Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27828 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 27828 Anno 2017
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: DI MARZIO PAOLO

ORDINANZA
RC.

sul ricorso iscritto al n. 6789/2014 R.G. proposto da
Luciano Fasoli, Fabio Gera e Mario Cappelli, rappresentati
e difesi dalli Avv. Massimo Marini, giusta mandato steso in
calce al ricorso, ed elettivamente domiciliati presso il suo
studio, alla via Ximenes n. 10 in Roma;
– ricorrenti contro
Banca Monte dei Paschi di Siena Spa, in persona del legale
rappresentante

pro-tempore,

rappresentata e difesa dalli Avv.

Data pubblicazione: 22/11/2017

Massimo Luconi, ed elettivamente domiciliata presso il suo
studio, alla via Antonio Bosio n. 2 in Roma;
– con troricorrente avverso la sentenza n. 4472 della Corte d’Appello di Roma,
depositata il 29 agosto 2013.
Svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio la relazione, nella

camera di consiglio del 14 giugno 2017.

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FATTI DI CAUSA
La società TANIMM Sri in data 15.12.1992 apriva un conto corrente di
corrispondenza presso la Banca Antonveneta Spa, cui è poi succeduta la Banca
Monte dei Paschi di Siena Spa. Il rapporto risultava assistito da garanzie
personali prestate da Luciano Fasoli e dalla Lurex Srl. Successivamente si
costituiva quale garante della TANIMM pure la Esprim Srl, anch’essa

considerazione dell’andamento del conto, disponeva la revoca di tutte le linee
di fido ed invitava debitrice principale e garanti al rientro dall’esposizione
debitoria, ormai superiore ai due miliardi e trecento milioni di lire. Le società
TANIMM ed Esprim, anch’essa indebitata con la Banca, proponevano un
accordo transattivo che era accettato dall’Istituto di credito, mediante il quale
sarebbero state estinte le esposizioni debitorie in quattro rate. Si costituivano
garanti dell’accordo Mario Cappelli e Fabio Gera (fino a concorrenza di £.
4.200.000.000) e Luciano Fasoli (fino al limite di £. 350.000.000).
Nell’accordo, perfezionato il 30.7.1998, si prevedeva la liberazione degli
originari garanti, esclusa la Lurex. Non essendo stato interamente estinto il
debito, il 20.7.2007 la Banca domandava ed otteneva decreto ingiuntivo per
l’importo di Euro 882.812,71, nei confronti della TANIMM e dei suoi garanti.
Era proposta opposizione e, per quanto d’interesse, i garanti domandavano di
essere considerati esclusi da ogni obbligo. Questo perché nell’accordo
transattivo si era prevista la liberazione degli originari garanti, e l’accordo
transattivo stesso era venuto meno, dovendo considerarsi risolto, con la
conseguenza che sarebbero venute meno anche le garanzie prestate in relazione
ad esso. Costituendosi nel giudizio di opposizione la Banca domandava, tra
l’altro, dichiararsi la risoluzione dell’accordo transattivo del 1998 e ritenersi
valide ed operanti tutte le garanzie personali prestate.
Il Tribunale di Roma, con sentenza parziale depositata il 24.2.2011, valutava
ammissibile la domanda proposta dall’Istituto di credito e diretta a conseguire
la risoluzione giudiziale dell’accordo transattivo del 1998, ritenendo che in

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correntista del medesimo Istituto di credito. La Banca, in data 2.4.1998, in

sede monitoria la Banca avesse azionato il credito derivante da detta
transazione e non dall’originario contratto. Dichiarava, peraltro, l’efficacia
delle fideiussioni, mentre rigettava la domanda di risarcimento del danno
proposta dagli opponenti.
La sentenza non definitiva del Tribunale di Roma era impugnata dalla società
TENIMM e dai fideiussori, e la Banca proponeva appello incidentale. Con la

