Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27845 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 31/10/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 31/10/2018), n.27845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18984-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CARLO POMA 2,

presso lo studio dell’avvocato RANIERO VALLE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLO SPECIALE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/2010 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA,

depositata il 25/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2018 dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 52/05/2010, emessa in data 11.05.2010, depositata in data 25.05.2010, la Commissione tributaria regionale delle Marche rigettava l’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate – e quello incidentale proposto dal P.A. – nei confronti di quest’ultimo contribuente, confermando la sentenza emessa dalla CTP di Ancona n. 208/03/2006, con compensazione delle spese. La controversia ha ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento IVA, IRPEF ed IRAP relativo all’annualità 1999, determinando un maggior reddito imponibile per un importo pari a Lire 181.138.350 (pari ad Euro 93.550,15).

2. Al fine di consentire una migliore intelligibilità dell’impugnazione, va premesso che in data 30.11.2014 l’Agenzia delle Entra – ufficio di Ancona notifica al contribuente, esercente attività tecniche svolte da geometri, un invito D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 51 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, sollecitandolo a produrre idonee e documentate giustificazioni di alcune movimentazioni bancarie; nel processo verbale di contraddittorio 19.11.2004, il contribuente esibiva giustificazioni di cui l’Ufficio si riservava la valutazione, essendo in attesa di quelle richieste al Banco di Sicilia; nel successivo processo verbale di contraddittorio 13.10.2005, l’Ufficio riteneva non valide le giustificazioni addotte, successivamente notificando in data 30.11.2005 al contribuente l’avviso di accertamento impugnato; segnatamente il maggior reddito imponibile accertato era costituito da Lire 127.089.600 costituiti da versamenti bancari non giustificati e da Lire 54.048.750 costituiti da prelevamenti ingiustificati; in particolare, in virtù della L. n. 311 del 2004 nonchè della circolare ministeriale 10 del 16.03.2005, punto 3.8 sulla “retroattività delle novità sugli accertamenti bancari”, i versamenti e prelevamenti bancari non giustificati costituivano compensi non dichiarati ex art. 53 TUIR ai fini delle II.DD., e i sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, quanto all’IVA; venivano quindi accertate maggiori imposte per l’anno 1999, pari ad Euro 40.356,98 per IRPEF, Euro 467,39 per Addizionale regionale IRPEF, Euro 187,47 per Addizionale comunale IRPEF, Euro 3.975,69 per IRAP ed Euro 18.710,20 per IVA, con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa di Euro 60.535,48; in relazione al predetto avviso di accertamento, veniva presentata dal P. istanza di accertamento con adesione in data 12.01.2006, cui seguiva l’invito del contribuente per il contraddittorio; l’Ufficio procedeva alla formulazione in data 6.03.2006 di una proposta di adesione in base alla quale, dopo aver recepito le osservazioni del ricorrente, salvo la richiesta di giustificare un versamento di Lire 24.000.000 (pari ad Euro 12.394,96) privo di idonea documentazione, proponeva un abbattimento del maggior reddito accertato di una percentuale pari al 27,29%; il contribuente non accettava la proposta e proponeva in data 20.03.2006 ricorso avverso l’avviso di accertamento contestando integralmente i rilievi dell’Ufficio ed eccependo il vizio di motivazione; in particolare, sosteneva, da un lato, l’omessa motivazione dell’avviso impugnato in quanto non notificato nè allegato all’avviso il provvedimento del DRE delle Marche n. 31036 del 5.11.2003, con cui era stata avviata la verifica bancaria; dall’altro, sosteneva l’irretroattività della norma tributaria che consentiva di accertare nei confronti dei lavoratori autonomi e dei professionisti un maggior reddito sulla base delle risultanze dei conti bancari, entrata in vigore il 1.07.2005, che non avrebbe potuto quindi trovare applicazione per il periodo di imposta 1999.

3. La CTP adita accoglieva il ricorso, in particolare sostenendo che l’applicazione estensiva ai lavoratori autonomi della presunzione dei compensi per le riscossioni ed i prelevamenti, pervista dall’art. 32 citato, si renderebbe plausibile solo a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, entrando in contrasto, altrimenti, con il principio dell’irretroattività della legge sancito dall’art. 3 dello Statuto contrib.; la CTP, inoltre, riteneva fondata l’eccezione di carenza della motivazione per la mancata allegazione o notifica del provvedimento della DRE.

