Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27810 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27810

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6694-2012 proposto da:

IMMOBILIARE L’OTTAGONO SRL, S.M., M.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI VILLA SEVERINI N. 54,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TINELLI, rappresentati e

difesi dall’avvocato MARCO VERSIGLIONI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA TERRITORIO DIREZIONE GENERALE, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA TERRITORIO UFFICIO PROVINCIALE (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 9/2011 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,

depositata il 27/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. la commissione tributaria regionale dell’Umbria, con sentenza n. 9 deposita il 27 gennaio 2011, confermando la sentenza di primo grado, riteneva congruamente motivato e quindi legittimo l’avviso di accertamento catastale emesso dall’Agenzia delle Entrate, a seguito di procedura Docfa, con attribuzione all’immobile destinato a parcheggio, di proprietà della s.r.l. Immobiliare l’Ottagono, inserito nella categoria D/8, di una rendita superiore a quella proposta;

2. in particolare la sezione affermava che l’avviso conteneva “tutti i riferimenti attraverso i quali l’ufficio è arrivato alla determinazione del valore dell’immobile, diversificando anche la valutazione in base alla destinazione della superficie”, che “l’attribuzione del valore era confortata anche dalla decisione n. 27/04/02”, passata in giudicato, con cui altra sezione della commissione regionale dell’Umbria aveva confermato il classamento di una particella la quale, senza alcuna modifica, era venuta poi a costituire parte dell’immobile oggetto di causa, che “la pretesa dell’appellante circa la valutazione della sola superficie destinata al parcheggio” era infondata in quanto anche il resto della superficie era comunque “pertinente all’attività di parcheggio”;

3. la società contribuente ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della sopradetta sentenza;

4. l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso viene lamenta la violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7. La ricorrente riporta la motivazione dell’avviso:

“L’agenzia del Territorio di (OMISSIS), per la stima diretta dell’immobile, ha adottato il metodo di stima sintetico comparativo, tenendo conto dei valori unitari dei fabbricati destinati alle specifiche attività similari, riferiti al biennio 1988 – 1989” (pagina 4 del ricorso). Deduce che non erano stati indicati i fabbricati presi a comparazione, nè individuate le “specifiche attività similari” nè i parametri per la loro valutazione. La ricorrente contesta il rilievo dato dalla commissione alla sentenza 27/4/02 posto che quest’ultima era stata richiamata nell’atto di costituzione dell’ufficio nel giudizio di primo grado, non era stata menzionata nella motivazione dell’avviso e non poteva quindi valere a superare il denunciato deficit motivazionale;

2. con il secondo motivo di ricorso viene lamentata la “violazione del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 54, in combinato disposto con il D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 11, convertito con modificazioni nella L. 13 maggio 1988, n. 154”. La ricorrente sostiene che la commissione avrebbe dovuto dichiarare l’avviso illegittimo perchè emesso senza che l’amministrazione avesse proceduto ad effettuare il sopralluogo, indispensabile ai fini della determinazione del valore dell’immobile;

3. con il terzo motivo di ricorso viene lamentata la violazione “del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 37, in combinato disposto con il D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 8, 28 e 29 “. La ricorrente sostiene che la commissione avrebbe dovuto dichiarare l’avviso illegittimo essendo da ritenere, in mancanza dell’indicazione degli elementi sulla base dei quali l’ufficio aveva provveduto alla stima dell’immobile, che non fosse stato seguito il criterio della stima diretta;

4. con il quarto motivo di ricorso viene dedotta la “nullità per omessa motivazione – in punto di diritto – della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, per avere il giudice di appello acriticamente e pedissequamente fatto propria la valutazione della rendita catastale operata dall’ufficio senza dare conto, in concreto, dell’iter logico – giuridico a tal fine effettivamente seguito e senza rendere intellegibile, se esistente, il criterio nella specie adottato per la determinazione del valore dell’immobile posto a base dell’attribuzione del reddito”;