d’Appello di Roma accoglieva, innanzitutto, l’appello incidentale proposto
dalla Banca. La domanda di risoluzione dell’accordo transattivo del 1998 non
poteva stimarsi improponibile da parte della Banca opposta, e pertanto
inammissibile, per quanto introdotta in sede di contestazione del
provvedimento monitorio. Secondo la Corte capitolina, infatti, la domanda era
conseguenza delle difese proposte dalle controparti, che “avevano evocato la
inesistenza/inefficacia delle fideiussioni proprio in ragione dello scioglimento
dell’accordo transattivo”, al fine di domandare di essere considerati sciolti
dall’obbligo di garanzia assunto. Reputati sussistenti i presupposti della
pronuncia, pertanto, dichiarava la risoluzione dell’accordo per inadempimento
dei debitori.
La Corte capitolina riteneva, quindi, che l’accordo transattivo del 1998
comunque non avesse natura novativa e che la Banca avesse ottenuto il decreto
ingiuntivo sul fondamento dell’originario -saldo passivo finale del contratto di
conto corrente”, occorrendo riformare sul punto la decisione di prime cure.
Rigettava poi l’appello principale, mediante il quale si domandava di
dichiarare essere venute meno le garanzie personali prestate (ad eccezione
quella fornita dalla Esprim nel 1995). La Corte territoriale riteneva infatti che,
a seguito dell’interpretazione: tanto del contratto del 1992 quanto dell’accordo
del 1998, le garanzie originariamente prestate nel 1992 dalla Lurex e da
Luciano Fasoli dovessero considerarsi pienamente valide ed operanti. Le
garanzie prestate da Fabio Gera, Mario Cappelli e Luciano Fasoli, in occasione
del successivo accordo transattivo del 1998, poi, dovevano anch’esse
considerarsi pienamente valide ed operanti, perché oggetto di risoluzione era
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sentenza n. 4472/2013, oggetto della presente impugnazione, la Corte

stato l’accordo transattivo, non l’originario debito in relazione al quale erano
state prestate. La Corte di merito rigettava anche la contestazione proposta dai
garanti sul fondamento dell’art. 1957 cod. civ., osservando che il beneficio non
solo può essere derogato convenzionalmente dalle parti ma, nel caso di specie,
l’accordo delle parti doveva intendersi come volto alla stipula di contratti
autonomi di garanzia, e la disciplina di cui all’art. 1957 cod. civ. non risultava

Luciano Fasoli, Fabio Gera e Mario Cappelli propongono il proprio ricorso
avverso la decisione della Corte d’Appello di Roma, affidandosi a sei motivi.
Resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena Spa. I ricorrenti
hanno anche depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. — Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma
primo, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 183
cod. proc. civ., i ricorrenti contestano, anche per omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, le valutazioni della Corte di Appello che non ha
ritenuto inammissibile la domanda della Banca di pronunciare la risoluzione
dell’accordo transattivo stipulato nel 1998, peraltro riformando la decisione di
prime cure. Del resto, se la Banca aveva potuto conseguire il decreto ingiuntivo
opposto sul fondamento dell’originario saldo del rapporto di conto corrente,
ciò vuol dire che la -transazione del 1998 si era già risolta (come, del resto, la
consideravano la Banca e gli opponenti) – .

1.2. — Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma
primo, n. 5, cod. proc. civ., per “omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio”, i ricorrenti criticano ancora, questa volta sotto il profilo del vizio di
motivazione, la decisione della Corte territoriale per non aver dichiarato
inammissibile la domanda nuova proposta dalla Banca che aveva domandato la
risoluzione del contratto. Secondo i ricorrenti, affermare che l’accordo si

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quindi invocabile.

risolveva solo in conseguenza della pronuncia, importava la erronea emissione
del decreto ingiuntivo “in base ad un rapporto originario per il quale, fino al
momento della proposizione del ricorso, non vi era stata ancora revivescenza”.

1.3. — Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma
primo, n. 3, cod. proc. civ., in conseguenza della violazione o falsa

la Corte territoriale ha errato nell’interpretare “gli obblighi di cui alle
fideiussioni del 1998 e dell’omesso esame che tali fideiussioni erano state
rilasciate a garanzia di una determinata obbligazione … dalla risoluzione
dell’accordo del 1998 dovrebbe discendere il venir meno delle fideiussioni”.
Secondo gli impugnanti, l’errore della Corte d’Appello emerge evidente
liddove afferma che, in conseguenza della risoluzione dell’accordo del 1998,

è venuto meno il titolo ma non il debito oggetto della fideiussione … se è

venuto meno il titolo (ossia il rapporto), vengono meno le garanzie accessorie
ex art. 1939 e ss. cod. civ.”.