4. A seguito dell’appello interposto dall’Agenzia delle Entrate, la CTR con la sentenza qui ricorsa confermava la decisione dei giudici di prime cure, osservando: 1) che in virtù del disposto dell’art. 3, St. contr., è stato codificato in materia fiscale il principio generale di irretroattività della legge stabilito dall’art. 12 preleggi, salvo che questa non sia espressamente prevista dalla stessa norma; 2) che, in relazione all’annualità per cui è giudizio, non può trovare applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, introdotto dalla L. n. 311 del 2004, in quanto, come norma che incide sull’onere della prova e, quindi, indirettamente sul rapporto tributario, ha natura di norma sostanziale e come tale – stante il silenzio della legge in merito – non è passibile di applicazione retroattiva; 3) che non avendo l’Ufficio appellato nel merito la sentenza, dovevano ritenersi assorbiti gli altri motivi.

5. L’Ufficio, pel tramite della difesa Erariale, si è costituito nei termini di legge mediante controricorso.

6. In data 25.07.2018 il contribuente ha articolato memoria ex art. 378 c.p.c., per contraddire alle argomentazioni di cui al controricorso dell’Ufficio; segnatamente ha eccepito: a) l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e falsa applicazione degli artt. 329 e 346 c.p.c., nonchè degli artt. 277 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, (premesso che la sentenza della CTP del 7.11.2006, nell’accogliere il ricorso del contribuente, ritenne fondate sia le eccezioni di legittimità sollevate dal medesimo sia le deduzioni difensive in fatto, dimostrative del fatto che i movimenti presi a base della ricostruzione del reddito erano in realtà tutti estranei alla sfera lavorativa e quindi non potevano essere utilizzati per la ricostruzione del reddito del contribuente, osserva la difesa del controricorrente che i motivi di appello proposti dall’Ufficio non investivano il merito della ricostruzione dei maggiori ricavi, avendo, da un lato, con il primo motivo di appello, censurato la sentenza di primo grado per aver accolto l’eccezione sulla carenza di motivazione per non essere stato allegato il provvedimento autorizzativo della verifica bancaria e, con il secondo motivo di appello, per aver accolto l’eccezione relativa all’impossibilità di procedere ad accertamenti bancari nei confronti del professionista sulla base della norma come modificata dalla Finanziaria 2005; ne discende, osserva la difesa del controricorrente, che l’appello dell’Ufficio non aveva investito il merito della vicenda in relazione alla ricostruzione dei maggiori ricavi ed alle prove offerte dal contribuente per superare la presunzione legale relativa di cui alla norma sugli accertamenti bancari; nonostante il contribuente, in sede di appello, abbia portato all’attenzione della CTR le argomentazioni difensive relative al merito dell’errata ricostruzione dei maggiori ricavi giustificando in modo analitico le singole motivazione – v. doc. 3 allegato al controricorso – dette argomentazioni e documentazione non sono state contestate dall’Ufficio in sede di appello; per tale ragione le conclusioni dei giudici della CTR secondo cui l’Ufficio non aveva appellato nel merito la sentenza della CTP risultano del tutto corrette, con conseguente inammissibilità del secondo motivo di ricorso per cassazione sia per intervenuta formazione del giudicato sostanziale sul punto ex art. 2909 cod. civ., che per la considerazione per cui la difesa Erariale avrebbe tentato con il motivo proposto di ottenere una nuova valutazione nel merito della controversia, operazione non consentita in sede di legittimità per costante giurisprudenza); b) ha poi eccepito l’inammissibilità del primo motivo di ricorso dell’Ufficio, con cui si evoca il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nonchè dell’art. 11 preleggi e dell’art. 3, St. contr. (si sostiene che l’eventuale accoglimento non sarebbe idoneo ad influire sul definitivo esito del giudicato interno che si è formato sulla vicenda; inoltre, si aggiunge, le argomentazioni svolte dall’Ufficio contrastano con i principi espressi dalla Corte cost. n. 228 del 2014 e dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 12779/2016 e n. 23041/2015, atteso che la presunzione dettata dal richiamato art. 32 si riferisce ai soli imprenditori e non più ai lavoratori autonomi o professionisti intellettuali, essendo venuta meno l’equiparazione per effetto della richiamata sentenza della Corte costituzionale, non essendo quindi più sostenibile l’equiparazione ai fini della presunzione tra attività di impresa e professionale per gli anni anteriori).

