Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2784 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 02/02/2017, (ud. 19/10/2016, dep.02/02/2017),  n. 2784

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4294 – 2016 R.G. proposto da:

P.D., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Alessandro

Mario Travia ed elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza

Capranica, n. 95, presso lo studio dell’avvocato Marcella Zappia;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO NOTARILE dei DISTRETTI RIUNITI di VICENZA e BASSANO DEL

GRAPPA, – c.f. (OMISSIS) – in persona del presidente pro tempore,

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in data

22.3.2016 dall’avvocato professor A.E.M. ed

elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. Nicotera, n. 29,

presso lo studio dell’avvocato Roberto Puglisi;

– controricorrente –

e

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

VENEZIA;

– intimato –

e

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI UDINE;

– intimato –

e

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VICENZA;

– intimato –

Avverso l’ordinanza dei 25.6/23.7.2015 della corte d’appello di

Venezia;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 19

ottobre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Alessandro Mario Travia per il ricorrente;

Udito l’avvocato professor A.E.M. per il

controricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il presidente del consiglio notarile distrettuale di Vicenza, debitamente autorizzato, promuoveva procedimento disciplinare a carico del notaio P.D..

Prospettava che nel corso dell’ispezione ordinaria nei confronti del medesimo notaio relativa al biennio 2011 – 2012 era emerso che in numerosi atti l’impronta del sigillo non risultava esser stata apposta con lo stesso strumento approntato dalla zecca dello Stato e consegnato al notaio dal consiglio distrettuale; che tale riscontro era stato operato sia con riferimento all’impronta del sigillo relativo alla sede di (OMISSIS) sia con riferimento all’impronta del sigillo relativo alla sede di (OMISSIS), ove il notaio P. era stato trasferito nel dicembre 2012.

Indi adduceva che l’acclarata condotta costituiva non solo violazione dell’art. 37 del regolamento notarile – violazione per la quale vi era stata regolare oblazione – ma altresì violazione dell’art. 147 Legge Notarile, siccome lesiva del decoro e del prestigio della classe notarile.

Instava dunque per l’irrogazione della sanzione della sospensione per la durata di due mesi.

Con memoria in data 22.11.2013 si costituiva il procuratore della repubblica di Vicenza che integralmente aderiva alla formulata richiesta.

Con memoria in data 21.1.2014 si costituiva il notaio P.D..

Deduceva a giustificazione della sua condotta che aveva constatato che su diversi atti non era stata apposta l’impronta del sigillo di (OMISSIS), sigillo che aveva restituito al consiglio notarile a seguito del suo trasferimento presso la sede di (OMISSIS); che, onde porvi rimedio, aveva fatto realizzare un timbro in gomma riproducente l’impronta del sigillo di (OMISSIS) tramite una sua dipendente, la quale, al contempo, di sua esclusiva iniziativa aveva fatto predisporre un ulteriore timbro riproducente l’impronta del sigillo di (OMISSIS); che, apposta sugli atti che ne erano privi con il timbro in gomma l’impronta del sigillo di (OMISSIS), ambedue i timbri erano stati distrutti.

Deduceva altresì che la medesima condotta non poteva in pari tempo integrare violazione dell’art. 37 del regolamento notarile e dell’art. 147 Legge Notarile nè vi era prova che il suo comportamento fosse divenuto di pubblica conoscenza, sicchè non era sufficiente la mera potenzialità lesiva.

Con decisione del 29.3.2014 la CO.RE.DI. dichiarava sussistente la violazione di cui all’art. 147, lett. a) Legge Notarile e, denegate le attenuanti generiche, irrogava la sanzione della sospensione per la durata di due mesi.

In data 12.11.2014 proponeva reclamo alla corte d’appello di Venezia il notaio P.D..

Chiedeva l’assoluzione da ogni addebito ed in via gradata l’irrogazione della censura, dell’avvertimento ovvero, ancora, di una sanzione pecuniaria.

Resisteva il consiglio notarile dei distretti riuniti di Vicenza e di Bassano del Grappa.