5. con il quinto motivo di ricorso viene dedotta la “nullità per omessa motivazione – in punto di fatto – della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere il giudice di appello acriticamente e pedissequamente fatto propria la valutazione della rendita catastale operata dall’ufficio pervenendo così ad una decisione di merito illogica perchè avulsa dal dato reale invece palesato dalle evidenze fattuali ritualmente dedotte e dimostrate in giudizio dalla ricorrente mediante i ricorsi introduttivi ed i documenti (segnatamente due elaborati peritali) prodotti in primo e secondo grado, evidenze del tutto obliterate dal giudicante e dalle quali emerge chiaramente che la rendita catastale autoritativamente attribuita all’immobile in questione non è coerente e non è proporzionata al valore venale in comune commercio del bene”. La ricorrente in particolare deduce che la commissione tributaria regionale abbia trascurato di considerare l’elaborato peritale a firma del geom. A., prodotto in primo grado, dal quale risultava che “gli spazi effettivamente utilizzabili ed idonei a fini produttivi, di fatto adibiti a piazzole di sosta per le autovetture, hanno una superficie utile quantificabile in mq. 2184, quindi di molto inferiore alla predetta superficie complessiva di mq. 6094” a cui l’avviso ha riguardo. Deduce altresì che la commissione abbia trascurato di tener conto del fatto, “notorio e pacifico”, che le potenzialità reddituali dell’immobile de quo erano limitate dalle tariffe di parcheggio “vigenti presso il medesimo” immobile, stabilite dal Comune di (OMISSIS) (ove l’immobile è posto). Deduce infine che la commissione non abbia tenuto conto dei due elaborati peritali prodotti fino dal primo grado di giudizio attestanti “valori entrambi ben lontani ed inferiori rispetto a quello accertato dall’Agenzia e pedissequamente confermato dai giudici di primo e secondo grado”;

6. il primo motivo e il terzo motivo di ricorso veicolano la medesima doglianza di difetto della motivazione dell’avviso. La doglianza è infondata. Ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”. Il contenuto della motivazione – la quale non è da intendersi in senso formalistico come esposizione di fatti anche già noti al contribuente ma come requisito funzionale, innanzi tutto, a consentire al contribuente di venire a conoscenza dei termini della pretesa impositiva anche per, eventualmente, opporvisi – varia a seconda del tipo di atto e della procedura seguita dall’amministrazione per la relativa emissione. In questa cornice di riferimento, la Corte ha già puntualizzato che “In tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale abbia luogo a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, conv. in L. n. 75 del 1993, e del D.M. 19 aprile 1994, n. 701, (cd. Procedura DOCFA) ed in base ad una stima diretta eseguita dall’Ufficio (come accade per gli immobili classificati nel gruppo catastale D), tale stima, che integra il presupposto ed il fondamento motivazionale dell’avviso di classamento (esprimendo un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica, in relazione al quale la presenza e l’adeguatezza della motivazione rilevano ai fini non già della legittimità, ma dell’attendibilità’ concreta del cennato giudizio, e, in sede contenziosa, della verifica della bontà delle ragioni oggetto della pretesa), costituisce un atto conosciuto e comunque prontamente e facilmente conoscibile per il contribuente, in quanto posto in essere nell’ambito di un procedimento a struttura fortemente partecipativa, con la conseguenza che la sua mancata riproduzione o allegazione all’avviso di classamento non si traduce in un difetto di motivazione” (Cass. 27/03/2019, n. 8529). Alla luce di quanto precede l’avviso di cui trattasi, correttamente, è stato definito dalla commissione regionale dell’Umbria motivato e dunque legittimo;

7. il secondo motivo di ricorso è infondato. La Corte ha in più occasioni affermato che “In tema di classamento, l’attribuzione di rendita catastale ai fabbricati a destinazione speciale o particolare non presuppone l’esecuzione del previo sopralluogo, il quale non costituisce nè un diritto del contribuente nè una condizione di legittimità del correlato avviso attributivo di rendita, trattandosi solo di uno strumento conoscitivo del quale l’Amministrazione può avvalersi (Cass. 8529/2019; Cass. 6633/2019; Cass. 12743/2018);

