Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27832 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 27832 Anno 2017
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: MUCCI ROBERTO

ORDINANZA
sul ricorso n. 27039/2015 proposto da:
Centro Serapide s.p.a., in persona del

legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, via Cassiodoro n. 1/A, presso lo
studio dell’avvocato Gennaro Uva che, anche disgiuntamente
all’avvocato Concetta Saetta, la rappresenta e difende giusta procura
speciale
– ricorrente contro
Regione Campania, in persona del Presidente della Giunta regionale,
elettivamente domiciliata in Roma, via Poli n. 29, presso l’Ufficio di
rappresentanza della Regione Campania, rappresentata e difesa
dagli avvocati Corrado Grande e Fernanda Speranza giusta procura a
margine del controricorso e ricorso incidentale
– controricorrente e ricorrente incidentale nonché contro
Centro Serapide s.p.a.
– intimata –

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c2c2A:

Data pubblicazione: 22/11/2017

avverso la sentenza n. 2779/2015 della Corte di appello di Napoli,
depositata il 17 giugno 2015;
viste le conclusioni scritte del P.M., in persona del sostituto
procuratore generale LUISA DE RENZIS, che ha chiesto rigettarsi il
ricorso principale con assorbimento del ricorso incidentale;

giugno 2017 dal cons. ROBERTO MUCCI;
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Napoli ha accolto il gravame della
Regione Campania avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che
aveva rigettato l’opposizione della Regione medesima al decreto

ingiuntivo ottenuto dal Centro Serapide s.p.a. per il pagamento di
euro 13.410.631,05 a titolo di conguagli tariffari quali maggiori
percentuali calcolate secondo gli indici ISTAT ai sensi della delibera
della Giunta regionale n. 6757 del 31 luglio 1996 sulle tariffe per le
prestazioni sanitarie rese nel periodo 10 gennaio 2006-30 giugno
2008 dal Centro Serapide, soggetto provvisoriamente accreditato
presso la ASL NA 1 ai sensi dell’art. 6 della legge 23 dicembre 1994,
n. 724.
La Corte di appello, disattese le eccezioni di difetto di
giurisdizione e di carenza di legittimazione passiva sollevate dalla
Regione, ha revocato il decreto ingiuntivo ritenendo infondata la
domanda relativa alle prestazioni in convenzione ex art. 44 della
legge 23 dicembre 1978, n. 833 – rilevando peraltro che la
questione non era stata trattato in primo grado, né sollevata in
appello dalla Regione -, nonché quella relativa alle pretese ex art. 26
(prestazioni di riabilitazione) della medesima legge n. 833 del 1978
poiché basate, queste ultime, sulla delibera del commissario ad acta

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28

n. 1/2009 (recante la determinazione delle tariffe aggiornate ai sensi
del citato art. 26) adottata in carenza di potere.
Avverso detta sentenza il Centro Serapide propone ricorso per
cassazione affidato a quattro motivi, cui replica la Regione Campania
con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi,

depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Giova premettere, per quanto strettamente rileva nella
presente sede, che la pretesa del Centro Serapide, struttura
sanitaria privata in regime di accreditamento provvisorio presso il
Servizio sanitario nazionale, si fonda sulle complesse vicende
afferenti all’inadempimento della Regione Campania all’obbligo di
aggiornamento periodico delle tariffe delle prestazioni erogate dalle
strutture sanitarie private accreditate (obbligo affermato da TAR
Campania Napoli, 12 ottobre 2005, n. 18850, confermata da Cons.
Stato, Sez. V, 23 gennaio 2007, n. 190), aggiornamento tariffario
sancito dal protocollo d’intesa tra le associazioni di categoria e
l’Assessorato regionale alla sanità recepito dalla delibera della Giunta
regionale n. 6757/1996, in attuazione del d.lgs. 30 dicembre 1992,
n. 502 e del decreto del Ministro della Sanità del 15 aprile 1994, n.
501700. La delibera riguardava le sole prestazioni riabilitative
erogate ai sensi dell’art. 26 della legge n. 833 del 1978. Rimasta
ineseguita la delibera e perdurando pertanto l’inadempimento della
Regione all’aggiornamento tariffario in questione, interveniva
dapprima la delibera del commissario ad acta n. 1 del 10 aprile 2008,
annullata con sentenza del TAR Campania Napoli, 27 luglio 2008, n.
9488, e, successivamente, nuova delibera commissariale n. 1/2009,
peraltro ritenuta dal giudice amministrativo emanata in carenza di
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svolgendo altresì istanza ex art. 96 c.p.c. Il Centro Serapide ha

potere e comunque superata dalla nuova delibera della Giunta
regionale n. 224 del 13 febbraio 2009 (cfr. TAR Campania Napoli, 10
marzo 2009, n. 1363), il cui annullamento in parte qua non poteva
comunque comportare la reviviscenza della citata delibera del
commissario ad acta n. 1/2009 (cfr. TAR Campania Napoli, 20