1.4. — Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma
primo, n. 5, cod. proc. civ., per “omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio”, i ricorrenti criticano ancora che la Corte di merito, sul presupposto
della natura non novativa dell’accordo transattivo del 1998, sia giunta alla
conclusione che la risoluzione di quell’accordo “avrebbe determinato la
reviviscenza dell’originario rapporto restando ferme le garanzie rilasciate per
l’obbligazione di cui alla transazione risolta”. L’obbligazione garantita dalle
fideiussioni del 1998 risulta chiaramente definita, nell’argomentare dei
ricorrenti, nel testo dell’accordo, che è caratterizzato dalla partecipazione di
due debitrici principali che si uniscono ed assumono insieme l’impegno con la
Banca di corrispondere l’importo globale delle loro esposizioni. Quest
accordo aveva natura – probabilmente novativa”, e ne discendeva che la
posizione dei fideiussori risultava preferibile, perché entrambi i debitori
principali rispondevano dell’intero debito e risultava perciò sufficiente che il
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applicazione degli artt. 1939, 1941 e 1945 cod. civ., i ricorrenti contestano che

patrimonio anche di uno solo di loro fosse capiente per estinguere l’unico
debito. Occorre inoltre prendere atto che l’accordo transattivo del 1998 “è stato
risolto dalle parti e che la Banca non ha agito per il suo adempimento -, ed era
“una certa parte del pagamento pattuito in quell’accordo”, e solo questo, che i
fideiussori avevano garantito.

primo, n. 3, cod. proc. civ., in conseguenza della violazione o falsa
applicazione degli artt. 1939, 1941 e 1945 cod. civ., i ricorrenti contestano che
la Corte territoriale ha errato nell’interpretare che, avendo Luciano Fasoli
prestato garanzia personale tanto in occasione dell’apertura del conto corrente
della TANIMM, nel 1992, quanto in occasione dell’accordo transattivo del
1998, nei limiti di £. 350.000.000, entrambe le obbligazioni dovrebbero
intendersi operative. Le due garanzie personali offerte erano e sono diverse,
garantendo obbligazioni diverse, “la prima che assisteva il credito originario
verso la TANIMM-, la seconda che -garantiva (nel limite di £. 350.000.000)
una diversa obbligazione principale (quella di pagare le prime tre rate pattuite)
… questa corretta interpretazione è confermata anche dal fatto che nella
transazione del 1998 (al punto E) le parti avevano annullato la prima delle
predette due fideiussioni (quella del 1992 di cui qui si discute)”, e se la
seconda modificava la prima, non può conseguire la revivescenza di
quest’ultima in conseguenza della risoluzione del rapporto in relazione al quale
la seconda era stata prestata. In ogni caso non esiste un principio generale di
revivescenza delle garanzie reali in conseguenza della revivescenza delle
obbligazioni garantite, che dipende dal principio di accessorietà dettato agli
artt. 1939, 1941 e 1945 cod. civ.

1.6. — Con il sesto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comm
primo, n. 5, cod. proc. civ., per -omesso esame circa un fatto decisivo”, i
ricorrenti contestano alla Corte di merito, di non aver esaminato i fatti dedotti
e discussi riguardanti le obbligazioni, o se si vuole i limiti quantitativi, delle
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1.5. — Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma

fideiussioni rilasciate”. La Corte d’Appello afferma che i limiti di valore delle
garanzie prestate corrispondono a quelli indicati negli atti di costituzione delle
stesse, ma trascura che le fideiussioni prestate in relazione all’accordo
transattivo del 1998 “erano state rilasciate per garantire esclusivamente le
prime tre rate del pattuito pagamento”. La Corte di merito, inoltre, non avrebbe
tenuto conto della necessità di effettuare i calcoli per determinare l’esatto