7. All’udienza in camera di consiglio del 12.09.2018, esauritasi la relazione da parte del consigliere designato, il ricorso è stato trattenuto in decisione, non essendo peraltro state rassegnate conclusioni scritte da parte della P.G. presso questa S.C..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

8. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso l’Ufficio pel tramite della difesa erariale, impugnando la decisione con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

8.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nonchè art. 3 dello St. contr..

In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente Ufficio, che l’art. 32 più volte richiamato fissa una presunzione relativa, essendo consentito al contribuente dimostrare che le movimentazioni bancarie risultano già essere state computate e rilevate sia nei documenti contabili sia nella stessa determinazione dell’imponibile o che tali movimentazioni comunque non si riferiscono ad operazioni imponibili; segnatamente, sostiene l’Ufficio, costante sarebbe l’insegnamento di questa Corte ritiene applicabile il disposto dell’art. 32 citato, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, anche a fattispecie antecedenti, non determinando ciò alcune compromissione del diritto di difesa, donde l’Ufficio avrebbe facoltà di rettificare il reddito imponibile al contribuente lavoratore autonomo professionista anche per fattispecie relative ad anni di imposta precedenti il 2005, fruendo della presunzione relativa al conseguimento di ricavi sulla base delle risultanze dei versamenti e prelevamenti riferibili ai conti o ai rapporti intrattenuti con istituti di credito, essendo onere del contribuente provare che tali importi sono estranei alla produzione del reddito ovvero siano già stati inclusi nel reddito dichiarato; a ciò si aggiunge che la norma, essendo solo procedimentale, non influenza le regole della determinazione del reddito, ed è quindi applicabile anche agli anni pregressi, a quello dell’entrata in vigore della novella del 2004, non avendo peraltro l’art. 3, St. contr. valore costituzionale, dunque il principio di irretroattività è derogabile per legge ordinaria (richiama a tal proposito, Corte cost. n. 58/2009); richiamando la giurisprudenza di questa Corte formatasi all’epoca della proposizione del ricorso, l’Ufficio sottolinea poi come la presunzione dettata dall’art. 32 citato ha portata generale, dunque si applica al reddito di impresa ed anche al reddito da lavoro autonomo e professionale.

8.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione degli artt. 329,346 e 277 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2.

In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, si duole la ricorrente difesa erariale per aver la CTR affermato che l’Ufficio non avrebbe appellato nel merito la sentenza; premesso che non sarebbe chiaro il contenuto di tale affermazione (se cioè relativa alla questione dell’applicabilità retroattiva dell’art. 32 come novellato dalla Finanziaria 2005 ovvero relativa alla pretesa mancata impugnazione del merito della pretesa fiscale), l’Ufficio – riprodotto integralmente il contenuto dell’atto di appello in cui il medesimo si era dilungato nella dimostrazione della tesi della retroattività -, con riferimento alla seconda ipotesi, ossia la mancata conferma delle ragioni poste dall’Ufficio a base della propria pretesa fiscale, sostiene che nessun obbligo incombe in capo all’Agenzia delle Entrate di ribadire le ragioni giuridiche che stanno alla base dell’esercizio del potere fiscale, il quale è dedotto de jure all’interno del processo; richiamato per sintesi il contenuto della pronuncia della CTP, osserva l’Uffici come il giudice di prime cure aveva accolto il ricorso introduttivo ritenendo fondate le istanze del contribuente concernenti l’esistenza di taluni vizi di natura procedimentale nell’attività accertatrice dell’Ufficio, non aventi ad oggetto alcun profilo concernente la sussistenza del presupposto impositivo, dunque la fondatezza nel merito della pretesa fiscale; la CTR, nell’esaminare l’impugnazione dell’Ufficio, ha esaminato il solo profilo procedimentale, senza esaminare l’altro motivo di appello concernente l’asserito vizio di motivazione per mancata comunicazione del provvedimento di autorizzazione dell’Ufficio all’effettuazione di accertamenti bancari, ritenuto assorbito; l’affermazione della CTR secondo cui l’Ufficio non avrebbe appellato nel merito la sentenza sarebbe quindi errata in quanto l’onere di impugnazione dell’Ufficio si arresta alla censura delle statuizioni sfavorevoli della sentenza gravata, non sussistendo nessun obbligo o necessità di riproposizione degli elementi concernenti la fondatezza della pretesa fiscale, dal momento che essi non sono stati oggetto di decisione da parte della CTP; richiamata giurisprudenza di questa Corte, sostiene l’ufficio che si intendono acquisite al giudizio le ragioni poste alla base dell’atto impositivo impugnato, per cui al fine di devolvere le questioni concernenti la fondatezza nel merito della pretesa fiscale, è sufficiente che l’Ufficio abbia espressamente ribadito la richiesta di conferma dell’atto impugnato, come in effetti avvenuto nel caso di specie, avendo l’Ufficio in sede di appello espresso la volontà di riforma della sentenza della CTP, riferendo all’avviso di accertamento impugnato il contenuto della domanda; da qui l’illegittimità della sentenza impugnata, che si è limitata ad annullare l’avviso di accertamento senza entrare nel merito della pretesa fiscale, come invece avrebbe dovuto.

