Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27821 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27821

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 12820/15, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Ricorrente –

contro

P.M. e B.N., rappresentati e difesi dall’avv.to

Fabio Pace, con il quale sono elettivamente domiciliati in Milano al

Corso di Porta Romana n. 89/b, giusta mandato in margine al ricorso;

– Controricorrenti –

avverso la sentenza n. 695/13/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana, depositata in data 1/04/2014 e non

notificata.

Udita la relazione del Consigliere Rosita d’Angiolella svolta nella

camera di consiglio del 28 giugno 2019.

Fatto

RITENUTO

che:

P.L., ex dirigente ENEL, impugnò il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria avverso la sua istanza di rimborso Irpef, a suo dire indebitamente ritenuta alla fonte, sull’importo erogato a titolo di corresponsione anticipata della pensione integrativa prevista dall’accordo nazionale del 16 maggio 1985.

La Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara (di seguito, per brevità, CTP) con sentenza n. 12/7/2006, accoglieva il ricorso del contribuente, applicando l’aliquota del 12,50%.

Tale decisione, appellata dall’Amministrazione finanziaria, veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Toscana (di seguito, per brevità, CTR) che accoglieva le ragioni dell’Ufficio.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente lamentando, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione della L. n. 486 del 1985, art. 6.

Con ordinanza n. 2458 del 2012, veniva accolto il ricorso, con rinvio ad altra sezione della CTR, richiamandosi il principio di diritto enunciato con Cass. S.U. n. 13642 del 2011, secondo cui la ritenuta del 12,50% doveva ritenersi applicabile solo sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del cd. rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

La CTR adita, dagli eredi del contribuente, in sede di riassunzione, con la sentenza di cui in epigrafe, dichiarava dovuto il rimborso della somma di Euro 47.181,55, oltre interessi, “(…) non avendo l’Agenzia dell’Entrate, al di là delle generiche contestazioni sull’attendibilità della certificazione dei rendimenti… prodotto documentazione idonea a contraddire i contenuti e le risultanze di Stima depositata in giudizio di riassunzione (…)”.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso gli eredi di P.L., B.N. e P.M. i quali, in prossimità dell’udienza camerale hanno presentato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Anche la ricorrente Amministrazione finanziaria ha presentato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo d’impugnazione, la difesa erariale lamenta, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, degli artt. 384, 392 e 394 per aver erroneamente interpretato i principi richiamati dall’ordinanza di rinvio quali espressi da Cass. S.U. n. 13642 del 2011, senza considerare che l’applicazione della ritenuta nella misura ridotta del 12,50%, prevista per i redditi di capitali, trova applicazione sugli importi corrisposti dal Fondo del capitale accantonato che ne costituiscano il rendimento in quanto solo tali somme sono assimilabili, anche sotto il profilo fiscale, ai redditi di capitale.

Col secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la CTR ha ritenuto probante, ai fini del rendimento netto, la certificazione Enel del (OMISSIS) – che potrebbe al più riferirsi ad una stima presunta ma giammai ad un rendimento effettivamente realizzato – violando così anche le regole di riparto dell’onere probatorio.

Col terzo motivo, subordinato, deduce l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio e controverso per il giudizio riguardante la natura dell’attribuzione patrimoniale cui va applicata la tassazione.

Il ricorso è fondato e va accolto per i motivi qui di seguito esposti.

Occorre anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base al CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel, art. 12, comma 4), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 (16 aprile 1986), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c. d. P.L.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell’intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

Risulta dalla sentenza della CTR toscana nonchè è pacifico tra le parti, che il contribuente, P.L., si è iscritto al Fondo anteriormente al 1993.

Ciò posto, secondo i principi di questa Corte consolidatesi proprio a seguito della sentenza delle Sez. U. 22 giugno 2011, n. 13642, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

E’ altresì principio consolidato, che il trattamento tributario dei “vecchi” iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla “composizione strutturale delle prestazioni”, che sono appunto composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

Sul punto la successiva ed attuale giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 26 aprile 2017 n. 10285; Cass. 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass. 7 marzo 2018, n. 5436; Cass. n. 4941 del 2018) si è già attestata, con numerosi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario (o comunque di riferimento) del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

Resta, dunque, confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,50%, ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La CTR non ha fatto, dunque, buon governo dei principi esposti laddove ha affermato che il rendimento netto sul quale deve essere applicata l’aliquota del 12,50% è “costituito dal rendimento conseguito sul mercato dell’intero patrimonio Enel”, avendo questa Corte specificato che “è certo da escludere che il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla gestione sul mercato possa corrispondere alla reddività ottenuta sul mercato dall’intero patrimonio dell’Enel” (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 10285 del 2017).

La CTR ha errato anche laddove, senza indicare gli elementi di fatto caratterizzanti la fattispecie, ha ritenuto che la certificazione Enel costituisse la prova di un impiego sul mercato di capitali accantonati, assoggettabili ad un’aliquota minore.

In conclusione, posto che grava sul contribuente che impugna un’istanza di rimborso l’onere di provare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati finanziari di riferimento, quanto alla certificazione Enel, questa Corte ha da tempo chiarito che tale documentazione non è idonea ad assolvere l’onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento del suo diritto al rimborso poichè, non contiene alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (cfr. Cass. 15/03/2017 n. 13278; 16/03/2017 n. 13281; Cass. n. 9246 del 2019).

Il ricorso va dunque accolto in relazione al primo ed al secondo motivo (essendo stato il terzo proposto in via subordinata) e non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto – e in ossequio al principio di ragionevole durata del processo – la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., con rigetto del ricorso proposto dal contribuente.

Le difficoltà sorte per la concreta applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, come ribadito dalla su indicata Cass. 2458 del 2012, che ha dato luogo al giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza qui impugnata, giustificano la compensazione tra le parti dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente. Dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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