Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27806 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 30/10/2019), n.27806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28433/2014 R.G. proposto da:

G.A.M. srl in liquidazione, in persona del liquidatore e legale

rappresentante p.t. C.L., con gli avv.ti Mario Contestabo

e Davide Benvegnù, con domicilio in Roma, Via Antonio Gramsci n.

24, presso lo studio dell’avv. Maria Stefania Masini;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il

Friuli Venezia Giulia n. 165/10/14, pronunciata il 12.02.2014 e

depositata in data 09/04/2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 aprile

2019 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello M..

Fatto

RILEVATO

L’amministrazione finanziaria il 2 marzo 2010 notificava alla contribuente diniego di definizione agevolata di rapporti tributari, riferito ad una istanza di condono dalla stessa presentata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 12 per tre cartelle di pagamento emesse dal concessionario per la riscossione per le imposte liquidate a fronte dei modelli 770/95 e 760/95 per il periodo d’imposta 1994 e 760/96 per l’anno d’imposta 1995. Il diniego derivava dal mancato pagamento delle seconda rata degli importi complessivamente dovuti a mente della citata normativa, per il che l’amministrazione considerava non perfezionato il condono ed imputava le somme pagate dal contribuente in conto alle riferite cartelle di pagamento.

La società contribuente insorgeva avverso l’atto di diniego sostenendo che l’amministrazione era decaduta dal potere emanare l’atto ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25; che rispetto ad esso era maturata la prescrizione quinquennale prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, commi 1 e 3; che, comunque, in esso non era indicato il periodo di riferimenti, base di calcolo e tasso d’interesse applicabile.

La CTP rigettava il ricorso e compensava le spese di lite.

La società proponeva appello, lamentando la mancata pronuncia sulla rilevata decadenza biennale, sulla omessa motivazione dell’atto stesso e sulla base imponibile che la CTR, con sentenza 165/10/2014, rigettava perchè infondato, condannando la appellante al pagamento delle spese del grado di giudizio.

Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione la contribuente, affidandosi ad un motivo di ricorso, cui resiste l’Amministrazione finanziaria con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto: D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, comma 1, lett. c), art. 1362 c.c.. In sostanza si afferma che la notifica del provvedimento di diniego di condono non rispetterebbe il termine decadenziale biennale, decorrente dal momento in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

Il motivo è infondato.

Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la definizione agevolata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 12 è un provvedimento clemenziale che si perfeziona solo se si provvede all’integrale pagamento del dovuto nei termini e nei modi previsti dalla medesima disposizione. Per cui l’effetto estintivo dell’obbligazione di pagamento ai sensi della normativa agevolativa è unicamente ricollegato a tale puntuale adempimento. (Cass. 09.06.2017 n. 14373; 10.11.2014 n. 23792). Il pagamento parziale, infatti, non fa venir meno l’illiceità della condotta, neppure limitatamente alle somme parzialmente corrisposte, ma, al contrario, porta ad emersione il definitivo ed originario inadempimento dell’obbligazione tributaria, legittimando la pretesa dell’Amministrazione finanziaria commisurata all’intero importo dell’imposta non versata nei termini di legge, delle sanzioni e degli interessi (Cass. n. 31133/2017 ord. e n. 26683/2016, 14749/2012), per le quali essa è legittimata ad emettere cartella di pagamento. Ed è appunto a quest’ultima che si riferisce la disposizione il D.P.R. n. 603 del 1973, art. 25, comma 1, lett. c), che la ricorrente ritiene essere stata violata.

Sennonchè, e qui la censura non colpisce nel segno, il provvedimento impugnato è un diniego di definizione agevolata di rapporti tributari L. n. 289 del 2002, ex art. 12, che è atto ben diverso dalla cartella di pagamento che sulla base di esso viene, poi, emessa, al netto dei pagamenti parziali effettuati.

Il diniego di condono, infatti, lungi dal contenere una pretesa erariale, è, invece, un provvedimento negativo in ordine ad una istanza del privato, che nella fattispecie intendeva accedere ad un beneficio. Ad esso, quindi, non può applicarsi la disposizione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, lett c), evocata dalla ricorrente.

D’altra parte alla inconfigurabilità di una ipotesi di decadenza del potere di emanare l’atto di diniego, concorre il rilievo che la disciplina fiscale in esame non prevede alcuna ipotesi di decadenza per la procedura clemenziale. E la natura eccezionale dell’istituto, che ne richiede una previsione espressa, esclude anche che si possa far riferimento ed applicazione di altre norme dell’ordinamento tributario generale che la prevedano per casi simili.

Vien da sè che, in difetto di previsioni dirette a disciplinare sotto il profilo diacronico l’esercizio del potere qui considerato, deve farsi esclusivo riferimento alla regola generale della prescrizione ordinaria decennale, che dagli atti risulta essere stata debitamente interrotta dall’Amministrazione finanziaria.

2. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 2.000,00 oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 30 ottobre 2019

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