Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27819 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1688/2013 R.G. proposto da:

Omega s.r.l., (già Itaca s.r.l.), in persona del legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta mandato in

margine al ricorso, dall’Avv.to Angelo Suda, con il quale è

elettivamente domiciliata in Roma alla Via Avezzana n. 51, presso lo

studio dell’Avv.to Alessandra La Via;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– intimata –

avverso la sentenza n. 143/1/12 della Commissione Tributaria

Regionale della Toscana, depositata in data 22/05/2012 e non

notificata.

Udita la relazione del Consigliere Rosita d’Angiolella svolta nella

Camera di consiglio del 28 giugno 2019.

Fatto

RITENUTO

che:

La società contribuente, Omega s.r.l., ricorreva avverso l’avviso di accertamento per l’anno 2003, effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett b), con il quale, veniva rettificato il reddito d’impresa dichiarato e venivano contestati, ai fini Irpef ed Irap, costi non documentati e deduzioni fiscali non spettanti per Euro 385.150,27, ed ai fini Iva, l’indebita detrazione d’imposta per Euro 98.924,59.

La Commissione Tributaria Provinciale di Lucca rigettava il ricorso sul fondamentale rilievo che la documentazione delle deduzioni giustificative della società non erano sufficienti a contrastare la legittimità dell’avviso. La società presentava appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana (di seguito, CTR) che confermava la sentenza dei primi giudici, rigettando integralmente l’appello.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione, la società contribuente, Omega s.r.l., affidandosi a cinque motivi.

L’Agenzia delle Entrate, deposita atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ed in prossimità dell’udienza camerale ha presentato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce l’erroneità della sentenza in epigrafe per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, della L. n. 4 del 1929, art. 24, nonchè dei principi in materia di attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nel “momento di sintesi” della doglianza, la società pone il quesito del se l’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria debba concludersi con un atto nel quale siano sintetizzate le risultanze delle indagini condotte e le violazioni riscontrate durante la verifica e rispetto alle quali il contribuente sia messo in condizione di fare osservazioni e richieste.

2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione da parte della CTR della L. n. 212 del 2000, art. 12, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto la validità dell’avviso di accertamento emesso prima dello spirare dei 60 giorni dalla comunicazione al contribuente del verbale di chiusura dell’attività di controllo, pur in difetto di motivazioni riguardo alle ragioni dell’urgenza.

3. Con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR fatto mal governo dei principi che regolano la prova presuntiva; segnatamente avrebbe errato nel formulare il giudizio presuntivo, basandosi su una presunta genericità delle fatture emesse nei confronti dei fornitori e sull’antieconomicità delle operazioni effettuate.

4. Con il quarto motivo, denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di contraddittorio tra le parti, per aver la sentenza completamente obliterato che con la memoria prodotta durante le operazioni di controllo, in data 5.12.2008, la contribuente aveva giustificato, attraverso le singole fatture, i servizi di trasporto.

5. Con il quinto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di contraddittorio delle parti, per non aver la CTR, considerato la documentazione prodotta a sostegno della tesi del contribuente in relazione alla riduzione del costo di cui alla fattura prot. (OMISSIS) rimessa dal fornitore A.A..

6. Il primo motivo è infondato.

6.1. Come si evince dal momento di sintesi del primo motivo di ricorso, ciò di cui il ricorrente si duole è che la CTR, in dispregio della normativa richiamata, non abbia considerato che l’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria non si è conclusa con un verbale finale di constatazione, di sintesi delle risultanze delle indagini e delle violazioni riscontrate, si da consentire al contribuente di fare osservazioni e richieste. Che la CTR non sia incorsa nel vizio denunciato, si ricava dagli esiti della giurisprudenza di questa Corte che, già da tempo, afferma (cfr., ex plurimis, Cass. civ. Sez. V, 22 giugno 2018, n. 16546) che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione, essendo sufficiente un verbale attestante le operazioni compiute; si è, altresì, precisato che in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di IVA), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dalla L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo all’emissione di avvisi di accertamento (cfr. Cass. Civ. Sez. V, 29 dicembre 2017, n. 31120).

6.3. Ne consegue, quindi, che è priva di pregio la considerazione di parte ricorrente secondo cui, la previsione di cui alla L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie; inoltre, poichè il contenuto del processo verbale deve avere riguardo alla specifica attività compiuta dall’amministrazione finanziaria, in caso di accesso mirato – come nel caso di specie in cui è incontestato che l’Ufficio in data 06/07/2006 ha effettuato l’accesso presso la sede della società (v. pag. 3 del ricorso) – correttamente sono stati redatti i vari verbali di accesso tra cui l’ultimo (del 22.12.2008), con il quale si è dato conto dei documenti oggetto di verifica, nonchè dei documenti richiesti dall’amministrazione finanziaria e non consegnati dalla società contribuente (cfr. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12094 del 08/05/2019, Rv. 653852-01).

7. Anche il secondo motivo di ricorso, è infondato.

7.1. Va premesso che il giudice di appello, pur a fronte di un avviso di accertamento emesso ante tempus (l’accesso è terminato in data 5.12.2008 e l’avviso di accertamento è stato emesso in data 22.12.2008 e notificato il 23.12.2008), ha ritenuto sussistenti le ragioni di urgenza per emanare l’atto, argomentando che “l’attività defatigatoria” della parte di non esibire i documenti richiesti, è stata interrotta dall’urgenza dell’imminente decadenza (31.12.2008).