Con ordinanza dei 25.6/23.7.2015 la corte d’appello di Venezia rigettava il reclamo e condannava il reclamante alle spese.

Esplicitava, la corte, che l’eccezione di nullità della decisione della CO.RE.DI. per violazione del contraddittorio era destituita di fondamento alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale di questo Giudice di legittimità.

Esplicitava, in ordine al motivo di doglianza con cui si era censurata la decisione della CO.RE.DI. nella parte in cui aveva cumulato le violazioni di cui agli artt. 37 del regolamento notarile e art. 147 Legge Notarile in asserito spregio al canone lex specialis derogat generali, che il motivo era inammissibile “perchè trascura le argomentazioni svolte dalla Coredi a supporto dell’alterità delle fattispecie disciplinari” (così ordinanza impugnata, pag. 10) e, quindi, a dimostrazione della diversità dei beni salvaguardati mercè la prefigurazione e dell’una e dell’altra violazione.

Esplicitava ancora, in ordine all’assunto secondo cui non si configurava la violazione dell’art. 147 Legge Notarile, “perchè non vi era stata propalazione e diffusione a terzi dell’uso del sigillo non originale” (così ordinanza impugnata, pag. 12), che dal complesso delle spontanee dichiarazioni rese dal notaio P. in data 8.1.2014 si desumeva indiscutibilmente che i sigilli di gomma erano due, sicchè non era convincente la tesi difensiva secondo cui la decisione era stata resa inevitabile dalla necessità di regolarizzare copie di atti rogati a (OMISSIS) perchè analogo bisogno non è rinvenibile rispetto a quelli stipulati a (OMISSIS)” (così ordinanza impugnata, pag. 13); che d’altronde l’utilizzo del sigillo di (OMISSIS) risultava dal verbale – 31 gennaio 2014 avanti alla CO.RE.DI.- (così ordinanza impugnata, pag. 13); che perciò “l’uso del sigillo non genuino non è stato sporadico o necessitato” (così ordinanza impugnata, pagg. 13 – 14) e contemporaneamente doveva escludersi che il verificarsi di un’eco negativa nella comunità integrasse un elemento costitutivo di tale illecito ovvero che occorresse la prova della sua esistenza.

Esplicitava infine, in ordine alla pretesa eccessività della sanzione, all’omessa applicazione dell’art. 11 Legge Notarile ed all’insussistenza della recidiva, che le circostanze all’uopo addotte non avevano alcuna valenza, atteso che il notaio non aveva ritenuto di consegnare i sigilli in sede ispettiva nè risultava alcuna riparazione del danno; che d’altra parte, siccome aveva condivisibilmente ritenuto la CO.RE.DI., non vi era margine per il riconoscimento delle attenuanti generiche con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria; che invero la violazione contestata era particolarmente grave ed era stata posta in essere con piena consapevolezza ed ulteriori violazioni, per le quali era stato instaurato un diverso procedimento, erano emerse nel corso dell’ispezione a carico del notaio P., il quale era stato condannato con decisione del 21.10.2011 “per non aver assistito alla sede di (OMISSIS) nei giorni in cui ne aveva obbligo” (così ordinanza impugnata, pag. 17).

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso P.D.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Vicenza e di Bassano del Grappa ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso.

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la corte d’appello di Venezia, il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Udine ed il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vicenza non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, artt. 1, 7 e 21 e dell’art. 97 Cost..

Deduce che la corte di merito ha erroneamente respinto l’eccezione di nullità della decisione della CO.RE.DI., formulata ai sensi della L. n. 241 del 1990, dell’art. 97 Cost. e dei principi comunitari, per violazione del contraddittorio in dipendenza dell’omessa previa comunicazione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 7 e della conseguente omessa sua preliminare audizione in ordine ai fatti contestatigli.

Deduce infatti che sin dalla fase precedente all’avvio del procedimento disciplinare avrebbe avuto diritto di esplicare le sue difese; che del resto la sua partecipazione al procedimento disciplinare rispondeva non soltanto ad un’esigenza di garanzia, ma pur ad un’esigenza istruttoria, finalizzata all’acquisizione di dati ed al compiuto accertamento dei fatti.

