltro inappaganti,
sotto vari profili,
siffatti approdi ermeneutici, le sezioni unite di questa Corte,
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dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo
nella sentenza n. 577 del 2008, hanno rivisitato l’intera
problematica. A tal fine, ripercorsa l’evoluzione della teoria
delle obbligazioni, con la progressiva erosione della
legittimazione teorica e dell’utilità pratica della distinzione
tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, hanno
di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni
così dette di comportamento coincidenti con quelle
tradizionalmente definite di mezzi, in cui è la condotta del
debitore ad essere dedotta in obbligazione, essendo la diligenza
tendenzialmente considerata quale criterio determinativo del
contenuto del vincolo e il risultato caratterizzato da
aleatorietà, siccome dipendente anche da altri fattori esterni non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca
causa o concausa del danno.
Da tanto hanno quindi dedotto che, nelle cause di responsabilità
professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare
un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre
l’esistenza di una inadempienza, per così dire,
vestita,
astrattamente efficiente, cioè, alla produzione del danno, di
talché, solo quando lo sforzo probatorio dell’attore consenta di
ritenere dimostrato il contratto (o contatto sociale) e
l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, con l’allegazione
di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o
concausa del danno, scatterà l’onere del convenuto di dimostrare
o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può
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affermato che l’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione
essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto
adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza eziologica
nella produzione del danno (Cass. civ. sez. un. 11 gennaio 2008,
n. 577; Cass. civ. 26 febbraio 2013, n. 4792; Cass. civ. 21
luglio 2011, n. 1593).
scelta decisoria adottata sul rilievo, da un lato, che non vi
era alcun elemento dal quale dedurre l’esistenza di un nesso di
causalità tra il deficit intellettivo di Roberto Lodetti e la
condotta commissiva o omissiva del personale ospedaliero;
dall’altro, che, a ben vedere, era mancata la stessa allegazione
di una siffatta condotta, e cioè la deduzione di una
inadempienza specifica, astrattamente idonea alla produzione del
danno.
Ciò significa che il decidente ha ritenuto non meritevole di
accoglimento la domanda in ragione del suo carattere meramente
esplorativo, non mancando di evidenziare che la stessa
lacunosità della cartella clinica non valeva a surrogare un
onere di allegazione, prima ancora che di prova, rimasto affatto
inadempiuto.
7 A fronte di tale percorso motivazionale, i ricorrenti, senza
neppure denunciare malgoverno del materiale istruttorio in
ordine alla ritenuta correttezza dell’operato del personale
ospedaliero e alla stessa tempestività della decisione di
procedere al taglio cesareo, continuano a lamentare la
violazione del principio per cui spetta al debitore dimostrare
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6 Venendo al caso di specie, il giudice di merito ha motivato la
di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento è dipeso da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile, dando, in sostanza, per scontato un fatto che tale
non è, e cioè la non addebitabilità delle anomalie del bambino a
fattori genetici.
incorsi i ricorrenti è il quarto motivo di ricorso, con il quale
essi si dolgono della mancata individuazione, da parte del
giudice di merito, della causa naturale, diversa, dunque, dal
comportamento dei medici, che aveva determinato il deficit
intellettivo di Roberto Lodetti, senza considerare (e neppure
confutare), che, secondo il corretto approccio della Corte
territoriale si trattava invece proprio di allegare qualificate
inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del
danno.
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Né è inficiata da errore la svalutazione di ogni valenza
probatoria delle riscontrate lacunosità nella tenuta della
cartella clinica perché l’irregolare compilazione della stessa
consente – è vero – il ricorso alla prova presuntiva, in base al
criterio della vicinanza della prova, ma tanto all’interno di un
giudizio in cui risulti pur sempre dedotta e provata una
condotta ascrivibile al professionista, astrattamente idonea a
provocare il danno (confr. Cass. civ. 27 aprile 2010, n. 10060;
Cass. civ. 26 gennaio 2010, n. 1538).
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Infine le deduzioni relative alla pretesa insufficienza delle
attrezzature esistenti presso il nosocomio sono volte a
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Segno tangibile della torsione interpretativa in cui sono
criticare una valutazione di stretto merito, incensurabile in
sede di legittimità, in ordine alla necessità di
contestualizzare l’operato dei sanitari, e cioè di valutarlo
tenendo conto delle conoscenze scientifiche e delle attrezzature
disponibili all’epoca dei fatti. Peraltro le censure, basate su
gravemente carenti sotto il profilo dell’autosufficienza, non
avendo la parte ottemperato all’onere di trascrivere
integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi
salienti dell’elaborato dell’esperto, laddove le critiche mosse
alla sentenza devono possedere un grado di specificità tale da
consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne direttamente
la decisività, senza la mediazione di altre fonti (confr. Cass.
civ. 13 giungo 2007, n. 13845).
In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che gli
intimati non hanno svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Roma, 13 novembre 2013
pretesi rilievi svolti dal consulente tecnico d’ufficio, sono