Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27807 del 12/12/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27807 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 26768-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, VINCENZO TRIOLO, EMANUELE DE ROSE,
VICENZO STUMPO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente contro
GARGARO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
APPIA NUOVA 251, presso lo studio dell’avvocato SARACINO
MARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato MERCURIO MAZZEI,
giusta mandato a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 12/12/2013

- controricorrente avverso la sentenza n. 5381/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 25.10.2010, depositata i12./11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

udito per il ricorrente l’Avvocato Giuseppe Matano (per delega avv.
Antonietta Coretti) che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO
ROMANO che si riporta alla relazione scritta.
FATTO E DIRITTO

Con ricorso al Tribunale di Lucera, Giuseppe Gargaro,
operaio agricolo a tempo determinato, aveva convenuto in giudizio
l’Inps, chiedendo venisse accertato il suo diritto alla differenza
dell’indennità di disoccupazione per l’anno 1999; il ricorrente premesso che il trattamento di disoccupazione gli era stato
corrisposto dall’Istituto sulla base del salario medio convenzionale
congelato all’anno 1995 – sosteneva che tale trattamento doveva
essere invece calcolato, ai sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4,
sui minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva
provinciale, ivi compreso l’elemento denominato t.f.r., con
conseguente diritto alle differenze tra quanto spettante e quanto
percepito.
La domanda è stata dichiara inammissibile dal giudice di
primo grado, che ha ritenuto intervenuta la decadenza di cui all’art.
47, terzo comma D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, mentre la Corte
d’appello di Bari, con sentenza depositata il 15 novembre 2010, l’ha
accolta integralmente.
Avverso detta sentenza, l’Inps propone ricorso per cassazione
Ric. 2011 n. 26768 sez. ML – ud. 24-10-2013
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24/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;

— notificato in data 2 novembre 2011 -, con tre motivi.
La parte intimata si è costituita con controricorso.
Tanto premesso ritiene la Corte che il ricorso possa essere definito
in camera di consiglio nei termini di cui alla relazione ex art. 375
c.p.c..
47 D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni.
Col secondo e col terzo motivo l’Istituto ricorrente,
lamentando la violazione dell’art. 18, comma 18° del D.L. n.
98/2011, convertito in L. n. 111/2011 e, in via subordinata, degli
artt. 46, 51 e 55 del CCNL per gli operai agricoli e florovivaisti del
2002 in relazione all’art. 6, comma 4 0 , lettera a) del d.lgs. n. 314/97
nonché in relazione agli artt. 1362 e ss., 2120 cod. civ. ed all’ artt. 4
commi 10° e 11° legge 297/82, censura, in via logicamente
subordinata, la sentenza unicamente per avere incluso nella
retribuzione da prendere a base per la liquidazione dell’indennità di
disoccupazione anche la voce denominata “quota di TFR”, la quale
invece non dovrebbe esserlo, per avere essa — contrariamente a
quanto affermato la Corte territoriale — effettiva natura di retribuzione differita.
Il ricorso è manifestamente fondato nel secondo e terzo
motivo, qui trattati unitariamente, mentre il primo motivo è
infondato.
Quanto alla decadenza si osserva che l’originario testo dell’art. 47 del
D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 stabiliva quanto segue.
‘Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi
all’autorità giudiziaria, ai sensi degli arti. 459 e ss. cod. proc. civ.

Ric. 2011 n. 26768 sez. ML – ud. 24-10-2013
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Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione dell’art.

L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data di
comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti
organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia
della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti
pensionistici.

di cui al precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a
carico dell’assicurazione contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la
disoccupazione involontaria”.
Come è noto, i termini stabiliti dall’articolo di legge citato erano stati
ritenuti dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. S.U. 21 giugno 1990
n. 6245) di decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale a dire
finalizzata unicamente a delimitare l’efficacia temporale della
condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, rappresentata
dall’attivazione e dall’esaurimento del procedimento amministrativo.
Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, convertito con
modificazioni nella legge 1° giugno 1991 n. 166, ritenuto da Corte
Cost., con la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica dell’art.
47 D.P.R. n.639/70, venne poi stabilito:
“1 — I termini previsti dall’ari’. 47, commi secondo e terzo del D.P.R 30 aprile
1970 n. 639 sono posti a pena di decadenza per l’esercizio del diritto alla
prestazione previdenziale . la decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei
pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa domanda
giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini
decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2— Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non
si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.