7.2. Va evidenziato, che secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, – termine che, secondo interpretazione unanime, decorre dal rilascio al contribuente, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza del requisito dell’urgenza (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (cfr. Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013, Rv. 627474; cfr. Sez. 5, Sentenza n. 11944 del 13/07/2012, Rv. 623381-01 che, in caso simile a quello all’esame e cioè in fattispecie nella quale l’esigenza di provvedere senza ritardo emergeva dall’adozione dell’atto in prossimità del decorso del termine di decadenza di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, ha affermato che l’esonero dall’osservanza del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, previsto dalla L. cit., art. 12, comma 7, opera in presenza del requisito dell’urgenza dell’emissione dell’atto, anche se in questo non sia enunciato il fatto determinativo dell’urgenza, poichè, a norma della legge cit., art. 7, l’obbligo di motivazione si riferisce esclusivamente alle ragioni della pretesa tributaria, ma non anche ai tempi di emanazione dei provvedimenti impositivi o alle regole procedimentali). Nè la sentenza di questa Corte richiamata dalla ricorrente (Sez. 5, Sentenza n. 16999 del 05/10/2012, Rv. 624094-01) si discosta da questi principi, affermando anch’essa che l’atto emesso ante tempus è invalido, salvo i casi di particolare e motivata urgenza, in applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 3 e 21 septies, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 2 e 3 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 5.

7.3. Alla luce di tali consolidati principi, le censure che svolge la ricorrente, con il secondo motivo, non colgono nel segno, considerato che, come evidenziato nel momento di sintesi e come risulta dalle norme citate nella rubrica del secondo motivo, la società ricorrente censura la CTR perchè ha ritenuto valido l’avviso di accertamento emesso prima dello spirare del termine “pur in difetto di ogni motivazione con riguardo alle ragioni dell’urgenza di emettere l’atto di accertamento” (v. pag.16 del ricorso), il che non è nella specie; ed infatti, la CTR ha dato atto esplicitamente panto della sussistenza di ragioni d’urgenza che hanno determinato l’esonero dall’osservanza del termine di sessanta giorni, previsto dalla L. cit., art. 12, comma 7, individuandole nell’attività defatigatoria della parte di non esibire i documenti richiesti.

7.4. In conclusione, il motivo è infondato, in quanto la mancata indicazione nell’atto di accertamento delle ragioni di urgenza diviene irrilevante, qualora il giudice di merito abbia accertato – come è avvenuto nella specie – che l’Agenzia delle Entrate ha dimostrato in giudizio l’effettiva sussistenza di valide ragioni per la emissione anticipata dell’atto di accertamento.

8. Anche il terzo motivo è infondato.

8.1. Va premesso che la CTR ha ritenuto infondate le contestazioni e le prove a discarico offerte dalla società contribuente, motivando su una serie di elementi indiziari che, a giudizio di quest’ultima, disvelano la “genericità” della descrizione delle prestazioni d’impresa indicate nelle fatture (o perchè recanti la dicitura “anticipo per trasporti effettuati”, o perchè incongruenti – fattura n. 14 -, o per mancata prova del prospetto di calcolo relativo alla dedotta agevolazione fiscale per acquisti di carburante) ed, in quanto tali, difformi dai parametri di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21; la CTR ha confermando l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate anche sull’ulteriore considerazione che la società non aveva soddisfatto l’onere di chiarire “l’antieconomicità della produzione dato che a fronte di spese di Euro 2858.291,58 sono stati dichiarati incassi per Euro 2.413.849,11”.

8.2. Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, “l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (cfr., ex plurimis, Cass. n. 20060 del 24/09/2014); egualmente, in materia di IVA, si è soggiunto che “l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (cfr., Cass. del 30 dicembre 2015, n. 26036; eadem, 11 ottobre 2018, n. 25217 del 11/10//2018).

8.3. E’ stato altresì chiarito che “In tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss. e dell’art. 2697 c.c., comma 2″ (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435-01; n. 9784 del 2010, Rv. 612593 – 01).

8.4. La sentenza gravata ha fatto buon governo di tali principi basando il suo ragionamento presuntivo sulla base di indizi scaturenti da fatti noti (fatture), e deducendone, logicamente, i fatti ignorati e cioè la complessiva inattendibilità, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente, della contabilità della società e della non veridicità delle operazioni dichiarate; vieppiù, a tale ragionamento presuntivo non si è frapposta la controprova della società contribuente, la quale, anche nella fase endoprocedimentale, non aveva consegnato la documentazione giustificativa richiesta dall’Ufficio.

9. Gli ultimi due motivi di gravame sono inammissibili. La ricorrente denuncia il vizio di omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio e controverso tra le parti assumendo che “delle allegazioni delle parte, peraltro verbalizzate nel corso dell’accesso del 5.12.2012 non v’è traccia nella valutazione della sentenza che qui si impugna” (quarto motivo) e che “la sentenza… non esamina la documentazione in atti e non decide il punto della legittimità della deduzione del costo di cui alla fattura prot. (OMISSIS)” (quinto motivo).

9.1. Le due doglianze sono formulate con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, disposizione che non può trovare applicazione nel caso all’esame: la sentenza impugnata è stata depositata in data 22 maggio 2012, mentre la formulazione novellata dell’art. 360, comma 1, n. 5, si applica alle sentenze pubblicate nel trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (11 agosto 2012).

9.2. In ogni caso, i due motivi sono inammissibili anche considerando la previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cit., in quanto, dalla lettura della sentenza impugnata, è evidente che non sussiste l’omessa motivazione avendo la CTR specificamente argomentato sugli elementi di prova risultanti dagli atti (v. par. 8.4.). D’altro canto, trattandosi di accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito, non sarebbe comunque consentita, in questa sede di legittimità, alcuna rivalutazione dei fatti dedotti dalla ricorrente.

10. Il ricorso va, dunque, integralmente rigettato.

11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto dell’attività difensiva svolta dall’Agenzia delle Entrate che ha presentato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione Civile, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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