Il motivo è destituito di fondamento.

E’ sufficiente ribadire l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua nella fase che precede il formale promovimento del procedimento disciplinare non si prospetta l’esigenza di garantire il diritto di difesa, esigenza che, viceversa, si impone unicamente nella fase amministrativa contenziosa conseguente all’instaurazione del medesimo procedimento (cfr. Cass. 4.3.2013, n. 5270; cfr. altresì Cass. Sez. un. 31.7.2012, n. 13617, secondo cui, in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, non è necessaria la comunicazione prescritta dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7 allorchè il presidente del consiglio notarile investa quest’ultimo del promovimento della procedura).

E ciò, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui la corte distrettuale ha dato atto che la pretesa violazione del contraddittorio non aveva “in fatto” ragion d’esser, atteso che il verbale d’ispezione in data 1.8.2013 dava riscontro della presenza del notaio.

Va debitamente soggiunto al contempo che nella fase successiva al formale promovimento del procedimento disciplinare il diritto di difesa del ricorrente ha ricevuto compiuta espressione: lo stesso ricorrente ha riferito di essersi costituito con memoria in data 21.1.2014 (cfr. ricorso, pag. 3).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 147 Legge Notarile e dell’art. 37 del regolamento notarile.

Deduce che l’art. 147, lett. a) Legge Notarile sanziona comportamenti non tipizzati, sicchè, qualora la condotta oggetto di contestazione sia riconducibile ad una puntuale previsione sanzionatoria, siccome quella di cui all’art. 37 del regolamento notarile, esclusivamente la specifica previsione che ha da trovar applicazione.

Deduce inoltre che l’art. 147, lett. a), deve essere applicato “solo se e nella misura in cui la fattispecie concreta realizza un plus rispetto alla mera fattispecie (…) dell’art. 37, u.c. Regolamento notarile” (così ricorso, pag. 11).

Deduce quindi che, al di là dell’irregolarità formale costituita dall’uso di un sigillo alternativo, un simile comportamento non è di gravità tale da esser ricondotto alla previsione dell’art. 147, lett. a) Legge Notarile.

Il motivo del pari è destituito di fondamento.

Al riguardo vanno senz’altro condivisi i rilievi della corte territoriale (a loro volta riflesso della decisione della “CO.RE.DI.”) per cui l’art. 37 del regolamento – mira a tutelare il rispetto della complessa procedura alla quale è subordinata la creazione del sigillo, la consegna, la custodia e restituzione dello stesso da parte del notaio, quando non ha più titolo per detenerlo” (così ordinanza impugnata, pag. laddove l’art. 147 Legge Notarile sanziona “la lesione del decoro del prestigio della classe notarile” (così ordinanza impugnata, pag. 10).

Del resto questa Corte spiega che, in materia di responsabilità disciplinare dei notai, la L. n. 89 del 1913, art. 147, lett. a), configura come illecito condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonchè il decoro ed il prestigio della classe notarile, la cui individuazione in concreto è rimessa agli organi di disciplina (cfr. Cass. 28.8.2015, n. 17266; cfr. altresì Cass. 3.6.2015, n. 11451, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 Legge Notarile nella parte in cui prevede come illecito disciplinare ogni condotta del notaio che comprometta la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile, in riferimento all’art. 25 Cost.).

In questi termini vanno senza dubbio recepite le conclusioni cui la corte veneziana è pervenuta.

Ovvero la conclusione per cui l’oblazione per la violazione di cui all’art. 37 non era di ostacolo al procedimento per la violazione di cui all’art. 147.

Ovvero la conclusione per cui, contrariamente all’assunto del ricorrente (la creazione di un ulteriore timbro da parte del soggetto autorizzato a farne uso, “non è fatto cui sia stato attribuito dallo stesso legislatore un alto disvalore sociale o fatto da creare un allarme sociale tale da essere punito con una sanzione più pesante”. così ricorso, pag. 12), il fatto contestato costituisce sicuramente violazione dell’art. 147 Legge Notarile, atteso che “procurarsi ed utilizzare dei timbri che riproducano l’impronta del sigillo originario rappresenta indubbiamente un comportamento lesivo del decoro e del prestigio della classe notarile (oltre che del singolo notaio autore dell’illecito)” (così ordinanza impugnata, pag. 11).