Ric. 2011 n. 26768 sez. ML – ud. 24-10-2013
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L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date

Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi secondo e
terzo del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai
seguenti:
‘Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione giudiziaria può
essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di

dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della
predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per
l’esaurimento de/procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di
presentazione della richiesta di prestazione.
Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all’art. 24 della
legge 9 marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di
decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente commd’.
L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le disposizioni indicate
“non si applicano ai procedimenti istaurati anteriormente alla data di entrata in
vigore de/presente decreto ancora in corso alla medesima data”.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio
2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto
al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: ‘Le decadenze
previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi
ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di
accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento
parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al
quarto comma che “Le di.sposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la giurisprudenza
consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da ultimo,
sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce le tesi
Ric. 2011 n. 26768 sez. ML – ud. 24-10-2013
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comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi

della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, ger., ad es., Cass. 20
gennaio 2010 n. 948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto qui
interessa e fino alla citata recente novella del 2011, nel senso della
inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di
prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente

Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del 29
maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La decadenza
di cui al D.P.R 30 aprile 1970, n. 639, art. 47- come interpretato dal D.L 29
marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con modificazioni, nella L 1 giugno
1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda
giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta
prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene
nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate
interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei
quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria
prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da
un collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria
depositata il 18 gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa
Corte, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non
apparirebbe giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle
finalità della norma, la quale riguarderebbe viceversa ogni tipo di
azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle sezioni
unite della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la citata
novella di cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6 luglio
Ric. 2011 n. 26768 sez. ML – ud. 24-10-2013
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dall’ente previdenziale.

2011 n. 98, convertito in legge n. 111/’11, è stata quindi disposta la
restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito
di investire della questione le sezioni unite, alla luce della valutazione
della eventuale incidenza delle norme di legge citate sulla

Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina,
esprimendo il proposito del legislatore di modificare in materia, con
una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale
consolidatasi per effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del
2009, conferma indirettamente la corrispondenza di quest’ultima
all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella
del 2011.

L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite
della Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente
dallo stesso legislatore convincono il collegio della inapplicabilità
dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle
integrazioni apportate dell’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo
parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.”
In conclusione il primo motivo va respinto.
Nel resto, invece, il ricorso è fondato.
Va ricordato che questa Corte ha ripetutamente enunciato, ad es. con
la sentenza n. 202/2011, con riferimento a fattispecie analoghe a
quella in esame, il seguente principio: “Confermandosi quanto già
ritenuto dalla precedente sentenza di questa Corte n. 10546/2007
per cui ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in
agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla
Ric. 2011 n. 26768 sez. ML – ud. 24-10-2013
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interpretazione del l’art. 47, vigente prima di essa.

contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il
salario medio convenzionale ex art. 4 del D.Igs. 16 aprile 1997 n.
146 – non è comprensiva del trattamento di fine rapporto, va
ulteriormente affermato che, sulla base del suddetto principio, la
voce denominata “quota di TFR ” dai contratti collettivi vigenti a

partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal computo della
indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà
espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza
della disposizione di cui all’art. 3 D.L. 14 giugno 1996 n. 318
convertito in legge 29 luglio 1996 n. 402, a norma del quale, agli
effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi
collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a quanto
definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce
abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti,
non è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali
da parte dell’autonomia collettiva.”

Si rileva altresì, in proposito, che recentemente il
significato della norma di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del 1997
individuato dalla giurisprudenza sopra citata è stato esplicitato
anche dal legislatore, che all’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98 del
2011, convertito nella legge n. 111 dello stesso anno, ha specificato
che “L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile 1997 n. 146 e l’art. 1, comma 5°
del D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con modificazioni dalla
legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso che la
retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in

Q,

favore degli operai agricoli a tempo determinato non è comprensiva
della voce del trattamento di fine rapporto comunque denominato
dalla contrattazione collettiva”.
Ric. 2011 n. 26768 sez. ML – ud. 24-10-2013
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Col controricorso, peraltro, l’intimato dichiara di non
contestare l’esclusione del t.f.r. dalla base di computo dell’indennità
di disoccupazione, ma rileva che residua comunque un importo
minore di credito per il titolo azionato, per effetto della
applicazione dei più recenti accordi provinciali, come
condannato a pagargli tale importo minore.
La richiesta è inammissibile in quanto inutile — ed infatti,
non a caso, non è espressa con un ricorso incidentale — in ragione
del fatto che il ricorso per cassazione dell’INPS ha investito la
sentenza impugnata esclusivamente quanto alla inclusione, da
questa operata, del t.f.r. nella base di calcolo della indennità, sicché
sul diritto del ricorrente alla differenza residua si era già formato il
giudicato.
In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza cassata. Non
essendo, poi, necessari ulteriori accertamenti di merito la domanda
di inclusione del tfr nella base di calcolo dell’indennità di
disoccupazione agricola va rigettata.
Le spese dell’intero processo vanno compensate avuto riguardo
all’esito complessivo della lite.
PQM
LA CORTE
Rigetta il primo motivo di ricorso.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata
in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la
domanda quanto all’inclusione della quota di tfr nella base di
calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola azionata.
Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma il 24 ottobre 2013
Il Presidente

richiesto nell’originario ricorso e chiede che l’INPS venga

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