740; Id., ord. 31 luglio 2013, n. 2738). Chiariva inoltre la
giurisprudenza amministrativa che «la posizione delle case di cura
private convenzionate dirette a ottenere l’aggiornamento tariffario
secondo il procedimento disciplinato prima dal d.m. 14 aprile 1994 e
ora dal comma 5 dell’art. 8 sexies d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502,
trattandosi di complessa operazione di valutazione di elementi
opinabili, non è di diritto soggettivo, che presuppone un
accertamento senza margini di discrezionalità, ma di interesse
legittimo al corretto svolgimento del relativo procedimento» (Cons.
Stato, Sez. III, 4 ottobre 2011, n. 5428; Id., Sez V, 26 febbraio
2010, n.1146).
Tanto richiamato, con i quattro articolati motivi di ricorso
principale – da esaminarsi congiuntamente in quanto concernenti,
nella sostanza, le medesime questioni – il Centro Serapide,
premesse censure di nullità della sentenza impugnata, deduce
violazione e falsa applicazione della normativa di fonte secondaria
sulle tariffe per le prestazioni ex artt. 26 e 44 della legge n. 833 del
1978, nonché violazione degli artt. 346 e 329, secondo comma,
c.p.c., nonché omessa motivazione, per avere la Corte di appello
ritenuto che oggetto del contendere fossero le sole prestazioni

ex

art. 26, laddove nel decreto ingiuntivo il pagamento era stato
richiesto per entrambe le tipologie di prestazioni e il Tribunale aveva
ritenuto – sia pure implicitamente – applicabile all’intera fattispecie
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giugno 2011, n. 3252; Cons. Stato, Sez. III, 11 febbraio 2013, n.

la delibera della Giunta regionale n. 6757/1996, basandosi la pretesa
creditoria azionata in monitorio sul meccanismo automatico di
adeguamento indicato nella predetta delibera (ovverosia:
rideterminazione delle tariffe annualmente secondo gli indici ISTAT e
ogni qual volta intervengano modificazioni alla contrattazione

pretesa sarebbe pertanto coperta da giudicato in applicazione della
delibera n. 6757/1996, atteso che la Regione Campania non avrebbe
riproposto il motivo di appello relativo alla disapplicazione della
delibera n. 6757/1996 e del meccanismo “automatico” di
aggiornamento delle tariffe ivi previsto, essendosi essa limitata a
contestare l’applicabilità delle tariffe di cui alla delibera del
commissario ad acta n. 1/2009. La Corte di appello avrebbe inoltre
erroneamente ritenuto nuove le pretese relative alle prestazioni ex
art. 44, nonostante queste fossero state introdotte con la domanda
monitoria.
Con i tre motivi di ricorso incidentale la Regione Campania
ripropone le eccezioni di difetto di giurisdizione e di carenza di
legittimazione passiva.
Il ricorso principale del Centro Serapide è infondato.
Deve in primo luogo disattendersi la deduzione (p. 5 del
ricorso) secondo cui la Corte di appello avrebbe riconosciuto
comunque un credito in applicazione della delibera della Giunta
regionale n. 224/2009: tale assunto non trova riscontro alcuno al §
5, ultimo cpv., p. 9, della sentenza qui impugnata, la quale, al
contrario, cita la delibera de qua al solo fine di suffragare l’esatto
rilievo che il parziale annullamento della ridetta delibera giuntale
«non comporta la reviviscenza della delibera n. 1/2009, adottata in

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collettiva dei lavoratori dipendenti). Secondo il Centro Serapide la

carenza di potere e comunque posta nel nulla dalla delibera
medesima, adottata in autotutela …».
Del pari, è appena il caso di rilevare come nessuna incertezza
sia dato riscontrare circa la concreta materia del contendere
(rideterminazione tariffaria riconosciuta nel decreto ingiuntivo per

