Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27819 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6464/14 R.G. proposto da:

CISAF DI F.C. & C. S.A.S., C.F. e

C.G., rappresentati e difesi, giusta procura in calce

al ricorso, dagli avv.ti Dolce Cristiano e Cascino Daniela, con

domicilio eletto in Palermo, via Lussemburgo, n. 35;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria dell’Emilia Romagna

n. 12/02/13 depositata in data 21 gennaio 2013

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. A seguito di accertamenti da cui emergeva l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle entrate invitava la Cisaf di F.C. & C. s.a.s. a esibire documentazione contabile relativa agli anni 1999, 2000 e 2001; non avendo la società riscontrato la richiesta, l’Ufficio provvedeva a determinare induttivamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, il reddito della società per gli anni oggetto di verifica ed emetteva separati avvisi di accertamento anche a carico del socio accomandatario, F.C., e del socio accomandante, C.G..

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, per la società e per il socio accomandatario gli avvisi venivano depositati presso la Casa comunale ed affissi all’albo pretorio in data 29 dicembre 2005, mentre per il socio accomandante venivano consegnati al padre convivente in data 20 dicembre 2005.

2. In data 28 febbraio 2006 la società e i soci presentavano istanza di accertamento con adesione, ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, e, successivamente, in data 18 luglio 2006, la società presentava istanza di autotutela chiedendo la riforma delle rettifiche contenute negli avvisi di accertamento; l’Ufficio, valutata la documentazione prodotta, in parziale riforma degli atti impositivi, emetteva tre provvedimenti di autotutela, notificati il 21 settembre 2006 per l’anno 1999 ed il 20 settembre 2006 per gli anni 2000 e 2001.

3. La società e i soci ricorrevano avverso gli originari avvisi di accertamento ed avverso i provvedimenti di autotutela parziale dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale rigettava i ricorsi per definitività degli avvisi di accertamento a seguito di mancata opposizione.

La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla società e dai soci e la Commissione regionale, rilevando che gli avvisi di accertamento erano ormai divenuti definitivi per mancata opposizione nei termini di legge, respingeva il gravame.

Osservava, in particolare, che ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6, comma 3, la sospensione conseguente all’istanza di adesione era disposta per un termine fisso pari a novanta giorni, trascorsi i quali, ricominciavano a decorrere i termini per la proposizione del ricorso, con la conseguenza che, a prescindere dalla convocazione da parte dell’Ufficio, era onere della parte presentare tempestivamente opposizione.

Nella specie, le parti avevano presentato il ricorso oltre i sessanta giorni dalla notifica anche dei provvedimenti di autotutela emessi dall’Ufficio e, pertanto, ritenuta assorbita ogni altra questione, dichiarava i ricorsi di primo grado inammissibili perchè tardivamente proposti.

4. Ricorrono per la cassazione della sentenza d’appello la società e i soci, con due motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo i contribuenti deducono omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e si dolgono che la Commissione territoriale, ritenendo tutte le eccezioni assorbite dalla dichiarata inammissibilità dei ricorsi di primo grado, ha omesso di pronunciarsi sia in merito alle eccezioni concernenti il difetto di motivazione degli avvisi di accertamento e dei successivi provvedimenti di autotutela, sia in ordine al mancato invito al contraddittorio.

2. Con il secondo motivo – rubricato “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto” – censurano la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 140,142 e 145 c.p.c..

Denunciano, al riguardo, che, in contrasto con le previsioni dell’art. 145 c.p.c., la notifica degli avvisi di accertamento era avvenuta prima nei confronti dei soci e solo successivamente nei confronti della società, peraltro ai sensi dell’art. 140 c.p.c.; tali notifiche non erano suscettibili di sanatoria ai fini della tempestività dell’esercizio del potere impositivo, sicchè, quanto meno in relazione all’anno 1999, l’Amministrazione era decaduta dall’esercizio di tale potere, risultando l’accertamento notificato oltre il termine previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57.