9. Il contribuente, in sede di controricorso, ha chiesto respingersi il ricorso, chiedendone in via preliminare l’inammissibilità quanto al secondo motivo, deducendo quanto segue sui motivi di cui all’impugnazione.

9.1. Anzitutto, ha sostenuto l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso sotto un duplice profilo, anzitutto, per non aver l’Ufficio contestato in appello quanto deciso nel merito dai primi giudici con riferimento alla verifica bancaria, in secondo luogo, perchè la difesa erariale, sotto il profilo di un’asserita violazione di legge tende ad ottenere una nuova valutazione nel merito della controversia, operazione inibita in questa sede di legittimità; si osserva come nei propri atti difensivi in appello il contribuente aveva nel merito dedotto l’esistenza della prova contraria circa l’estraneità delle operazioni bancarie poste a base dell’accertamento, e che l’Ufficio non aveva contestato le prove prodotte dal contribuente.

9.2. In secondo luogo, quanto al primo motivo di ricorso, con cui l’Ufficio ha sostenuto l’applicabilità retroattiva della presunzione introdotta dall’art. 32 citato ai rapporti antecedenti alla novella di cui alla L. n. 311 del 2004, sostiene il contribuente che detta norma, introducendo una presunzione legale relativa, comporta un’inversione dell’onere della prova, incidendo irrimediabilmente ed in maniera sostanziale nel rapporto Amministrazione/contribuente; tra l’altro, si osserva, nell’anno oggetto di verifica (1999) il contribuente era in regime di contabilità semplificata, con la conseguenza che l’estensione retroattiva della presunzione impone al professionista la ricerca di prove diaboliche su rapporti tributari realizzati sotto una diversa disciplina fiscale, tenendo conto che l’avviso di accertamento è stato notificato nel 2005, ossia quasi sei anni dopo; in definitiva, una norma che incide sull’onere della prova non può che avere per il contribuente natura sostanziale e non procedimentale che incide sui criteri di accertamento, atteso che la disciplina presuntiva, applicata ai professionisti, ha effetti diretti sul processo di ricostruzione del reddito, avendo chiara valenza sostanziale; ne discende la necessità di rispettare quanto previsto dall’art. 11 preleggi e dall’art. 3, St. contr., anche alla luce della lettura della giurisprudenza convenzionale (il riferimento è alla sentenza Corte e.d.u. n. 30345/05 del 23.06.2009), rilevandosi altresì l’esistenza di un comportamento contraddittorio della stessa Amministrazione finanziaria (il riferimento a pag. 15 del controricorso è alle note di metodologia di controllo bar e caffè).

10. Il ricorso dell’Ufficio è infondato.

11. Deve, sul punto, osservarsi che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nella versione ratione temporis applicabile, così stabiliva “alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario, e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”. Le parole “o compensi a base… rapporti od operazioni” sono state sostituite alle precedenti “a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti dalle scritture contabili” dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1, punto 1.2), pubblicata in G.U. 31.12.2004 n. 306, S.O. n. 192.

La difesa erariale ritiene che tale norma abbia portata procedimentale e non sostanziale al fine di sostenerne la natura retroattiva. A tal proposito richiama la giurisprudenza di questa Corte che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, ha affermato che l’utilizzazione dei poteri previsti dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 18 (che, sostituendo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 ha consentito all’Ufficio ed alla Guardia di Finanza di accedere ai conti intrattenuti dal contribuente con aziende di credito e con l’amministrazione postale) anche in riferimento ad annualità precedenti alla sua entrata in vigore non configura un’applicazione retroattiva della disposizione in esame, in quanto non comporta una modificazione sostanziale della posizione soggettiva del contribuente, i cui obblighi nei confronti del fisco restano quelli separatamente contemplati dalle leggi in vigore al tempo della dichiarazione; essa, inoltre, non si traduce in una violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto disposizioni analoghe sono previste ai fini dell’accertamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali, essendo tempestivamente informati delle richieste di acquisizione delle copie dei conti, possono pienamente esercitare, già in sede amministrativa e quindi in sede giurisdizionale, il diritto a fornire documenti, dati, notizie e chiarimenti idonei a dimostrare che le risultanze dei conti non sono in contrasto con le dichiarazioni presentate o non riguardano operazioni imponibili; essa, infine, non contrasta con l’art. 53 Cost., in quanto tende a far emergere la capacità contributiva reale del contribuente (Sez. 5, Sentenza n. 2821 del 07/02/2008, Rv. 601932 – 01; conforme: Sez. 5, Sentenza n. 25909 del 31/10/2017, Rv. 646161 – 01).

