Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27837 del 12/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27837 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 18279-2008 proposto da:
GIULIANI ALESSANDRA nq di erede della Sig.ra DE LUCA
DI LIZZANO SIMONETTA, elettivamente domiciliata in
ROMA VIA QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio
dell’avvocato GIRELLI GIOVANNI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato TINELLI GIUSEPPE
giusta delega a margine;
– ricorrente contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del
Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in
persona del Direttore pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 12/12/2013

’ domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta
e difende ope legis;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 56/2007 della COMM.TRIB.REG.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/10/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato TINELLI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI
che si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SERE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

di CATANZARO, depositata il 24/05/2007;

18279-08

Svolgimento del processo
Con ricorso alla commissione tributaria di Cosenza,
Simonetta De Luca Di Lizzano impugnava un avviso di
liquidazione dell’Invim, emesso dal locale ufficio del
registro a seguito della rettifica del valore di un

terreno da essa alienato in data 24 dicembre 1973.
Nel contraddittorio con l’agenzia delle entrate, l’adita
commissione dichiarava il ricorso inammissibile, ritenendo
ostare al suo esame l’art. 6 del d.p.r. n. n. 731 del
1981, di modifica dell’art. 15 del d.p.r. n. 636 del 1972
all’epoca vigente, non essendo stata dalla contribuente
allegata al ricorso la copia dell’atto impugnato.
La sentenza è stata confermata, in appello, dalla
commissione tributaria regionale della Calabria, che ha
condiviso la prospettazione secondo cui la mancata
allegazione, al ricorso, di copia dell’atto impugnato
costituiva causa di inammissibilità del ricorso stesso.
In consecuzione, la commissione ha aggiunto che la dedotta
pendenza, dinanzi alla corte d’appello di Catanzaro, di
una causa civile involgente la asserita proprietà
demaniale di un’ampia porzione del terreno compravenduto
non legittimava la riforma della decisione di primo grado.
Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso
per cassazione, articolando sette motivi, Alessandra
Giuliani, erede della parte originaria deceduta dopo la
pubblicazione della decisione.
L’amministrazione ha replicato con controricorso.

1

La ricorrente ha depositato una memoria.
Motivi della decisione
I. – Il ricorso per cassazione risulta così articolato.
Col primo motivo, denunciando la violazione e la falsa
applicazione dell’art. 15 del d.p.r. n. 636 del 1972, la
ricorrente chiede alla corte di dire se la mancata

allegazione al ricorso in commissione tributaria della
copia dell’avviso di liquidazione impugnato possa, o meno,
comportare, come stabilito in sentenza, una pronuncia di
inammissibilità del ricorso stesso.
Col

secondo

motivo,

si

deduce

l’insufficiente

e

contraddittoria motivazione della sentenza su punto
controverso (art. 360, n. 5, c.p.c.).
Col terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e
la falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del
1992, sul rilievo che la commissione tributaria regionale
avrebbe dovuto riformare, in base alla norma citata, la
decisione di primo grado per non aver utilizzato i poteri
d’ufficio tesi a imporre alle parti il deposito della
copia dell’atto impugnato, ritenuto essenziale ai fini
della decisione.
Col quarto mezzo, la ricorrente ulteriormente denunzia un
vizio di omessa motivazione su fatto controverso (art.
360, n. 5, c.p.c.).
Col quinto, la violazione e la falsa applicazione del
combinato disposto dell’art. 38 del d.p.r. n. 131 del 1986
e dell’art. 31 del d.l. n. 429 del 1982, conv. in l. n.
516 del 1982, sul rilievo che, essendo nel frattempo

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intervenuto il giudicato civile sulla questione relativa
alla titolarità (di parte) dell’immobile in capo al
demanio, l’agenzia delle entrate avrebbe dovuto procedere
“alla rideterminazione, sulla base dell’art. 31 cit.,
dell’imposta Invim da condono”, imposta che era stata a
suo tempo calcolata in relazione all’atto ritualmente

Col sesto motivo,

impugnato.
denunciando violazione e falsa

applicazione dell’art. 2909 c.c., la ricorrente eccepisce
essere stata la sentenza della commissione tributaria
regionale emessa in contrasto con la statuizione suddetta,
passata in giudicato, della corte d’appello di Catanzaro,
adottata a conclusione del giudizio civile inteso ad
accertare la proprietà damaniale della porzione del
terreno compravenduto.
Col settimo motivo, infine, deduce la violazione dell’art.
295 c.p.c., affermando che la commissione tributaria
regionale avrebbe dovuto in ogni caso sospendere il
giudizio tributario, appunto in attesa della definizione
della questione pregiudiziale allora pendente dinanzi alla
corte d’appello di Catanzaro.
– Il ricorso è fondato con riferimento al primo e al
terzo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto
strettamente connessi.
Giova premettere che la commissione tributaria regionale
ha reso la decisione sulla base di un’unica

ratio,

incentrata sulla inammissibilità del ricorso in sede
giurisdizionale in quanto, nell’ottica di cui al d.p.r. n.

3

636-72,

art.