(pp. 5-6 del ricorso) non ha pregio.
Ciò posto, deduce la ricorrente (p. 2 del ricorso) di aver chiesto
«in via principale, l’accoglimento della domanda già oggetto del
provvedimento monitorio ovvero il riconoscimento del pagamento di
C 13.410.631,05 (…) così come previsto dalla D.G.R.C. n.
6757/1996. In via subordinata, ma senza rinunciare alla domanda
principale, (…) il riconoscimento dello stesso importo giusta Delibera
Commissariale n. 1/2009 (…), in ragione dell’incremento percentuale
determinato per le prestazioni sanitarie ex art. 26, a titolo di acconto
e fino a decorrenza delle maggiori somme dovute comunque per
quegli stessi anni ex D.G.R.C. n. 6757/1996 (…)». A p. 9 del ricorso
la ricorrente precisa che la domanda subordinata si basava sulla
«Delibera Commissariale n. 1/2009 (pur se non applicabile ad
entrambe le tipologie di prestazioni), intervenuta nelle more per le
prestazioni ex art. 26».
Il Tribunale, come detto, confermava il decreto ingiuntivo
ritenendo vigente per il periodo in questione la tariffa di cui alla
delibera del commissario ad acta n. 1/2009.
Orbene, la richiesta azionata in via monitoria, basandosi sulla
delibera della Giunta regionale n. 6757/1996 (e, in via subordinata,
sulla delibera del commissario ad acta n. 1/2009) non può che
ritenersi attinente unicamente alle prestazioni ex art. 26, le sole
pacificamente considerate dai predetti provvedimenti. La pretesa
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l’importo sopra indicato), sicché la censura di nullità della sentenza

risulta evidentemente infondata atteso che, come correttamente
affermato dalla Corte di appello, in primo luogo, non sovviene alcun
meccanismo “automatico” di adeguamento tariffario in virtù
dell’applicazione diretta della delibera della Giunta regionale n.
6757/1996, occorrendo a tal fine un espresso provvedimento

caso, l’adeguamento tariffario delle prestazioni ex art. 44; in terzo
luogo, il Tribunale erroneamente ha accolto la domanda del Centro
Serapide esclusivamente sulla base della ritenuta reviviscenza
dell’inesistente – poiché adottata in carenza di potere – delibera del
commissario ad acta n. 1/2009, ciò che comporta anche per questo
profilo l’infondatezza della pretesa per le prestazioni regolate dall’art.
26.
Stante la domanda sì come formulata dal Centro Serapide e
l’accoglimento della subordinata fondata sulla delibera del
commissario

ad acta

n. 1/2009, del tutto consequenzialmente

l’appellante Regione ha attaccato la sentenza di primo grado
motivata con riferimento a questo unico profilo. Né è dato
comprendere come, accogliendo la subordinata, il Tribunale possa
aver “implicitamente” riconosciuto – secondo l’assunto di parte
ricorrente – l’intera pretesa avanzata in via principale sulla base
della delibera della Giunta regionale n. 6757/1996, in particolare
«riconoscendo implicitamente, oltre le differenze tariffarie
commisurate alla delibera commissariale n. 1/2009, anche
l’aggiornamento di revisione automatico di cui alla D.G.C.R. n.
6757/1996» (p. 10 del ricorso). È infatti noto che la nozione di
“parte della sentenza”, alla quale fa riferimento l’art. 329, comma
secondo, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si
ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le
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amministrativo; in secondo luogo, tale delibera non regola, in ogni

”statuizioni minime”, costituite dalla sequenza fatto, norma ed
effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria
nell’ambito della controversia (Sez. 6-3, 16 maggio 2017, n. 12202;
Sez. L, 4 febbraio 2016, n. 2217; Sez. 2, 28 settembre 2012, n.
16583). Pertanto, alla stregua della

causa petendi fissata dalla

gravata, correttamente la Corte di appello si è pronunciata sulla
domanda subordinata del Centro Serapide rigettando la pretesa
relativa alle prestazioni