2.1 — 2.2. — Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere trattati
congiuntamente, attenendo entrambi alla valutazione della novità della
domanda di risoluzione dell’accordo transattivo intervenuto nell’anno 1998,
proposta dalla Banca, parte opposta nel procedimento seguito al
conseguimento del decreto ingiuntivo da parte dell’Istituto di credito. I
ricorrenti affermano che la domanda fosse inammissibile, perché nuova. La
Corte d’Appello ha invece ritenuto, riformando la decisione del Tribunale, che
la domanda, pur nuova, non fosse inammissibile, perché dipendente dalle
difese proposte dalle controparti. I motivi risultano in parte inammissibili, e per
la parte rimanente infondati. Gli odierni ricorrenti affermano che le loro ragioni
di opposizione attenevano a fatti diversi rispetto alla risoluzione dell’accordo
transattivo, ma non hanno cura di riportare i passi dei loro atti posti a
fondamento dell’assunto. La Corte d’Appello non contravviene all’obbligo di
esame della questione, e si pronuncia in conformità con il principio espresso
dalla Cassazione secondo cui “l’attore contro il quale il convenuto abbia
proposto domanda riconvenzionale ben può opporre, a sua volta, altra
riconvenzionale, avendo egli qualità di convenuto rispetto alla prima, e tale
principio, valido per il processo di cognizione ordinario come per quello di
ingiunzione, costituisce una deroga rispetto a quello secondo cui l’attore non
può proporre domande diverse rispetto a quelle originariamente formulate,
nell’atto di citazione: tuttavia la sua posizione non è assimilabile a quella de
convenuto, né trovano, quindi, applicazione gli artt. 36 e 167, comma 2, c.p.c.,
atteso che la cd. reconventio reconventionis non è una azione autonoma, ma
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ammontare del debito residuo, in conseguenza dei pagamenti già effettuati.

può essere introdotta esclusivamente per assicurare all’attore un’adeguata
difesa di fronte alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e
deve essere consequenziale rispetto ad esse” (Cass., Sez. I. sent. 22.12.2016, n.
26782, cfr., anche, Cass., Sez. III, sent. 4.10.2013, n. 22754). Chiarisce la
Corte territoriale, peraltro, che gli odierni controricorrenti avevano invocato,
nel proporre opposizione avverso il provvedimento monitorio, il venir meno

proprio fondando sulla intervenuta risoluzione dell’accordo. Il tema della
risoluzione dell’accordo era stato quindi introdotto dagli opponenti, che
avevano domandato farne discendere conseguenze di chiara rilevanza, e la
domanda conseguenziale della Banca di voler pronunciare la risoluzione
dell’accordo era pertanto ammissibile.
I ricorrenti rivolgono alla Corte d’Appello anche la critica di aver

confermato” il decreto ingiuntivo, pur ritenendolo richiesto e concesso sul

fondamento dell’originario saldo passivo del conto corrente, sebbene fino alla
pronuncia di risoluzione non si fosse ancora verificata la -revivescenza”
dell’originario rapporto obbligatorio. Gli impugnanti non hanno però cura di
precisare da quale passaggio della decisione della Corte di merito emergerebbe
la -conferma” del decreto ingiuntivo, tenuto anche conto che, come è ben noto,
il giudizio di opposizione alla concessione del provvedimento monitorio è un
giudizio a cognizione piena. Neppure chiariscono, i ricorrenti, quale sia il loro
interesse a conseguire una esplicita pronuncia in merito al decreto ingiuntivo,
comunque travolto dalle successive pronunce di merito.
I motivi di ricorso devono pertanto essere respinti.

2.4. — In ordine logico sembra quindi opportuno esaminare prima il quarto
motivo del ricorso, che riguarda in realtà cose diverse, ma contesta anche, per
vizio di motivazione, la natura dell’accordo transattivo del 2008. Il terzo
motivo critica invece le conseguenze della risoluzione dell’accordo. I ricorrenti
affermano che la Corte d’Appello avrebbe mal interpretato il testo del patto, il
quale prevedeva l’assunzione di un’unica obbligazione per il pagamento di
9

delle garanzie personali che avevano accompagnato l’accordo del 1998,

tutto quanto dovuto da due distinte società, con la conseguenza che la
posizione dei garanti sarebbe risultata più favorevole. I ricorrenti non hanno
però avuto cura di indicare specificamente in quali atti, contenuti
nell’incartamento processuale, trovino fondamento le loro affermazioni e di
trascrivere, almeno in sintesi, i passaggi essenziali per la corretta valutazione
della contestazione. I ricorrenti non hanno provveduto neppure a specificare

merito, sebbene questa Corte abbia già specificato che

-in tema di

ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti

in

relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto,
affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola
ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di
interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.
Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il
ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole
legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme
asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a
precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si
sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia
applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo
consentito il riesame del merito in sede di legittimità”, Cass. sez. L, sent.
9.10.2012, n. 17168. Così come proposta, peraltro, la critica non può
comunque ritenersi consentita in sede di giudizio di legittimità, perché la
Suprema Corte ha ripetutamente chiarito che “per sottrarsi al sindacato d .
legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto no
deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma
una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una
clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è
consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal
giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata
10

quali regole dell’interpretazione legale sarebbero state disattese dalla Corte di

privilegiata l’altra”, Cass. sez. I, sent. 17.3.2014, n. 6125, Cass. sez. III sent.
,

