Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27805 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13238/2015 R.G., proposto da:

“Lariofiere”, con sede in Erba (CO), in persona del presidente del

consiglio di amministrazione pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Mario Lavatelli e dall’Avv. Vincenzo Latorraca, con studio

in Como, nonchè dall’Avv. Cristina Della Valle, con studio in Roma,

ove elettivamente domiciliata, giusta procura in calce al ricorso

introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Milano il 18 novembre 2014 n. 5993/33/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18 settembre 2020 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La “Lariofiere” ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano il 18 novembre 2014 n. 5993/33/2014, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di classamento e attribuzione di rendita catastale a seguito di procedura “DOCFA”, ha respinto l’appello proposto dalla medesima nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Como il 14 maggio 2013 n. 51/12/2013, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale di Milano ha confermato la correttezza del predetto classamento, sul presupposto che l’amministrazione finanziaria aveva tenuto conto delle caratteristiche costruttive degli immobili riclassificati sulla base di una precedente transazione tra le parti ai fini I.C.I. e che la contribuente non aveva dedotto di aver apportato alcuna variazione al complesso immobiliare. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si deduce violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (Statuto del contribuente) e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sul presupposto che l’amministrazione finanziaria aveva posto in essere un atto impositivo chiaramente apodittico e stereotipato senza dire nulla in relazione alla variazione di classamento, in violazione dell’obbligo di motivazione degli atti impositivi.

2. Con il secondo motivo, si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sul presupposto che il giudice di appello aveva omesso di pronunciarsi rispetto alla denunciata violazione del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 8, comma 1, e art. 10, comma 1, convertito nella L. 11 agosto 1939, n. 1249, nonchè del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 30, senza alcun riferimento ad una valutazione delle condizioni intrinseche ed estrinseche degli immobili.

3. Con il terzo motivo, si deduce violazione o falsa applicazione del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sul presupposto che il giudice di appello aveva erroneamente affermato che il sopralluogo era già avvenuto in occasione del classamento effettuato nell’anno 2004 e, comunque, non era necessario in assenza di variazioni al complesso immobiliare.

4. Con il quarto ed ultimo motivo, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul presupposto che il giudice di appello non aveva tenuto conto che le proposte modifiche di classamento erano conseguenti al frazionamento catastale del complesso immobiliare in tre distinti subalterni con diversa consistenza e varia destinazione.

Ritenuto che:

1. Il primo motivo ed il secondo motivo – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto – sono infondati

1.1 In relazione alla motivazione degli atti di classamento, costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio secondo cui “in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993 e dal D.M. n. 701 del 1994 (cd. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento può ritenersi soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (Cass., Sez. 5, 31 ottobre 2014, n. 23237; Cass., Sez. 5, 16 giugno 2016, n. 12497; Cass., Sez. 6, 7 dicembre 2018, n. 31809; Cass., Sez. 6, 7 ottobre 2019, n. 25006).

La fattispecie è chiaramente riconducibile alla prima ipotesi. Difatti, i dati forniti dalla contribuente non sono stati contestati dall’amministrazione finanziaria con riferimento all’estensione, all’utilizzo ed alla consistenza dell’immobile, ma soltanto la rendita catastale dell’immobile è stata rettificata dall’atto impugnato in relazione alla diversa valutazione economica del bene, senza modificare per il resto la dichiarazione “DOCFA” della contribuente.

Peraltro, la proposta di riclassamento su iniziativa della contribuente – all’esito del frazionamento catastale dell’originario (unico) mappale in tre subalterni (il primo, destinato a polo fieristico con conservazione della categoria D/8; il secondo, destinato a ristorante con attribuzione della categoria C/1; il terzo, destinato a bar con attribuzione della categoria C/1) – era stata formulata sulla base dell’immutata situazione di fatto del complesso immobiliare, il quale aveva integralmente conservato l’originaria consistenza e la precedente vocazione, non essendo stata apportata alcuna variazione o alterazione nella conformazione, nella distribuzione, nella finitura, nell’uso e nella dotazione dei locali (anche in difetto dei provvedimenti amministrativi all’uopo necessari).

1.2 Aggiungasi, inoltre, che la destinazione a bar e ristorante di alcuni immobili – oltre a non rappresentare un’innovazione della situazione preesistente – non è idonea a conferire loro autonomia funzionale e reddituale, ma, stante l’immanente e persistente vincolo di pertinenzialità, assume carattere meramente accessorio e strumentale alla destinazione a polo fieristico del complesso immobiliare, la quale rimane la vocazione principale, prevalente e rilevante ai fini della classificazione catastale.

Per cui, una variazione della classificazione catastale – nel senso proposto dalle ricorrenti – rispetto alle pattuizioni convenute tra le parti mediante la transazione stipulata l’11 dicembre 2009 (ancorchè ai soli fini dell’I.C.I.) non trovava alcuna giustificazione per la totale assenza di circostanze sopravvenute, di cui non è stata mai dedotta l’incidenza postuma.

Non a caso, sia pure in relazione ad un’ipotesi di verbale di conciliazione giudiziale ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 48, ma con principio valevole per ogni fattispecie di transazione endoprocessuale, questa Corte ha deciso che non è preclusa la possibilità di modificare l’accordo tra contribuente ed amministrazione finanziaria in ordine alla rendita catastale, sempre qualora sopravvenga un mutamento delle condizioni o dei parametri posti alla base di quell’accordo che giustifichi il riesame della situazione (in termini: Cass., Sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7057).

