Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27806 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27806 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: LORITO MATILDE

ORDINANZA
sul ricorso 9362-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIALE MAZZINI 134 presso lo studio
dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
3332

MOCCIA MICHELE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO,
che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1431/2012 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 22/11/2017

di ROMA, depositata il 29/03/2012 R.G.N. 495/08;

il.

r.g. 9362/2013

con sentenza resa pubblica il 29/3/2012 la Corte d’Appello di Roma
confermava la pronuncia di prime cure con cui era stata dichiarata la
nullità del termine apposto al contratto intercorso fra la s.p.a. Poste
Italiane e Michele Moccia, stipulato per ragioni di carattere sostitutivo
correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione di
personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al servizio recapito,
smistamento e trasporto presso il Polo Corrispondenza Lazio, assente con
diritto alla conservazione del posto nel periodo 17/1/2003 al 31/3/03,
prorogato al 30/4/2003;
osservava come, pur risultando la causale del contratto assistita dal
requisito della specificità, essendo stato indicato l’ufficio ove si erano
create le esigenze sostitutive e le mansioni per le quali il lavoratore era
stato assunto, la società non avesse fornito alcuna prova idonea ad
attestare che nella sede di destinazione si fossero create scoperture per
assenza di personale con diritto alla conservazione del posto e che
l’assunzione fosse diretta a sopperire a detta scopertura; non era stata
prodotta alcuna documentazione al riguardo, laddove le prove testimoniali
erano da ritenersi inammissibili; rilevava, peraltro, la carenza di prova in
ordine al requisito previsto dall’art.3 d. 1gs. n.368/2001 per l’apposizione
del termine al contratto di lavoro, concernente la valutazione da parte
dell’impresa, dei rischi di cui art.4 d. Ivo. n.626/1994, non avendo la
società prodotto alcuna documentazione al riguardo; confermava, quindi,
la continuità del rapporto ed in parziale riforma della sentenza impugnata,
condannava la società al pagamento di un’indennità risarcitoria ex art.32
1.183/2010 commisurata a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto dal 16/1/2005 al saldo;
avverso la suddetta sentenza, la s.p.a. Poste Italiane propone ricorso per
cassazione fondato su due motivi, resistiti con controricorso dalla parte
intimata che ha depositato memoria illustrativa;
CONSIDERATO CHE
1.con il primo motivo (omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un
fatto controverso e decisivo per il giudizio nonchè violazione e falsa
applicazione degli artt.253, 420 e 421 c.p.c.), la ricorrente si duole che la
Corte di merito abbia accertato la nullità del termine per effetto della
genericità delle prove articolate, lamentando che, comunque, non abbia
integrato un quadro probatorio definito insufficiente, mediante l’uso
dell’ampio potere istruttorio esercitabile d’ufficio ex artt.420 e 421 c.p.c.;
1

RILEVATO CHE

2. il motivo è privo di pregio ove si faccia richiamo ai principi affermati da
questa Corte, che vanno qui ribaditi, secondo i quali la motivazione
omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento
del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga
la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa
decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso
della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla
base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando,
invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte
ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi
delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile
istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo
tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente
estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, vedi,
Cass. 8/4/2014 n.8008, Cass. SS.UU.25/10/2013 n.24148);
le censure formulate tendono a risolversi in critiche che mirano ad una
rivisitazione delle considerazioni di merito operate dalla Corte territoriale
senza che vengano evidenziati elementi fattuali e giuridici idonei ad
inficiarne la comprovata coerenza e congruità motivazionale;
3. la Corte di merito riteneva infatti inadeguata la prova testimoniale
articolata dalla società in quanto i dati numerici in essa indicati, avrebbero
dovuto essere attestati specificamente da analitica documentazione;
tale apprezzamento, del tutto congruo sotto il profilo logico, resiste alla
censura all’esame che si palesa priva di fondamento anche con riferimento
al mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio giacchè, per idoneamente
censurare in sede di ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità
della motivazione sul punto della mancata attivazione di tali poteri,
occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio (ipotesi questa non
verificatasi nella fattispecie), in quanto diversamente si introdurrebbe per
la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente
nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (vedi
Cass. 27/1/2009 n.1894, Cass.26/6/2006 n.14731);
4. le considerazioni che precedono, consentono di ritenere assorbito il
secondo motivo con il quale si critica la sentenza impugnata per aver
ritenuto non assolto l’onere probatorio attinente alla sussistenza della
certificazione riguardante la valutazione dei rischi;
va infatti richiamato il principio affermato da questa Corte, e che va qui
ribadito, secondo cui quando una decisione di merito, impugnata in sede
di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna
delle quali è sufficiente, da sola, a sorreggerla, il rigetto del motivo di
7

r.g. 9362/2013

n. r.g. 9362/2013

5. in definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è
rigettato; in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata al
pagamento delle spese in favore del Moccia nella misura in dispositivo
liquidata;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r.
n,.115/2002, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro
4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed
accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115/2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13
Così deciso in Roma nella Adunanza camerale del 19 luglio 2017.
Il Pre4depte
4-2

Il Funzionario
Dott.ssa

ricorso attinente ad una di esse rende superfluo l’esame degli ulteriori
motivi, non potendo la loro eventuale fondatezza portare alla cassazione
della sentenza, che rimarrebbe ferma sulla base dell’argomento
riconosciuto esatto (vedi ex plurimis, Cass. 18/04/2017 n. 9752, in
motivazione Cass. 25/9/2014 n.20226, nonché Cass. S.U. 29/3/2013
n.7931);

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