ex art. 44 e disattendendo quella al

riconoscimento del diritto all’aggiornamento tariffario “automatico”
sia perché insussistente in relazione alla delibera della Giunta
regionale n. 6757/1996, sia perché inammissibile, in quanto nuova,
con riferimento alle richieste di pagamento riconnesse a
provvedimento diverso e successivo rispetto alla delibera
commissariale n. 1/2009.
Non sussistono, in conclusione, le violazioni di norme di diritto,
né quelle relative agli artt. 346 e 329, secondo comma, c.p.c.
denunciate con il ricorso principale. Ne consegue che devono
ritenersi assorbite le doglianze prospettate dalla Regione Campania
con il ricorso incidentale. Deve infatti darsi continuità al principio affermato da Sez. 1, 6 marzo 2015, n. 4619, nonché già da Sez. U,
25 marzo 2013, n. 7381 e Sez. U, 6 marzo 2009, n. 5456 – alla
stregua del quale anche alla luce del principio coronale della
ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo
è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel
merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente
vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di
rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di
merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni
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ricorrente e del conseguente contenuto decisorio della sentenza

espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità
solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito,
rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o
implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di
merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso

dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della
fondatezza del ricorso principale.
Pertanto, il ricorso principale va rigettato, con assorbimento di
quello incidentale, e il soccombente Centro Serapide condannato alle
spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente
Regione Campania.
Resta da esaminare la domanda, formulata da quest’ultima in
controricorso, di condanna di controparte ai sensi dell’art. 96, primo
e terzo comma, c.p.c.
Tale domanda può essere proposta anche in sede di giudizio di
cassazione (Sez. 3, 7 ottobre 2013, n. 22812; Sez. 5, 27 febbraio
2013, n. 4925; Sez. 6-1, 11 ottobre 2011, n. 20914; Sez. L, 27
novembre 2007, n. 24645). Deve peraltro precisarsi che, nella
specie, è applicabile ratione temporis l’art. 385, quarto comma,
c.p.c. Tale norma è stata aggiunta dall’art. 13 del d.lgs. 2 febbraio
2006, n. 40 con riferimento, ai sensi dell’art. 27, comma 2, dello
stesso decreto, ai ricorsi per cassazione avverso sentenze pubblicate
a decorrere dal 2 marzo 2006. Essa è stata poi abrogata dall’art. 46,
comma 20, della legge n. 69 del 2009, ma con effetto in relazione ai
giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009. Nondimeno, è noto che il
precetto di cui all’art. 385, quarto comma, c.p.c. è stato in sostanza
trasfuso nell’art. 96, terzo comma, c.p.c. in virtù dell’art. 45, comma

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incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza

12, della citata legge n. 69 del 2009 (Sez. 3, 14 ottobre 2016, n.
20732; Sez. 3, n. 22812/2013 cit.).
Ciò posto, la domanda – per vero svolta con generico e
riassuntivo richiamo alle deduzioni svolte nel controricorso – non può
essere accolta, atteso il contrastante esito dei gradi di merito e

riferimento a pronunce del giudice amministrativo intervenute nelle
more del giudizio di appello; va poi notato che la moltiplicazione
delle iniziative in sede monitoria da parte del Centro, denunciata
dalla Regione controricorrente, non risulta essere stata presa in
considerazione nei gradi di merito, nei quali non risulta svolta istanza
di condanna per responsabilità aggravata, senza ulteriori specifiche
doglianze da parte della medesima Regione nella presente sede.
Deve in conclusione ritenersi implausibile la sussistenza di stati
soggettivi di mala fede o colpa grave fondanti la chiesta condanna,
non essendo riscontrabile nella specie, in carenza di elementi
dimostrativi dell’assunto, un abuso del diritto all’impugnazione in sé
(nei sensi chiariti da Sez. 3, 29 settembre 2016, n. 19285, Sez. L,
19 aprile 2016, n. 7726 e Sez. 6-3, 22 febbraio 2016, n. 3376 in
termini di “ingiustificato aggravamento del sistema giurisdizionale”,
di “pretestuosità” del contenzioso e di “spreco di energie
giurisdizionali”) e non essendo sufficiente la mera infondatezza,
anche manifesta, delle tesi prospettate (Sez. 6-2, 30 novembre
2012, n. 21570; Sez. 3, 30 giugno 2010, n. 15629; Sez. 2, 18
gennaio 2010, n. 654).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e, dichiarato assorbito l’incidentale e
rigettata l’istanza della controricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c.,
condanna il Centro Serapide s.p.a. alla rifusione delle spese del
10

l’obiettiva complessità delle questioni ivi trattate, risolte anche con

giudizio, liquidate in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00
per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo

norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Roma, 28 giugno 2017.

Fran

a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a

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