D’altronde è innegabile che la duplicazione del sigillo ne volgarizza la funzione, ne svilisce la natura di strumento di attestazione su cui si radica la pubblica fede. Ed in tale imprescindibile proiezione a nulla rileva che – gli atti notarili sono pienamente validi anche se non ci fosse mai il sigillo” (così ricorso, pag. 14).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che la corte d’appello ha ritenuto di prescindere dagli specifici mezzi di prova che all’uopo aveva articolato; che al contempo la corte lagunare non ha tenuto nella debita considerazione che le circostanze di cui ai capitoli di prova – non sono state, di fatto, contestate dal Consiglio Notarile, che neppure ha fornito adeguati elementi probatori a prova contraria” (così ricorso, pag. 18).

Deduce in pari tempo che giammai ha riconosciuto di aver utilizzato anche il timbro recante l’impronta del sigillo della sede di (OMISSIS); che d’altra parte Consiglio notarile non ha indicato nè esibito quali siano gli atti sui quali risulterebbe apposto il timbro di gomma di (OMISSIS)” (così ricorso, pag. 20).

Il motivo non merita seguito.

Si rappresenta previamente che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980), quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ben avrebbe dovuto il ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto vaglio dei suoi assunti, riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso il testo dei capitoli di prova “che non sono mai stati tenuti in considerazione e/o ammessi” (così ricorso, pag. 18) ed il testo delle dichiarazioni dal ricorrente rese all’udienza del 31.1.2014.

Si rappresenta comunque che la statuizione impugnata è – siccome dei 25.6/23.7.2015 – soggetta alle novità introdotte con il D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, ed applicabili alle sentenze pubblicate (in generale ai provvedimenti pubblicati) dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.

Conseguentemente il vizio motivazionale che il mezzo di impugnazione de qua agitur veicola, rileva nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (“per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti).

In tal guisa, evidentemente, riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, da un canto, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (disposta dal D.Lgs. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”. nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, dall’altro, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nei termini esposti si rappresenta quanto segue.

Per un verso, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte di Venezia ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte di merito ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (si vedano le pagg. 13/15 dell’ordinanza impugnata).

Per altro verso, che la corte veneta ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa (ovvero la creazione di due sigilli non genuini).

Del resto, nella fattispecie il ricorrente censura l’asserita erronea valutazione delle risultanze istruttorie (“si è omesso di valutare i fatti per come prospettati dal reclamante ma soprattutto per come ammessi, accettati/non contestati dai reclamati”: così ricorso, pag. 19).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

In ogni caso si rappresenta quanto segue.

Da un canto, che devesi escludere che il verificarsi di un’eco negativa nella comunità integri un elemento costitutivo dell’illecito di cui all’art. 147, lett. a) Legge Notarile, sicchè devesi viepiù disconoscersi che occorra la prova della sua esistenza (cfr. Cass. 21.1.2014, n. 1170).

Dall’altro, che non è censurabile in sede di legittimità il giudizio (anche implicito) espresso dal giudice di merito in ordine alla superfluità della prova testimoniale dedotta da una parte, specie quando lo stesso giudice abbia, con ragionamento logico e giuridicamente corretto, ritenuto di avere già raggiunto, in base all’istruzione probatoria già esperita, la certezza degli elementi necessari per la decisione (cfr. Cass. 27.7.1993, n. 8396). Ed, altresì, che la motivazione di rigetto di un’istanza di mezzi istruttori non deve essere necessariamente data in maniera espressa, potendo la stessa ratio decidendi, che ha risolto il merito della lite, valere da implicita esclusione della rilevanza dei mezzi dedotti ovvero da implicita ragione del loro assorbimento in altri elementi acquisiti al processo (cfr. Cass. 16.6.1990, n. 6078).