20.11.2009, n. 24539. Nella specie, la Corte d’Appello ha ritenuto che
l’accordo stipulato dalle parti non avesse natura novativa, e questa essenziale
affermazione non è stata attinta da una critica specifica delle parti ricorrenti.
Nella coerente ricostruzione della Corte di merito, l’accordo prevedeva più

esposizioni, ed una pluralità di prestazioni di garanzie personali. Anche queste
affermazioni della Corte territoriale non ricevono specifica critica da parte dei
ricorrenti. La Corte afferma che non fosse stato previsto il beneficio
dell’escussione, ed anzi, che i rapporti obbligatori qualificati dai ricorrenti
come fideiussioni si risolvessero in realtà nella prestazione di garanzie
autonome. Questo sul fondamento di più motivi. In primo luogo occorre infatti
tener conto della previsione contrattuale secondo cui, nel caso in cui l’accordo
fosse rimasto inadempiuto, la Banca creditrice avrebbe avuto diritto ad
escutere le garanzie personali “a prima richiesta”. Inoltre, ha argomentato la
Corte territoriale, la struttura dell’accordo era tale che la Banca, in caso di
inadempimento, avrebbe dovuto prima agire nei confronti dei fideiussori,
invertendosi pertanto l’ordine da seguire ove operi il beneficio dell’escussione,
e si tratta di un’ulteriore ratio decidendi che i ricorrenti non sottopongono a
critica specifica.
La ulteriore contestazione secondo cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto
conto del fatto che l’accordo transattivo stipulato tra le parti si fosse già risolto,
prima della pronuncia della Corte d’Appello, in conseguenza della loro
volontà, è infondata. Non si verte, infatti, in un caso di risoluzione senza
intervento del giudice (cfr. artt. 1454, 1456 e 1457 cod. civ.), ma di una
risoluzione per inadempimento, ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., che richiede la
pronuncia giudiziale.
In ordine, poi, alla “revivescenza” delle originarie garanzie reali, prestate
all’atto di apertura del conto corrente nel 1992, in conseguenza della
risoluzione dell’accordo del 1998, occorre operare qualche precisazione. In

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negozi collegati: una ricognizione di debito, uno specifico piano di rientro dalle

conseguenza di un accordo di modifica delle modalità di pagamento non
avente carattere novativo, le originarie obbligazioni, principale e di garanzia,
non si estinguono, né divengono invalide, ma ne rimane sospesa l’efficacia, ed
entrano in una condizione di quiescenza. A seguito dell’inadempimento
dell’accordo, e della conseguente pronuncia giudiziale di risoluzione dello
stesso, il patto viene meno, e riprendono piena efficacia tanto le obbligazioni

Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.

2.3. — Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione di legge in cui
sarebbe incorsa la Corte d’Appello per non aver considerato venute meno le
fideiussioni prestate in relazione all’accordo transattivo del 1998, a seguito
della risoluzione di quest’ultimo. I ricorrenti contestano, in particolare,
l’affermazione della Corte d’Appello nella parte in cui sostiene che, seppur in
conseguenza della risoluzione “è venuto meno il titolo”, non è venuto meno “il
debito oggetto della fideiussione”. Secondo gli impugnanti, tenuto conto del
principio di accessorietà della garanzia, il venir meno del rapporto principale
doveva importare l’estinzione anche della garanzia accessoria. Occorre allora
ribadire che le garanzie personali prestate a corredo dell’accordo del 1998 sono
state qualificate dalla Corte d’Appello come aventi natura di garanzie
autonome, il profilo non è stato contestato e la qualificazione deve pertanto
considerarsi intangibile. Le disciplina codicistica della fideiussione, invocata
dai ricorrenti, risulta pertanto inapplicabile. L’accordo transattivo del 1998, si
ribadisce, si componeva di tre negozi tra loro collegati. Può ancora chiarirsi
che il titolo delle garanzie personali autonome prestate si rinviene nello
specifico patto con il quale le stesse sono state costituite, che non è stato
evidentemente oggetto di risoluzione. Infine, appare decisiva la considerazioi ,
che l’accordo del 1998 prevedeva che la Banca, in caso di inadempimen h
“avrà la facoltà di escutere le garanzie fideiussorie rilasciate dai Sigg.ri Fabio
Gera, Mario Cappelli e Luciano Fasoli”. Questa previsione dell’accordo del
1998 è stata riportata dalla controricorrente, che ha fornito anche specifica
12

