Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27817 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9641-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente-

e contro

C.I.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1868/2013 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

MILANO, depositata il 09/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSSI RAFFAELE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

In parziale accoglimento dell’impugnativa spiegata dalla contribuente, la Commissione Tributaria Centrale – sezione di Milano (in appresso, per brevità: C.T.C.), con la sentenza n. 1868/2013 del 9 maggio 2013, dichiarava C.I., quale amministratore della società Tessitura di C. S.p.A. posta in liquidazione nel gennaio 1978, responsabile con il proprio patrimonio, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36, per l’omesso pagamento delle imposte sui redditi ad opera della predetta società (ascrivibile ad occultamento di poste attive di rilevante entità, oggetto di separato accertamento divenuto definitivo), limitatamente all’anno d’imposta 1976, escludendo invece tale responsabilità personale per gli ulteriori periodi d’imposta (dal 1972 al 1975) contestati nell’atto impositivo.

Ricorre per cassazione, articolando un unico motivo, l’Agenzia delle Entrate; alcuna attività processuale svolge la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con l’unico motivo, per violazione e falsa applicazione di una pluralità di norme di legge, parte ricorrente denuncia l’erronea lettura del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 offerta dalla C.T.C.: assume che la responsabilità degli amministratori della società estinta per i debiti tributari dell’ente rimasti inadempiuti per causa a loro imputabile discenda direttamente dalla legge ed abbia natura autonoma e solidale, talchè il pagamento dell’intero dovuto possa essere richiesto a ciascuno degli amministratori succedutisi nel tempo e non vada limitato al tempo di svolgimento delle funzioni gestorie.

Il motivo è fondato.

In linea generale, è doveroso premettere che, secondo il consolidato orientamento espresso dal giudice della nomofilachia, la responsabilità dell’amministratore di una estinta società di capitali per le imposte sui redditi non versate dall’ente, disciplinata dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 (nonchè dalla previgente disposizione, di analogo tenore, del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 265), configura una obbligazione ex lege nei confronti dell’amministrazione finanziaria, avente natura civilistica (riconducibile alle previsioni comuni degli artt. 1176 e 1218 c.c.) e titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, che della prima costituisce un mero presupposto (in tal senso, Cass. 20/07/2020, n. 15377; Cass. 25/06/2019, n. 17020.2019; Cass. 11/05/2012, n. 7327).

Specificamente, il più volte citato D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 3, (nella formulazione, ratione temporis applicabile alla fattispecie, anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 21 novembre 2014, n. 175), estende le responsabilità poste dai commi precedenti a carico dei liquidatori e dei soci della società estinta agli amministratori della stessa che abbiano compiuto “nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione” ovvero abbiano “occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili”.

Dalla sussistenza di questi ultimi presupposti (nella vicenda in esame, incontroversi, attesa la non contestata affermazione contenuta nella pronuncia impugnata) trae scaturigine la responsabilità degli soggetti che abbiano rivestito la carica di amministratori sociali nel biennio anteriore alla messa in liquidazione: responsabilità che non incontra nel dato positivo menzionato o nei principi di sistema alcun altro limite, tampoco di ordine temporale o di correlazione all’esercizio effettivo delle funzioni di amministrazione.

Appare, d’altro canto, rispondente a criteri di coerenza logica e razionalità ascrivere al soggetto che, nello svolgere (ancorchè per un breve periodo di tempo) le mansioni di amministratore in epoca precedente la liquidazione, abbia espletato attività liquidatorie o (ancor di più) abbia tenuto la riprovevole condotta dell’occultamento di poste attive, la responsabilità per l’omesso pagamento delle imposte sociali (cui, in via prioritaria, devono considerarsi destinate le attività occultate) anche (o, per meglio dire, innanzitutto) riferite alle annualità di imposta antecedenti all’assunzione della carica stessa.

Si appalesa pertanto erronea la valutazione (e il conseguente dictum) della C.T.C. nella parte in cui ha circoscritto la responsabilità personale di C.I. per le imposte non versate dalla Tessitura di C. S.p.A. alla sola annualità (1976) corrispondente all’esercizio della carica sociale di amministratore, responsabilità che invece deve reputarsi estesa anche ai periodi (dal 1975 a ritroso sino al 1972) contestati nel provvedimento dell’Ufficio finanziario.

Cassata la sentenza gravata, la causa, non richiedendo ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso di C.I. avverso l’atto impositivo di declaratoria di responsabilità suis temporibus emesso dall’Ufficio Imposte di Lecco.

Il peculiare svolgimento della controversia (segnatamente le alterne decisioni dei giudici di merito) e la novità della questione esaminata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali relative ai gradi di merito, conformando il regolamento delle spese del giudizio di legittimità al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito la lite, rigetta l’originario del contribuente; compensa tra le parti le spese processuali dei gradi di merito e condanna Ida Capurro al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800 a titolo di compenso, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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