Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2784 del 08/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2010, (ud. 18/12/2009, dep. 08/02/2010), n.2784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3028/2009 proposto da:

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

6, presso lo studio dell’avvocato MACRO RENATO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PIETROFORTE GINO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSERVA PIETRO & FIGLI SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO

38, presso lo studio dell’avvocato CANESTRELLI FABIO, rappresentata

e difesa dall’avvocato GOFFREDO LEONARDO, giusta delega a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3796/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI del

6/10/08, depositata il 13/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito l’Avvocato udito l’Avvocato Marchio Francesco, (delega Avvocato

Pietroforte Gino), difensore del ricorrente che si riporta agli

scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di Appello di Bari, con sentenza depositata il 13.10.2008, ha riformato la decisione di primo grado ed ha respinto la domanda di C.T., autista di autoarticolati inquadrato nel 3^ livello super CCNL di categoria, intesa ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto il 15.2.1996 dalla società Conserva Pietro e Figli s.r.l., esercente autotrasporti per conto terzi, dalla quale era stato assunto il 20.11.1995. A sostegno della decisione la Corte di Appello ha rilevato che dalle deposizioni testimoniali assunte e dai registri della società era risultato provato il giustificato motivo del licenziamento, costituito dalla riduzione di lavoro per il venir meno di una commessa della società Mira Lanza.

Per la cassazione di tale sentenza C.T. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi con i quali ha denunciato: a) erronea interpretazione delle prove testimoniali; b) violazione dell’art. 2722 c.c., per avere il giudice di appello posto a fondamento della sua decisione testimonianze che non potevano essere assunte perchè in contrasto con il contenuto di documenti (nella specie, libro matricola della società).

La società intimata resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il primo motivo, con il quale si censura l’interpretazione del materiale probatorio fatta dal giudice di appello, è destituito di fondamento. Si ricorda che per costante giurisprudenza di questa Corte la valutazione delle prove testimoniali e documentali spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se detta valutazione non è sorretta da motivazione congrua ovvero se la motivazione presenti vizi logici e giuridici; che con il ricorso per cassazione non è possibile chiedere al giudice di legittimità una diversa valutazione delle prove, rispetto a quella ritenuta dal giudice di merito, ma soltanto indicare i vizi logici, le contraddizioni e le lacune della motivazione che non consentono di ricostruire l’iter logico che sorregge la decisione (cfr. tra le tante Cass. 6064/2008, n. 17076/2007); che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentito al giudice di legittimità di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione degli atti di causa (cfr. tra le tante Cass. n. 18214/2006, n. 3436/2006).

La Corte territoriale ha dato compiuta ragione della sua decisione ravvisando il giustificato motivo oggettivo del licenziamento nella mancanza di commesse per l’anno 1996 e nel venir meno di una importante commessa da parte della società Mira Lanza; ha altresì rilevato che dai libri aziendali risulta che i quattro autisti assunti nel gennaio 1996 erano inquadrati come “autista pat. (OMISSIS) livello” e non come “autista di bilici (OMISSIS)” e che l’azienda per oltre due anni e mezzo non ha proceduto all’assunzione di “autisti di bilici (OMISSIS)”.

Nella specie, dunque, le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione; per contro, le censure mosse dal ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal giudice di merito in senso contrario alle aspettative del medesimo ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

Parimenti infondato è il secondo motivo, atteso che il ricorrente erroneamente attribuisce all’art. 2722 c.c., una valenza generale che esorbita chiaramente dal campo contrattuale in relazione al quale la norma è stata formulata. Nella specie, infatti, non vi è alcun contrasto tra deposizioni testimoniali e “patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea”, bensì si allega un asserito contrato tra deposizioni testimoniali ed il contenuto di annotazioni riportate nel libro matricola della società, documento unilateralmente formato da una parte, e di cui peraltro il giudice di appello si è fatto carico spiegandone le ragioni.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 30,00, per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2010

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