Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27804 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 30/10/2019), n.27804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 23352/15, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempre, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

– ricorrente –

contro

G.A., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al

ricorso, dall’avv. Lucio Mario Epifanio con il quale è

elettivamente domiciliato in Roma, in via Carlo Passaglia, n. 14,

presso lo studio dell’avvocato Maurizio Costanzo.

– controricorrente –

Avverso la decisione n. 252/01/2014 della Commissione Tributaria

regionale di Molise, depositata il 19/11/2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa D’Angiolella

Rosita, nella camera di consiglio dell’11 aprile 2019.

Fatto

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Molise (di seguito, per brevità, CTR) n. 252/01/2014 del 19/11/2014 che, a conferma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Isernia (di seguito, per brevità, CTP), rigettò l’appello dell’Ufficio, confermando l’illegittimità del silenzio-rifiuto dell’amministrazione al rimborso IRPEF, chiesto nel 2007 dal contribuente sulla tassazione dell’indennità di buonuscita riconosciuto dalla pronuncia di primo grado.

ricorrente, dipendente del Ministero delle Finanze, cessato dal servizio, aveva maturato il diritto alla predetta indennità ai sensi del D.P.R. n. 211 del 1981 e su di essa l’Amministrazione aveva effettuato una ritenuta, a suo dire non corretta in quanto, generando una maggiore imposta di Euro 8.101,52, non aveva considerato che l’indennità erogata era costituita esclusivamente da contributi versati dai dipendenti e, quindi, assimilabile ad indennità cd. equipollenti.

La CTR, rigettò l’appello dell’Agenzia sul rilievo che “il contribuente ha dimostrato che il fondo era costituito mediante i versamenti effettuati dai dipendenti e pertanto le somme versate ed accantonate non possono essere soggette a tassazione.”.

Il ricorso è affidato ad un unico motivo, cui G.A. resiste con controricorso.

La difesa di G.A. ha, altresì, presentato “ricorso ex art. 376 c.p.c., comma 2”, al fine di assegnare il ricorso alle Sezioni Unite.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo ed unico motivo di ricorso, la difesa erariale ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 17 e 19 nonchè del D.P.R. n. 1034 de 1984, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR escluso l’assoggettabilità all’Irpef, in base all’art. 17 TUIR, come integrato dalla L. 13 maggio 1988, n. 154, art. 4, comma 3-quater. La ricorrente sostiene che, per la peculiare natura della composizione del Fondo per il personale del Ministero delle Finanze istituito con D.P.R. 17 marzo 1981 n. 211, la CTR sarebbe dovuta pervenire a conclusioni contrarie, in quanto per il combinato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49, comma 2 e art. 51, comma 1, “costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori che il dipendente pensionato percepisce nel periodo di imposta qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro e quindi tutte le relazioni che siano in qualche modo adesso riconducibili, ancorchè la materiale corresponsione avvenga successivamente alla cessazione del rapporto medesimo”.

Il motivo è fondato.

La questione che si pone muove dalla qualificazione dell’indennità spettante al dipendente del Ministero dell’economia e finanze al momento del pensionamento ed in particolare dell’indennità erogata dal Fondo di previdenza per il personale di detto Ministero all’atto della cessazione dal servizio, nonchè della composizione del fondo medesimo. Nella specie, benchè possa dirsi incontestata la natura “equipollente” dell’indennità di trattamento di fine rapporto, ciò in cui v’è contestazione è la composizione del fondo medesimo dalla quale, poi, farne discendere la tassazione: mentre per l’Agenzia delle entrate tale fondo sarebbe formato da entrate tipiche della contribuzione pubblica – cui, quindi, andrebbe applicata la tassazione (separata) prevista dal T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17 – per il contribuente, invece, poichè trattasi di contributi a carico del dipendente e da questi interamente versati al fondo previdenziale, si tratterebbe di contributi esclusi, tout court, dalla tassazione.

Va premesso che la sollecitazione del contribuente per la rimessione alle Sezioni Unite della relativa questione è ultronea non solo perchè sulla materia, per i motivi più avanti esplicitati, non v’è contrasto, ma perchè come è chiaro dal tenore letterale dell’art. 376 c.p.c., u.c., spetta alla sezione semplice d’ufficio, ovvero su richiesta del pubblico ministero, rimettere gli atti alle sezioni unite.

La questione che si pone va esaminata in base agli approdi giurisprudenziali succedutesi nel tempo. Ed invero, mentre in passato la giurisprudenza ha affermato che l’indennità supplementare corrisposta, all’atto della cessazione del servizio, in epoca successiva al 30 settembre 1985, dal Fondo di Previdenza del Ministero dell’Economia e Finanze, essendo assimilabile atte indennità equipollenti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, nel testo applicabile ratione temporis ed essendo formata esclusivamente dalle contribuzioni di dipendenti, non è assoggettabile ad imposta (cfr. Cass. 9430 del 2003), già da tempo è, invece, assestata sulla diversa interpretazione, che qui si fa propria, che fa leva sul determinante rilievo che il fondo in oggetto ha natura composita, non essendo formato esclusivamente da contribuzioni dei dipendenti, ma da entrate che, ai sensi del D.P.R. n. 1034 del 1984, art. 2, riguardano proventi di natura diversa (sanzioni pecuniarie, percentuali di vincita del gioco del lotto nonchè ad altre indennità perequative pensionabili).

Da tale rilievo si è giunti ad affermare – in ipotesi speculare al caso all’esame, riguardante l’indennità supplementare corrisposta all’atto della cessazione servizio dal fondo di previdenza per i dipendenti del Ministero dell’economia e finanze – che tale indennità ha funzione previdenziale ed è assimilabile all’indennità equipollente di cui al citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, rappresentando una forma di retribuzione differita con applicazione di tassazione separata e non integrale, essendo la composizione del fondo costituito in massima parte da premi di produttività o da incentivi da parte dell’istituto (cfr. Cass. n. 19859 del 2016 e n. 25396 del 2017, richiamate da Cass. n. 5330 del 2019).

Non v’è motivo di discostarsi da tale orientamento che, valorizzando il principio di onnicomprensività della retribuzione, ha ritenuto che le entrate che concorrono alla formazione del suddetto fondo previdenziale, a sensi del D.P.R. n. 1034 del 1984, art. 2, fanno riferimento a proventi derivanti dalle sanzioni pecuniarie e da percentuali di vincita del gioco del lotto nonchè ad altre indennità perequative pensionabili, utili anche fini dell’indennità di buonuscita, collegabili a scelte premiali o a servizi straordinari effettuati del personale.

D’altro canto, tale natura non è contestata dal contribuente, sebbene ne tragga conclusioni opposte all’interpretazione che qui si condivide, secondo cui la composizione del fondo è costituita in massima parte da premi di produttività e incentivi all’attività d’istituto, di talchè il fondo costituisce “una forma di retribuzione differita composta dai contributi degli iscritti che la fa rientrare nel perimetro normativo degli artt. 17 e 19 TUIR (già 16 e 17) come indennità equipollente e quindi deve essere assoggettata a tassazione separata e non integrale” (cfr. Cass. n. 5330 del 2019).”.

In conclusione, il ricorso va accolto non avendo la CTR fatto buon governo dei principi giurisprudenziali richiamati e fatti propri; la sentenza qui impugnata va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettandosi il ricorso originario del contribuente.

La peculiarità della fattispecie, giustifica la compensazione tra le parti dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 30 ottobre 2019

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