Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27812 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 30/10/2019), n.27812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 7771/2013 proposto da:

Associazione Sportiva Dilettantistica “Solemar” rappresentato e

difeso dall’avv.to Bruno Sed con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, Corso d’Italia n. 19.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia n. 12/29/2012 depositata il 23/01/2012.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Pandolfi Catello nella

camera di consiglio del 14/05/2019.

Fatto

RILEVATO

che:

L’Associazione Sportiva Dilettantistica SOLEMAR ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR della Sicilia n. 12729/12 depositata il 23/01/2012.

La vicenda tra origine dalla notifica dell’avviso di accertamento (OMISSIS) con cui veniva contestato al sodalizio un maggior importo per IRAP, IRES e IVA, oltre sanzioni, relativo all’anno d’imposta 2005, conseguente ad attività di verifica condotta dalla Guardia di Finanza. In esito ad essa l’Amministrazione riteneva che l’Associazione avesse svolto attività commerciale offrendo servizio di bar e ristorazione, il cui volume d’affari era assoggettabile a tassazione separata.

La ricorrente ha basato il suo ricorso su quattro motivi.

Con il primo, lamenta insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su un fatto decisivo e controverso consistente nella inadeguata valutazione delle dichiarazioni prodotte, comprovanti lo svolgimento e la natura delle attività istituzionali.

Con il secondo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censura la sentenza per la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 considerata la difforme valutazione tra le dichiarazioni rese dagli associati, prodotte dalla ricorrente e quelle raccolte dai verificatori indicate nell’avviso di accertamento.

Con il terzo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si duole della insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso consistente nell’effettivo e prevalente svolgimento delle attività istituzionali dell’Associazione.

Con il quarto motivo deduce omessa pronuncia circa la domanda di ricalcolo del presunto imponibile in violazione dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo, la ricorrente lamenta insufficiente motivazione circa lo scarso rilievo probatorio attribuito dal giudice regionale alle dichiarazioni, da essa prodotte, rese dai soci sulla natura e sull’ambito delle attività svolte dal sodalizio, contrastanti con quelle raccolte dai verificatori della Guardia di Finanza.

il motivo è inammissibile dal momento che il “fatto” in ordine al quale la parte ha rilevato insufficiente o omessa motivazione, circa la mancata valutazione delle dichiarazioni di soci, secondo i quali l’attività di ristorazione era ad essi riservata, non è riconducibile alli ipotesi di cui all’articolo di cui si assume la violazione. Infatti questa Corte ha più volte affermato che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (applicabile ratione temporis) prevede l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, come riferita ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate” (Sez. 5, Sentenza n. 21152/2014 e Ord. 24035/2018).

Nel caso in esame la ricorrente non lamenta l’insufficiente motivazione circa un fatto/accadimento, ma l’insufficiente o mancata valutazione di una deduzione difensiva mirante a valorizzare la valenza indiziaria dei documenti da essa prodotti.

Inoltre, il fatto controverso, inteso nel senso suddetto, deve essere decisivo per il giudizio, cioè tale da rendere certo e non solo probabile che il giudice sarebbe giunto ad una decisione opposta a quella adottata.

Nella specie, invece, tale certezza non vi è dal momento che la decisione d’appello è basata su un insieme di argomentazioni che escludono, pur con l’apporto dei documenti prodotti dalla parte, ogni certezza sul diverso esito del giudizio, in presenza di risultanze processuali non univoche.

-Con il secondo motivo di ricorso, l’Associazione deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 per la difforme valenza probatoria conferita dalla Commissione alle dichiarazioni prodotte dalla ricorrente, rispetto a quelle raccolte dalla Guardia di Finanza nel corso della verifica e trasfuse nel processo verbale di constatazione a base dell’avviso di accertamento.

La doglianza appare infondata dal momento che la CTR non ha attribuito alle dichiarazioni prodotte dall’Ufficio “valore di prova”, in violazione, appunto, del richiamato art. 7, negandolo invece a quelle prodotte dalla ricorrente o ammettendo le prime e non le secondo, venendo meno al principio di reciprocità, affermato da questa stessa Corte (ex multis sent. 11785/2010). Ha, invece, attribuito un giudizio di maggiore attendibilità alle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dalle persone incontrate e interpellate dagli operanti in occasione di una manifestazione organizzata dall’Associazione. Dichiarazioni, numericamente limitate, ma ritenute di valore indiziario prevalente alle altre per la concomitanza di ulteriori elementi di convincimento. Quali il fatto che si trattasse di persone che avevano fruito del servizio di caffetteria/ristorazione pur non essendo associate, in contrasto con l’assunto della ricorrente che il servizio fosse riservato ai soci e fosse strumentale esclusivamente all’attività sociale. Come pure la circostanza che le attività istituzionali, indicate dalla ricorrente per provare, come suo onere, la prevalenza sull’attività commerciale, erano a tal fine scarsamente significative, perchè svoltesi tutte, tranne una, in anni successivi a quello relativo all’accertamento. Ed ancora il fatto che altre persone, pur qualificatesi come soci, avevano asserito di non essere stati coinvolti nella partecipazione alle attività degli organi sociali, così negando la sussistenza di uno dei tratti essenziali delle associazioni sportive dilettantistiche, per escluderne la natura commerciale. (Cass. Ord. n. 32119/2018).