12. Trattasi di principio che, affermato in relazione alla previsione della L. n. 413 del 1991, art. 18, non può tuttavia trovare applicazione anche in relazione alla presunzione, introdotta dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1, punto 1.2), ed oggetto di parziale declaratoria di incostituzionalità per effetto della sentenza 6.10.2014 n. 228, in materia di indagini finanziarie che consentiva di desumere l’esistenza di compensi non dichiarati sulla base dei prelevamenti effettuati dai lavoratori autonomi sui loro conti correnti (diversamente, come è noto, la declaratoria di incostituzionalità non concerne i versamenti bancari che non trovano riscontro in contabilità, atteso che la sentenza 228/2014 ha riguardato i soli prelevamenti, per cui in merito ai versamenti rimane l’effetto legale presuntivo; cfr., sul punto, la più recente giurisprudenza di questa Corte: Cass. 9.8.2016 n. 16697).

Ed invero, osserva il Collegio, la pretesa natura procedimentale della norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, come novellato dalla L. n. 311 del 2004, che pone, in favore del fisco, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro normativo previgente, oltre a porsi in contrasto con il tradizionale criterio della sedes materiae, che vede abitualmente le norme in tema di presunzioni collocate nel codice civile e dunque di diritto sostanziale e non già nel codice di rito, porrebbe il contribuente, che sulla base del quadro normativo previgente non avrebbe, ad esempio, avuto interesse alla conservazione di un certo tipo di documentazione, in condizione di sfavore, pregiudicandone l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost..

Quanto sopra, osserva il Collegio, è stato già peraltro affermato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2662 del 02/02/2018, Rv. 647493 – 01) in relazione a fattispecie introduttive di presunzioni legali iuris tantum (nella specie, si trattava della presunzione di evasione sancita, con riferimento agli investimenti ed alle attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1 luglio 2009, in relazione alla quale questa Corte ha escluso potersi attribuire efficacia retroattiva, non potendosi attribuire alla stessa natura processuale), essendo le norme in tema di presunzioni collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile, ed inoltre perchè una differente interpretazione potrebbe – in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – pregiudicare l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione.

E ciò è quanto correttamente ha evidenziato il contribuente nella propria difesa, essendo stato sottolineato come nell’anno oggetto di verifica (1999) il contribuente si trovava in regime di contabilità semplificata, con la conseguenza che l’estensione retroattiva della presunzione finirebbe per imporre al professionista la ricerca di prove diaboliche su rapporti tributari realizzati sotto una diversa disciplina fiscale, tenendo conto che l’avviso di accertamento, nel caso in esame, è stato notificato nel 2005, ossia quasi sei anni dopo. In definitiva, deve convenirsi con il contribuente sulla circostanza che una norma, come quella in esame, che incide sull’onere della prova, non può che avere per il contribuente natura sostanziale e non procedimentale (dunque incidente solo sui criteri di accertamento), atteso che amplia la metodologia di accertamento fondata su presunzioni legali di redditività: la disciplina presuntiva, applicata ai professionisti, ha dunque effetti diretti sul processo di ricostruzione del reddito, ed ha chiara valenza sostanziale.

Ne discende, l’inapplicabilità di tale presunzione a fatti antecedenti alla data della entrata in vigore della novella introdotta dalla L. n. 311 del 2004.

13. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato (essendo infatti superfluo l’esame del secondo motivo di ricorso, che presupporrebbe la retroattività della presunzione di cui all’art. 32 citato all’annualità 1999, come già detto, da escludersi), il ricorso dev’essere respinto, con conseguente conferma integrale dell’impugnata sentenza.

14. La sostanziale novità della questione, unitamente all’intervenuta declaratoria di incostituzionalità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per effetto della sentenza n. 228 del 2014, suggerisce la compensazione integrale delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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