15,

allora

vigente,

era mancata

la

produzione, a onere della contribuente, di copia dell’atto
impugnato. La restante argomentazione, che nella sentenza
attiene alla ritenuta irrilevanza della simultanea
pendenza (allora) della causa civile concernente la
rivendicazione della proprietà demaniale su parte del

terreno, non assume dignità di ratio decidendi, a essa non
essendo stata affidata la statuizione di conferma
dell’inammissibilità dichiarata in primo grado.
III. – La tesi dell’inammissibilità del ricorso, per
mancata allegazione, a questo, di copia dell’atto
impugnato, è giuridicamente errata. Sicché la sentenza va
cassata sullo specifico punto.
Difatti l’art. 15 del d.p.r. n. 636 del 1972,

pro tempore

vigente allorché il ricorso introduttivo del giudizio
tributario era stato proposto, imponeva al ricorso alla
commissione tributaria di contenere: a) l’indicazione
della commissione adita; b) l’oggetto della domanda; c)
l’indicazione dell’atto, cui la controversia si riferisse,
oppure dell’ufficio tributario nei confronti del quale il
ricorso era proposto; d) i motivi; e) le indicazioni
necessarie per individuare il ricorrente e, se del caso,
il suo legale rappresentante nonché la residenza e il
domicilio eventualmente eletto; f) la sottoscrizione del
ricorrente o del suo legale rappresentante o del
procuratore alla lite.

4

La norma aggiungeva che al ricorso doveva essere allegata
“copia in carta semplice dell’atto di cui alla lettera c)
del comma precedente”.
Il ricorso era affermato inammissibile “se manca o risulta
assolutamente incerto uno degli elementi indicati nel
primo comma, salvo quando disposto dal terzo comma

dell’art. 32- bis”.
Questa corte, con riguardo alla corrispondente previsione
dell’art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha
definitivamente chiarito che, in tema di contenzioso
tributario, la sanzione processuale della inammissibilità
del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato
deposito degli atti e documenti espressamente previsti
[per il nuovo contenzioso, dal l ° comma dell’art. 22
d.lgs. n. 546 del 1992, non anche degli atti previsti dal
40 comma dello stesso articolo]. Sicché è stato
affermato – l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato
può essere prodotto anche in un momento successivo ovvero
su impulso del giudice tributario, che si avvalga, per le
cause soggette al d.lgs. n. 546 del 1992, dei poteri
previsti dal 5 ° comma del citato art. 22 (Cass. n. 1887207; n. 4431-10).
Il principio rileva anche in rapporto al testo dell’art.
15 dell’anteriore d.p.r. n. 636-72.
La conclusione, seppure avversata da una parte ben vero
minoritaria

della

dall’interpretazione

dottrina,

è

infatti

sorretta

sistematica e letterale – del

5

d.p.r. n. 636 del 1972, anche tenuto conto della scelta
ribadita nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 22.
Ne

risulta

che

la

sanzione

processuale

della

inammissibilità del ricorso è pur sempre da relegare
nell’alveo delle misure eccezionali, siccome funzionali
alla chiusura del processo in rito. Donde, con riguardo

alle controversie soggette al regime processuale
previgente, poteva essere disposta soltanto per mancanza o
assoluta incertezza di uno degli elementi indicati nel
primo comma del ripetuto art. 15.
E del resto, quanto all’omesso deposito di atti e
documenti, nessuna disposizione del d.p.r. consentiva
un’esegesi sanzionatoria del tipo di quella affermata
dalla sentenza.
Anche con riguardo al regime processuale previgente era da
considerare corretta – allora – la conclusione che il
mancato deposito dell’atto impugnato, ove di questo
fossero stati correttamente indicati gli estremi
identificativi, poteva essere supplito dalla produzione
anche in un momento successivo, ed eventualmente su
impulso del giudice tributario, che si fosse avvalso di
poteri conformi a quelli previsti, al riguardo, dal quinto
comma dell’attuale art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992.
IV. – Può aggiungersi che non si è mai dubitato,
nell’ambito del contenzioso tributario, che l’acquisizione
d’ufficio dei documenti necessari per la decisione
costituisse una facoltà discrezionale attribuita alle
commissioni tributarie; facoltà dapprima contemplata per

6

implicito, in base ai principi che governano il processo
documentale, e infine espressamente prevista dall’art. 7,
3 ° co., d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Se è vero che l’esercizio di tale potere processuale non
può sopperire al mancato assolvimento dell’onere della
prova dei fatti a ciascuna parte rimessi secondo il

criterio distributivo ex art. 2697 c.c., è anche vero che,
qualora la situazione probatoria sia tale da impedire la
pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata senza
l’acquisizione d’ufficio di un documento essenziale (come
certamente è l’atto impugnato, che non è atto del
processo), l’esercizio di tale potere istruttorio si
configura come un dovere, il cui mancato assolvimento
dev’essere per lo meno compiutamente motivato (cfr. per
utili riferimenti applicativi Cass. n. 905-06; n. 461708)
V. – L’impugnata sentenza si è discostata dai principi
sopra evidenziati, e per questo va cassata con rinvio alla
medesima

commissione

tributaria

regionale,

diversa

sezione, la quale provvederà a esaminare la regiudicanda
nel merito.
VI. – I restanti motivi sono invece inammissibili.
E’ appena il caso di osservare che nel secondo e nel
quarto, col quale si deducono vizi della motivazione, è
stata omessa la sintesi necessaria a specificare il fatto
controverso, decisivo per il giudizio, in relazione al
quale la motivazione andrebbe considerata carente.

7

Il quinto, il sesto e il settimo non sono assistititi da
interesse.
Invero la commissione tributaria regionale, ribadendo
l’inammissibilità del ricorso, si è spogliata della
potestas iudicandi sul merito, né l’argomentazione contro

assunto – come detto – dignità di ratio.
VII. – In conclusione, quindi, accolti il primo e il terzo
motivo, e ritenuti inammissibili gli altri, l’impugnata
sentenza va cassata con rinvio.
Il giudice di rinvio si uniformerà ai principi di diritto
sopra richiamati e provvederà anche sulle spese del
giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
p.q.m.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo; dichiara
l’inammissibilità degli altri; cassa l’impugnata sentenza
in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le
spese del giudizio di cassazione, alla commissione
tributaria regionale della Calabria.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

la quale i detti motivi sono volti ha nella sentenza

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