In via subordinata, evidenziano che la notifica alla società ex art. 140 c.p.c. non si era perfezionata poichè l’Amministrazione non aveva provveduto all’invio della prevista raccomandata alla società per informarla dell’avvenuto deposito dell’atto tributario presso la casa comunale, omissione di per sè non superabile dal fatto che la società, avendone appreso il contenuto dal socio accomandante, in data 28 febbraio 2006 aveva presentato apposita istanza di accertamento con adesione.

Eccepiscono, altresì, la nullità della notifica eseguita nei confronti del socio accomandante in data 20 dicembre 2005, perchè effettuata presso la sua residenza, e di quella effettuata nei confronti del socio accomandatario e legale rappresentante della società, perchè eseguita dieci giorni prima della notifica alla società debitrice, oltre che per errata applicazione dell’art. 142 c.p.c., dato che all’epoca, essendo F.C. residente in Germania, l’atto tributario, in base alla Convenzione stipulata tra Germania e Italia il 9 giugno 1938, avrebbe dovuto essere trasmesso, con annessa traduzione asseverata, dalle autorità ministeriali italiane a quelle tedesche ed essere consegnata al destinatario a cura del Ministero delle Finanze tedesco, al fine di garantire una effettiva conoscenza da parte del contribuente dell’atto a lui rivolto.

3. Il secondo motivo, che va esaminato con priorità, è infondato.

La Commissione regionale, con apprezzamento di fatto non scrutinabile in questa sede, tenuto conto della data di presentazione del ricorso, ha rilevato che gli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione sono divenuti definitivi per omessa impugnazione nei termini di legge.

A tale conclusione è pervenuta sul rilievo che, sebbene le parti contribuenti a seguito delle rettifiche operate dall’Ufficio abbiano presentato, in data 28 febbraio 2006, istanza di definizione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, per effetto della quale i termini per la impugnazione sono rimasti sospesi, ai sensi dell’art. 6, comma 3, per novanta giorni, i ricorsi introduttivi, con i quali sono stati contestualmente impugnati sia gli avvisi di accertamento originari sia i provvedimenti di autotutela, anche tenendo conto di detta sospensione, sono stati tardivamente proposti oltre i termini di legge di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

La decisione impugnata si pone in linea con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui in tema di accertamento con adesione, la presentazione della istanza di definizione, così come il protrarsi nel tempo della relativa procedura, non comportano l’inefficacia dell’avviso di accertamento, ma ne sospendono soltanto il termine di impugnazione per 90 giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, l’avviso di accertamento, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo, poichè, a norma del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, artt. 6 e 12, soltanto all’atto del perfezionamento della definizione l’avviso perde efficacia (Cass., sez. 6-5, 2/03/2012, n. 3368; Cass., sez. 5, 24/08/2018, n. 21096).

La Commissione regionale, rilevando che la società ed i soci, allo scadere del termine di novanta giorni di sospensione previsto dal citato art. 6, non hanno tempestivamente opposto, nei termini di legge, gli avvisi di accertamento in sede giurisdizionale, al fine di far valere eventuali vizi afferenti alla notifica ed alla motivazione degli atti impositivi e l’eventuale illegittimità degli avvisi di rettifica, ha correttamente ritenuto inammissibili i ricorsi introduttivi di primo grado ed ormai definitivi gli atti impositivi.

Ne discende che le censure rivolte con il mezzo in esame, afferenti a pretesi vizi delle notifiche degli atti impositivi e ad una presunta decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio del potere impositivo – che costituisce eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio dal giudice (Cass., sez. 5, 3/10/2018, n. 24074) – non si confrontano con la ratio decidendi della pronuncia.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

L’accertata tardività dei ricorsi introduttivi di primo grado precludeva alla Commissione regionale l’esame del merito delle ulteriori eccezioni sollevate dai contribuenti.

Il motivo è anche inammissibile per difetto di interesse, in quanto denuncia l’omesso esame di una questione che il giudice di appello non ha esaminato perchè ritenuta assorbita, sicchè in merito a detta questione manca la soccombenza che costituisce il presupposto della impugnazione (Cass., sez. 3, 23/11/1998, n. 11861).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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