E’, inoltre, giurisprudenza di questa Corte (ex multis Ord. n. 11492/2019) che “l’esenzione contributiva prevista in favore delle associazioni sportive dilettantistiche dipende non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sull’interessato”

Nè rileva, come invece ritiene la ricorrente per metterne in dubbio la utilizzabilità, che le dichiarazioni, rese dagli avventori e da alcuni soci ai militari della Guardia di Finanza, non siano state verbalizzate, posto che “nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito nell’avviso di accertamento, hanno il valore indiziario di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento, sebbene esse non siano state assunte o verbalizzate in contraddittorio con il contribuente, da nessuna norma richiesto (Sez. 5, Sent. n. 21812/2012).

-Con il terzo motivo la ricorrenti si duole parimenti della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma sotto il diverso profilo della mancata o inadeguata valutazione delle iniziative sociali, elencate per provare l’effettivo e prevalente svolgimento di attività istituzionali, coerenti con le finalità statutarie volte allo sviluppo degli sports “balneari” e alla valorizzazione dell’arte siciliana.

Il motivo, come il primo, è inammissibile per motivi analoghi. Con esso la ricorrente, sempre in riferimento allo stesso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta l’insufficiente motivazione circa lo scarso rilievo probatorio riservato dal giudice regionale alle deduzioni relative allo svolgimento di molteplici attività istituzionali, prevalenti sull’attività di ristorazione. Anche in tal caso la parte si duole, non dell’inadeguata motivazione di un fatto/accadimento, ma della mancata valutazione di un’argomentazione difensiva, che la CTR non ha ignorato, ma non l’ha ritenuta decisiva nel senso indicato dalla ricorrente, per la presenza di elementi indiziari di segno diverso ritenuti prevalenti, quali quelli ricordati in riferimento al secondo motivo

-Il quarto motivo censura la violazione dell’art. 112 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso, il giudice regionale, di pronunciarsi sulla richiesta di rideterminazione dell’imponibile indicato nell’avviso di accertamento posto che, come sostiene la ricorrente, la percentuale di ricarico adottata è “assolutamente indeterminata”.

Anche tale motivo di omessa pronuncia appare infondato.

Infatti, l’Amministrazione, nelle sue controdeduzioni al ricorso di primo grado, allegate al fascicolo prodotto dalla ricorrente, ha illustrato dettagliatamente i criteri e i parametri adottati dall’Ufficio per determinare il maggior reddito e la maggiore imposta. Il Giudice regionale nel respingere l’appello, confermando il giudizio della CTP, ha ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio in tutte le fasi della procedura di accertamento e quindi anche in quella relativa alle operazioni di quantificazione della pretesa impositiva, con ciò respingendo sia la censura sulla indeterminabilità del “presunto imponibile”, sia la domanda di ricalcolo.

La stessa ricorrente, peraltro, evidenzia che il criterio di determinazione delle percentuali di ricarico, applicate nel casi di specie, era ricavabile, dal momento che l’Ufficio ha esplicitato di essersi attenuto, nell’elaborazione della pretesa impositiva, alle indicazioni della circolare n. 117/E del 6.5.1998. Nè è condivisibile l’affermazione della parte secondo cui quella risalente circolare non avrebbe potuto essere applicata ad un accertamento relativo al 2005. Con ciò intendendo dire che, per il lasso di tempo trascorso, essa era “obsoleta”, per cui la sua applicazione non poteva non dar luogo ad un calcolo incongruo, in pregiudizio del contribuente. Tale argomentazione è però immotivata giacchè riguarda una circolare che non risulta fosse stata sostituita da altre successive ed era, quindi, correttamente applicabile al caso in esame.

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e delle spese prenotate a debito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna l’Associazione ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00, nonchè delle spese prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 30 ottobre 2019

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