Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27831 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 04/12/2020), n.27831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17605-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EREDI C.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1669/2016 della COMM. TRIB. REG. di BARI, SEZ.

DIST. di TARANTO, depositata il 22/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. L’agenzia delle entrate impugna con un motivo la sentenza della CTR della Puglia, sezione distaccata di Taranto, con cui è stato rigettato l’appello proposto avverso la sentenza pronunciata dalla CTP di Taranto nella causa promossa da C.E.. Deduce la ricorrente che la CTP di Taranto aveva ritenuto fosse accoglibile l’istanza di definizionè della lite pendente ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, presentata dalla contribuente in corso di causa in quanto, con il ricorso introduttivo, era stata contestata, pur nella sintetica motivazione, la debenza della imposta principale di successione dato che essa era stata abolita al momento della emissione dell’avviso di liquidazione.

La CTR confermava la sentenza impugnata sul rilievo che la liquidazione dell’imposta di successione era un atto impositivo ed esso, tra l’altro, prevedeva le sanzioni, sicchè non poteva essere ritenuto un mero atto liquidatorio, come tale escluso dalla definizione agevolata.

Gli eredi della contribuente, deceduta nelle more del giudizio, non si sono costituiti benchè ritualmente citati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione di legge e nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7 ed alla L. n. 289 del 2000, art. 16, comma 3, lett. a. Sostiene che la contribuente, con la denuncia di successione aveva versato in autoliquidazione le imposte ipocatastali ma non già l’imposta di successione che era dovuta in quanto, a norma del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7, come sostituito dalla L. n. 342 del 2000, art. 69, comma 1, la contribuente C.E. era sorella ed erede di C.A., per il che doveva applicarsi l’aliquota del 6% sulla parte del valore della quota che superava i 350 milioni di Lire.

2. Il motivo di doglianza è infondato. Invero questa Corte ha già affermato il principio secondo cui, in tema di condono fiscale, esulano dal concetto di lite fiscale pendente, definibile ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza previo esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica della dichiarazione del contribuente, mentre vi rientrano quelle in cui l’Ufficio abbia rettificato la dichiarazione, contestando l’esistenza di uno dei presupposti dell’imposta in essa indicata ed applicandone un’altra in sua vece, con conseguente richiesta di un diverso importo, costituendo tale attività esercizio della potestà di accertamento dell’Amministrazione e, quindi, manifestazione di un potere impositivo (Cass. n. 6120 del 16/03/2011; Cass. n. 22846 del 10/11/2010).

Ed è stato precisato che rientra nell’ambito applicativo del beneficio l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, il quale comporta sempre una previa valutazione, da parte dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate, dovendo esso ufficio, in caso di dichiarazione incompleta o infedele, procedere alla rettifica, ai sensi del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 27, comma 3; ciò implica che, allorquando alla rettifica non si sia proceduto, non è affatto mancata la valutazione, ma questa è consistita nel giudicare congrui i valori dichiarati. L’avviso di liquidazione dell’imposta di successione è, quindi, compreso fra gli atti impositivi cui si riferisce la Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, contenendo necessariamente una valutazione di congruità, e non essendo finalizzato alla mera o automatica liquidazione e riscossione dell’imposta, in base a valori incontestati ed a parametri prestabiliti (Cass., Sez. 5, 10 febbraio 2006, n. 2962; Cass., Sez. 5, 30 agosto 2006, n. 18840; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2011, n. 8196; Cass., Sez. 5, 5 dicembre 2019, n. 31804).

3. Il ricorso va dunque respinto. Non si provvede sulle spese data la mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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