1.3 Da ultimo, è il caso di aggiungere che il giudice di appello ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati, evidenziando, per un verso, “(…) che gli immobili in contestazione erano stati già accatastati, che dalla denuncia di variazione DOCFA presentata dalla contribuente non risultava apportata alcuna modificazione di consistenza, finitura, di dotazione impiantistica all’immobile già presente in banca dati e che nessuna concessione, licenza, permesso, autorizzazione di carattere edilizio era stata richiesta/rilasciata dal Comune di Erba, competente territorialmente, e, di conseguenza, la riduzione della rendita richiesta appariva priva di motivazione e fondamento” e, per altro verso, che, “come ha già avuto modo di affermare il giudice di prime cure, il sopralluogo era già avvenuto in occasione del classamento effettuato nel 2004 e il fatto che la dichiarazione DOCFA presentata dal contribuente non risultassero modifiche della consistenza del complesso immobiliare giustificano completamente il comportamento dell’Agenzia”.

Su tali basi, quindi, non si può dire che la sentenza impugnata sia affetta dal vizio di omessa pronuncia sui motivi di gravame (con specifico riguardo alla lamentata violazione del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 8, comma 1, e art. 10, comma 1, convertito nella L. 11 agosto 1939, n. 1249, nonchè del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 30, in ordine al criterio della “stima diretta” per la determinazione della rendita catastale di immobili a destinazione speciale o particolare), che, viceversa, sono stati implicitamente esaminati e tacitamente rigettati dal giudice di appello, soddisfacendo a pieno la decisione resa l’onere previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4.

2. Anche il terzo motivo si rivela infondato.

2.1 Invero, è orientamento pacifico di questa Corte che, in tema di estimo catastale, la revisione delle rendite catastali urbane in assenza di variazioni edilizie non richiede la “previa visita sopralluogo” dell’ufficio, nè il sopralluogo è necessario quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente (come, appunto, nel caso di specie), atteso che le esigenze sottese al sopralluogo ed al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d’ufficio giustificato da specifiche variazioni dell’immobile” (ex plurimis: Cass., Sez. 5″, 3 novembre 2010, n. 22313; Cass., Sez. 6″, 14 novembre 2012, n. 19949; Cass., Sez. 6″, 13 febbraio 2015, n. 2998; Cass., Sez. 6″, 10 gennaio 2017, n. 374).

Parimenti, in tema di classamento, l’attribuzione di rendita catastale ai fabbricati a destinazione speciale o particolare, e specificamente quelli classificati nel gruppo catastale “D”, non presuppone l’esecuzione del previo sopralluogo, il quale non costituisce nè un diritto del contribuente nè una condizione di legittimità del correlato avviso attributivo di rendita, trattandosi solo di uno strumento conoscitivo del quale l’amministrazione finanziaria può avvalersi, ferma restando la necessità della stima diretta ai fini della determinazione del reddito medio ordinario, come previsto dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 37, ricavabile dalle caratteristiche del bene anche sulla base delle risultanze documentali a disposizione dell’ufficio accertatore (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 7 marzo 2019, n. 6633; Cass., Sez. 5, 27 marzo 2019, n. 8529).

3. Il quarto ed ultimo motivo si deve considerare inammissibile.

3.1 Come è noto, l’art. 348-ter c.p.c. comma 5, (quale introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 11 agosto 2012, n. 143, con riguardo ai procedimenti di appello introdotti dopo l’11 settembre 2012) ha sancito l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado, allorquando esso sia fondato “sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”.

Peraltro, questa Corte ha avuto modo di chiarire che le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, si applicano anche al ricorso avverso la sentenza delle commissioni tributarie regionali, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità; con la conseguenza che il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3-bis, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito (in termini: Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).

3.2 Nella specie, anche alla luce del sintetico riepilogo degli antefatti processuali che sono riportati nella sentenza impugnata, non vi è dubbio che i giudici tributari del doppio grado di merito abbiano deciso sulla prospettazione delle medesime questioni di fatto (difettosa o insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento; omissione del sopralluogo) con l’enunciazione di speculari argomentazioni di diritto (vincolatività della determinazione convenzionale della rendita; insussistenza delle condizioni per il sopralluogo; carenza di variazioni nello stato e nella consistenza degli immobili).

3.3 Senza contare, comunque, che, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, convertito nella Legge 7 agosto 2012 n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione notificata dall’11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134 ed applicabile alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (in tal senso: Cass., Sez. 2, 10 marzo 2014, n. 5528; Cass., Sez. 1, 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., 6 agosto 2019, n. 20994).

Ma non si può dire che le ricorrenti abbiano assolto tale onere, a fronte dell’eccezione di inammissibilità che è stata opposta dalla controricorrente.

4. In conclusione, valutandosi l’infondatezza del primo motivo, del secondo motivo e del terzo motivo, nonchè l’inammissibilità del quarto motivo, alla stregua delle argomentazioni suesposte, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle, ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna le contribuenti alla rifusione delle spese giudiziali in favore dell’amministrazione finanziaria, liquidandole nella somma complessiva di Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico delle contribuenti, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

 

 

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