del debitore principale quanto quelle assunte dai garanti.

indicazione della sua collocazione (cfr. p. 17 del controricorso), e non è stata
fatta oggetto di contestazione dai ricorrenti.
Il motivo di ricorso deve essere respinto.

2.5. — Con il quinto motivo di ricorso si contesta la violazione di legge in cui
sarebbe incorsa la Corte capitolina per aver considerato operanti, nei confronti

società TANIMM nel 1992 sia quella prestata in occasione dell’accordo del
1998. Questo, in particolare, perché l’accordo del 1998 prevedeva, “al punto
E”, l’estinzione delle garanzie prestate nel 1992. Inoltre, non risulta presente
nel nostro ordinamento un principio generale di revivescenza delle garanzie
reali in conseguenza della revivescenza delle obbligazioni garantite. Occorre
allora ancora rimarcare che la contestazione appare proposta in maniera
impropria, perché i ricorrenti non riportano il testo delle clausole che invocano
a fondamento dei loro assunti. Nel caso di specie, poi, come si è innanzi
chiarito, appare anche improprio parlare di -revivescenza” della obbligazione
principale dipendente dal saldo passivo del conto corrente, a seguito della
risoluzione dell’accordo transattivo del 1998. L’originario rapporto
obbligatorio, corredato dalle sue garanzie, infatti, non è mai cessato, tanto da
poter rivivere. A seguito dell’accordo transattivo, ne è soltanto rimasta sospesa
l’efficacia, che ha ripreso pieno vigore quando l’accordo è stato giudizialmente
risolto.
Il motivo di ricorso deve essere pertanto dichiarato inammssibile.

2.6. — Con il sesto motivo di ricorso i ricorrenti contestano il vizio
motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello, avendo omesso di
pronunciare in ordine ai limiti quantitativi delle fideiussioni prestate. Il motivo
appare in parte inammissibile e per il resto infondato. I ricorrenti contestano un
vizio di motivazione, evidentemente in relazione ad un fatto che era stato
oggetto di discussione tra le parti, ma omettono di trascrivere, almeno in

13

del ricorrente Luciano Fasoli, sia la garanzia personale prestata in favore della

sintesi, da quali atti processuali possa desumersi che sia intervenuto il
confronto dei contendenti sul punto. I ricorrenti, inoltre, invocano una pluralità
di disposizioni dell’accordo contrattuale, quale la limitazione delle garanzie ad
un certo numero di rate, ed invocano pure eventi sopravvenuti di cui assumono
la rilevanza, come l’intervenuto pagamento di parte significativa del debito, ma
non hanno cura di trascrivere, almeno in sintesi, i passi degli atti processuali

specificamente dove reperirli nel fascicolo processuale. Neanche spiegano, i
ricorrenti, dove e quando la loro domanda di determinare l’esatto ammontare
delle – fideiussioni” sia stata proposta, in modo da poterne stimare tempestività
e diligente coltivazione. Non solo, la Corte territoriale, in realtà, non ha omesso
di pronunciare sul punto, ed ha chiarito che i limiti delle garanzie personali
prestate sono quelli “indicati specificamente negli atti di costituzione delle
fideiussioni”, e queste non equivoche espressioni della Corte di merito non
sono state fatte oggetto di specifica critica da parte dei ricorrenti.
Il motivo di ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
Riscontrato che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto
dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei
presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater,
introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna Luciano Fasoli, Fabio Gera e Mario Cappelli, in solido, al
pagamento delle spese di lite in favore della costituita resistente, e le liquida in
complessivi Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella

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nei quali i loro argomenti trovano fondamento, e neppure indicano

misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori
di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte deffi ricorrent
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2017.

ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

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