Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27833 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 30/10/2019), n.27833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26358-2014 proposto da:

CINIGLIO CASA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE CAMILLO

SABATINI 150, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CEPPARULO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA AMATUCCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4161/2014 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 05/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

RILEVATO

che:

La Ciniglio Casa s.r.l. propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 4161/50/14, depositata il 5.05.2014 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che, confermando la decisione di primo grado, aveva annullato solo parzialmente l’avviso di accertamento notificato dalla Agenzia delle Entrate alla contribuente con il quale era rettificato il reddito della società ai fini Ires, Irap e Iva relativamente all’anno d’imposta 2007;

riferisce che la rideterminazione del reddito era fondata su un accertamento parziale, condotto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, utilizzando documentazione extracontabile -liste nozze corredate di note di versamenti – rinvenuta presso la sede sociale dai militari della GdF.

Era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, che con sentenza – n. 685/28/2012 aveva parzialmente accolto il ricorso, riconoscendo la correttezza dell’accertamento parziale, fondato su modalità analitico-induttive, ma riducendo l’importo dei ricavi, perchè non adeguatamente supportata la percentuale di ricarico applicata alla merce inventariata dai verificatori e condivisa dalla Agenzia.

La contribuente, che contestava il fondamento dell’atto impositivo, aveva appellato la sentenza dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale campana, che tuttavia aveva confermato le statuizioni del giudice di primo grado.

La società si duole della sentenza con due motivi:

con il primo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per vizio logico della motivazione, per non aver tenuto conto che l’accertamento parziale può essere solo analitico ed utilizzabile solo in presenza di elementi reddituali certi e non presuntivi, laddove nel caso di specie era fondato su documentazione extracontabile;

con il secondo per vizio di motivazione su un punto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere erroneamente ritenuto che la società non aveva sollevato alcuna contestazione sui dati contenuti nelle liste nozze, laddove la contribuente aveva sempre eccepito la motivazione per relationem e la mancata allegazione della documentazione relativa alle liste nozze.

Chiede pertanto la cassazione della sentenza con ogni provvedimento consequenziale.

L’Agenzia, cui risulta ritualmente notificato il ricorso, non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo la società si duole del vizio di interpretazione della disciplina dedicata all’accertamento parziale, sostenendo che, a fronte di un accertamento fondato su un’analisi induttiva extracontabile, non poteva farsi ricorso alle modalità previste dall’art. 41 bis cit., che al contrario richiede l’evidenza di “circostanze reddituali e fattuali tendenzialmente certe”.

Il motivo sfiora innanzitutto l’inammissibilità perchè lamenta genericamente anche un vizio motivazionale, senza distinguere sotto quali aspetti le censure afferiscano all’error iuris in iudicando e sotto quali altri all’errore di motivazione. In ogni caso, anche volendo sostenere che il riferimento al vizio di motivazione sia solo una mera affermazione di principio, priva di forza e contenuto critico propriamente impugnativo, il motivo è infondato.

Il ricorso all’accertamento parziale previsto dall’art. 41 bis cit. rappresenta uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie.

Quanto al presupposto della segnalazione proveniente dalla GdF o dagli altri organi indicati nell’art. 41 bis, oppure dall’Anagrafe Tributaria, è stato innanzitutto chiarito che la segnalazione pervenuta non deve essere necessariamente di particolare semplicità, requisito che non emerge dal contesto normativo, potendo invece basarsi su una verifica generale (cfr. Cass., sent. 11057/2006; 2833/2008; 2761/2009). Può essere legittimamente adottato anche su iniziativa propria dell’Ufficio titolare del potere di accertamento generale, essendo irrilevante che la segnalazione provenga da un soggetto estraneo all’Amministrazione o da fonti ad essa interne (cfr. Cass., sent. 27323/2014).

Per quanto qui di maggiore interesse, questa Corte ha anche affermato che l’accertamento parziale, che, lo si ribadisce, è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e i relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare (cfr. Cass., sent. n. 21984/2015); ancora più significativamente si è sostenuto che, non essendo circoscritto il relativo oggetto ad alcune categorie di redditi e potendo essere raggiunta la prova anche in via presuntiva, non assume alcun rilievo il fatto che nel relativo avviso ci si riferisca erroneamente al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e non art. 41 bis, (ord. n. 8406/2018).

A tali principi questo Collegio intende dare continuità, avvertendo che per l’utilizzo dell’accertamento parziale non è richiesto all’Ufficio la “prova certa” del maggior reddito, che può invece essere raggiunta anche con le presunzioni, fatta sempre salva la possibilità per il contribuente di fornire specifica prova contraria, da sottoporre al vaglio del giudice di merito nella fase contenziosa.

Il motivo va dunque rigettato.

E’ invece inammissibile il secondo motivo, con il quale la ricorrente si duole del vizio motivazionale, perchè, al contrario di quanto affermato in sentenza -secondo cui risultava omessa ogni contestazione “sull’esistenza e sui dati contenuti nelle liste nozze”-, la contribuente aveva sollevato eccezioni sin dal primo grado sulla motivazione per relationem e sulla mancata allegazione della documentazione relativa alle liste nozze.

Va premesso che a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità su di essa resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, sent. n. 8053/2014; n. 23828/2015; n. 23940/2017). Si è dunque opportunamente evidenziato che con la nuova formulazione del n. 5 lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Pertanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., ord n. 27415/2018).

Ebbene, nel caso di specie la società non ha indicato in quale atto o fase del giudizio avesse denunciato l’erroneo ricorso alla motivazione per relationem e l’omessa allegazione della documentazione a supporto dell’accertamento, considerazioni che peraltro rappresentano critiche alle modalità di esternazione argomentativa del giudice regionale e ai vizi afferenti il governo delle prove, ma non rientrano tra i cd. “fatti storici”, il cui esame avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia.

Si aggiunga inoltre che in sentenza si afferma che la contribuente non aveva mosso “alcuna contestazione” sulla esistenza e sui dati contenuti nelle liste nozze, il che, tenendo conto della prospettazione difensiva formulata dalla ricorrente, costituiva al più un errore percettivo, il cui rimedio processuale non poteva ricondursi alla denuncia di un vizio motivazionale.

In conclusione anche questo motivo non trova accoglimento.

Ritenuto che:

Il ricorso va rigettato. La mancata costituzione della Agenzia esime dalla liquidazione delle spese. Sussistono invece i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo articolo, comma 1 – bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della esistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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