8. il quarto motivo è inammissibile. E’ denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sezioni Unite 8053/2014). Nel caso di specie la motivazione sussiste ed è chiara: essendo stata contestata l’assenza di motivazione del provvedimento impositivo, nella motivazione della sentenza si dice che, al contrario, l’avviso “contiene tutti gli elementi attraverso i quali l’ufficio è arrivato alla determinazione del valore dell’immobile”; essendo stata contestata la stima dell’ufficio, nella motivazione della sentenza si esprime adesione alla stima stessa dandosi conto che l’attribuzione del valore di cui all’avviso “è confortata anche dalla decisione n. 27/04/02” – il termine “confortata” denota la valutazione come già di per sè sufficiente e condivisibile delle stima risultante dall’avviso – e che la pretesa della contribuente “circa la valutazione della sola superficie destinata a parcheggio” non è fondata. Le sopradette anomalie non sussistono. La denunciata nullità della sentenza maschera il tentativo di ottenere, in questa sede di legittimità, una rivalutazione del merito della valutazione operata dall’ufficio e condivisa dalla commissione regionale;

9. riguardo al quinto motivo valgono le seguenti considerazioni. La contribuente lamenta l’omessa valutazione di tre circostanze. Deduce che la commissione tributaria regionale abbia trascurato di considerare, in primo luogo, l’elaborato peritale dal quale risultava che “gli spazi effettivamente utilizzabili ed idonei a fini produttivi, di fatto adibiti a piazzole di sosta per le autovetture, hanno una superficie utile quantificabile in mq. 2184, quindi di molto inferiore alla predetta superficie complessiva di mq. 6094” a cui l’avviso ha riguardo. Nella sentenza impugnata si legge che “la pretesa dell’appellante circa la valutazione della sola superficie destinata al parcheggio” era infondata in quanto anche il resto della superficie era comunque “pertinente all’attività di parcheggio”. Per questo primo profilo di doglianza il motivo in esame è infondato. La ricorrente deduce che i giudici di appello abbiano trascurato di considerare, in secondo luogo, le tariffe comunali “vigenti presso” lo specifico parcheggio, che, a dire della medesima ricorrente, costituirebbero “fatto notorio” ed avrebbero limitato la redditività e quindi il valore del parcheggio stesso. Premesso che per fatto notorio si intende un fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo e che per tale non può dunque intendersi il contenuto di una tariffa comunale vigente in un determinato parcheggio, si osserva che il ricorso al fatto notorio – come emerge dalla lettera dell’art. 115 c.p.c., comma 2, (il giudice può “senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”) e dalla lettura dell’art. 115 c.p.c., comma 2, in sistema con il primo (che fissa il principio dispositivo quale regola generale in materia di prove) – è svincolato dall’onere della prova ma non anche dall’onere di allegazione. Ciò detto, vale per il fatto notorio, così come per la circostanza di cui ora si parla, il principio secondo cui “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053). Nella specie, il ricorrente non ha indicato il “come” e il “quando” le (risultante di) dette tariffe siano state allegate in giudizio, nè, in radice, quali dette risultanze siano e dunque perchè siano decisive rispetto alla valutazione dei giudici di appello in ordine alla della stima dell’ufficio. Per il secondo profilo di doglianza, il motivo in esame è inammissibile. La ricorrente lamenta infine che la commissione regionale abbia trascurato due elaborati peritali, prodotti fin dal primo grado di giudizio, attestanti “valori entrambi ben lontani ed inferiori rispetto a quello accertato dall’Agenzia e pedissequamente confermato dai giudici di primo e secondo grado”, si osserva che, per questo terzo profilo di doglianza, il motivo è inammissibile alla luce della regola (art. 348 ter c.p.c.) per cui la sentenza di appello che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme) non è censurabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

11. le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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