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 144 e 145 Legge Notarile; denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che nella fattispecie sussistono le condizioni – circostanze attenuanti, eliminazione delle conseguenze dannose, riparazione integrale del danno – di cui all’art. 144 Legge Notarile perchè si faccia luogo alla sostituzione ovvero alla riduzione della sanzione.

Deduce altresì che occorreva tener conto delle circostanze specificamente ammesse dal consiglio notarile, ossia che l’utilizzo del sigillo non originale è avvenuto ad uso interno, al fine di completare atti privi del sigillo originale, che gli atti erano stati ricontrollati unicamente allorchè il sigillo originale era stato riconsegnato al consiglio notarile di Vicenza, che al tempo delle contestate violazioni versava in una difficile situazione personale e familiare, che i fatti contestati sono rimasti del tutto riservati e la divulgazione, circoscritta alle persone coinvolte nell’iter procedimentale, è avvenuta successivamente all’apertura del procedimento disciplinare.

Deduce inoltre che dalla violazione contestatagli, di indubbia natura non patrimoniale, non solo non è scaturita conseguenza economica in pregiudizio di alcuno, ma gli eventuali interessati verosimilmente neppure ne sono venuti a conoscenza.

Deduce ancora che, “se la condotta commissiva contestata è la creazione del timbro, l’attività eguale e contraria richiesta dalla legge non può che essere la sua distruzione. Cosa che effettivamente è stata fatta (…) non appena si è accorto di quanto avvenuto nel suo studio” (così ricorso. pag. 24).

Il motivo parimenti è immeritevole di seguito.

Si premette che il motivo in disamina si specifica e si qualifica, propriamente, in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Occorre tener conto, da un lato, che il ricorrente col motivo de quo censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte distrettuale ha atteso ai fini del concreto riscontro delle astratte condizioni cui l’art. 144, comma 1 Legge Notarile riconnette la diminuzione ovvero la sostituzione della sanzione (la corte d’appello non poteva “non considerare tali argomenti (…) quali circostanze attenuanti ai fini della quantificazione della pena inflitta”: così ricorsi, pag. 22).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Su tale scorta si rappresenta che il vizio motivazionale che il mezzo di impugnazione in esame veicola, analogamente rileva nel segno della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), talchè analogamente riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità dapprima menzionato.

In questi termini non solo è da escludere l’anomalia della motivazione “apparente”, giacchè la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato l’iter argomentativo seguito (si vedano le pagg. 15/17 dell’ordinanza impugnata), ma è da reputare in pari tempo che la corte territoriale ha sicuramente disaminato i fatti caratterizzanti, in parte qua, la res litigiosa.

D’altronde, pur al riguardo P.D. censura l'(asserita) erronea valutazione delle risultanze processuali operata dalla corte d’appello (“nel caso in esame, in particolare, andava tenuto conto (…)”così ricorso, pag. 21).

E nondimeno siffatta doglianza non è ascrivibile al novello paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Da ultimo, comunque, non è inopportuno puntualizzare quanto segue.

In primo luogo che del tutto ingiustificato è assumere che ci si è adoperati al fine di “eliminare le conseguenze dannose della violazione”.

Invero la distruzione dei timbri in gomma riproducenti l’impronta dei sigilli relativi alle sedi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) non era di certo idonea ad elidere la significativa menomazione del decoro e del prestigio della funzione notarile che era stata cagionata.

In secondo luogo che la corte territoriale non ha inteso far riferimento a specifiche recidive nel segno dell’art. 145 della legge notarile, ma ha inteso unicamente, allorchè ha denegato la concessione delle attenuanti generiche, porre in risalto, tra l’altro, che il ricorrente, siccome ha addotto il consiglio controricorrente, “non è esente da incidenti disciplinari” (così controricorso, pag. 25).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

Nessuna statuizione in ordine alle spese va assunta nei confronti degli intimati.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 17.2.2016. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, P.D., a rimborsare al controricorrente, Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Vicenza e di Bassano del Grappa, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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