Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27798 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27798 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

ORDINANZA

sul ricorso 14736-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. 8018440587, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,
12;
– ricorrente contro
2017
3027

RUGGERI SILVANA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCO AMERICO, rappresentata e difesa dagli
avvocati LUCA MARCHI, ISETTA BARSANTI MAUCERI, giusta
delega in atti;

Data pubblicazione: 22/11/2017

- controricorrente –

davverso l’ordinanza n. 189/2012 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 08/03/2012 r.g.n. 504/2010;
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

19a,’ “(1./

R.G. 14736/2012

RILEVATO
Che la Corte d’Appello di Firenze in data 17/03/2010, confermando la
sentenza del Tribunale stessa sede dell’8/03/2012, ha condannato il Ministero

della dirigenza Silvana Ruggeri, segretario comunale, transitata nel 1998 nei
ruoli del Ministero ricorrente in seguito a esercizio dell’opzione di cui all’art. 18,
co.11, d.P.R. n.465/1997.
Che avverso tale decisione ha interposto ricorso in Cassazione in Ministero
della Giustizia, affidando le sue ragioni a un unico motivo, cui si è opposta
Silvana Ruggeri con tempestivo controricorso,A;_ULM -/Leuto gue_

CONSIDERATO

Che nell’unico motivo di censura il Ministero della Giustizia lamenta la
violazione e/o falsa applicazione dell’art.18, d.P.R. n.465/1997 e dell’art. 1, co.
49 I. n.311/2004, deducendo che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente
ritenuto che l’art. 1, co. 49 della I. n. 311/2004 potesse applicarsi
retroattivamente nei confronti dei segretari comunali che, al momento della
sua entrata in vigore, prestavano già servizio presso altre pubbliche
amministrazioni, con la qualifica di funzionari, escludendo il loro diritto a
ottenere il diverso, e più favorevole inquadramento, di dirigenti presso i
medesimi enti, pur se con un’anzianità di servizio nel ruolo superiore a tre
anni.
Che la censura è fondata.
Che la questione è stata recentemente affrontata dalle Sezioni Unite di
questa Corte (sentenze n.n. 784, 785, 786/2016) perché ritenuta di
particolare importanza ai sensi dall’art. 374, co. 2, cod. proc. civ.
Che le Sezioni Unite, in seguito a una dettagliata ricostruzione del
quadro normativo e contrattuale in materia di procedure di mobilità dei
segretari comunali (disciplinate, inizialmente, dagli artt. 18 e 19 del d.P.R. n.

della Giustizia a reinquadrare ai sensi dell’art. 1, co. 49, I. n.311/2004 nell’area

499 997 e, successivamente, dall’art. 32, del c.c.n.l. per i segretari
munali e provinciali 1998-2001; dalla legge n.186/2004, di abrogazione
dell’art. 18 del d.P.R. n. 465/1997; dalla legge n.246/2005 d’interpretazione
autentica della I. n. 311/2004) hanno ritenuto che l’art. 1, co. 49, della legge
n. 311/2004 – che stabilisce la possibilità di reinquadramento e di accesso
alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – non sia applicabile ai

già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge.
Che tanto affermano le Sezioni Unite, alla luce di un’interpretazione
letterale, sistematica e teleologica dell’art. 1, co.49, della I. n.311/2004.
Che tale inapplicabilità è primariamente desumibile dal tenore letterale
della norma (l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità
disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle
assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria
rispetto al contratto collettivo di settore 1998-2001 e rivolta al futuro, in
quanto delimitata dalle regole che le parti sociali, in sede di rinnovo del
contratto collettivo, vorranno adottare; la previsione di un limite di spesa nel
comma 49) ma risulta altresì confermata da un’interpretazione sistematica e
teleologica della stessa all’interno del quadro normativo complessivo di
riferimento, il quale indica un graduale e costante processo di restrizione
nell’accesso alla dirigenza, incoraggiato sia dal legislatore che dalle parti
sociali.
Che i passaggi normativi, orientati al processo sopra richiamato sono
contenuti nel d.P.R. n. 465 del 1997, norma regolamentare la quale aveva
previsto che, al dipendente che transitasse ad altra pubblica
amministrazione dovesse essere attribuita la qualifica di provenienza; nel
c.c.n.l. 1998-2001 per i segretari comunali e provinciali, il quale aveva da un
lato rivisto il sistema di classificazione della categoria, e, dall’altro, limitato
l’accesso alla dirigenza solamente ai segretari in possesso delle qualifiche più
elevate; nella legge n. 186 del 2004, che, nell’uniformare la mobilità dei
segretari comunali e provinciali alla disciplina generale introdotta dal T.U. sul
pubblico impiego (art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001), era stata oggetto

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segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità

d”
1

rpretazione autentica poco dopo la sua emanazione da parte della
e n. 246 del 2005, con la quale era accolto il principio di maggiore rigore

per cui, l’accesso alla dirigenza non avrebbe potuto più ritenersi la regola,
neanche per i segretari comunali e provinciali appartenenti alle qualifiche più
elevate.
Che interpretare, pertanto, il co. 49 dell’art. 1 della legge n. 311 del

dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di
segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la
mobilità, prevista dal d.p.r. n. 465 del 1997) equivarrebbe a introdurre
nell’ordinamento un fattore di stridente discontinuità rispetto alla più recente
evoluzione normativa e contrattuale in materia di mobilità dei segretari
comunali e provinciali. Né, a ben vedere, gioverebbe invocare il principio di
conservazione degli atti negoziali affermato dall’art. 1367 c.c., il quale
rappresenta un criterio sussidiario che non si attaglia all’interpretazione delle
fonti esterne, sia eteronome sia autonome, pur se si ammettesse che
all’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004 fossero ancora in corso
procedure di mobilità.
Che il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale
espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno confermato le
conclusioni alle quali questa Sezione era già pervenuta con le sentenze n.
165/2014, 1047/2014, 1324/2014, orientamento ripreso dalle recenti
ordinanze n.n. 16521, 12035, 12034, 12033 e 7620 del 2016.
Che

le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni Unite appaiono

confermate dalle riforme in itinere, dalle quali allo stato non si ricavano
elementi idonei a incidere sull’interpretazione seguita, andando il legislatore
– così come si desume dall’ampio contenuto della delega – nella direzione di
una rimodulazione a largo raggio degli assetti del personale della P.A. (da
cui emerge con sufficiente chiarezza l’intento di assecondare la tendenza
all’unificazione, alla soppressione ovvero all’istituzione di ruoli, gradi e
qualifiche e alla rideterminazione dei fabbisogni di personale, superando lo

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2004 in maniera così estensiva, tale da imporre una generalizzazione

strumento della pianta organica), secondo criteri sia di semplificazione sia di
_v-alorizzazione del merito e della professionalità.
Che neppure è ipotizzabile un’ingiustificata disparità di trattamento, a
fronte di una disciplina diversificata in capo alla stessa categoria di soggetti
in momenti temporali diversi. Che l’eccezione d’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, co. 49, della legge n. 311 del 2004 con riferimento all’art. 3

indicate dalle Sezioni Unite (cfr. punti 60-64 sentenza n. 784, 59-62
sentenza n. 785, 60-64 sentenza n. 786), per il principio costantemente
affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui «lo stesso naturale fluire
del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche » (cfr.
fra le tante Corte Cost. nn. 61/2010, 170/2009, 94/2009, 341/2007).
Che ragioni analoghe portano a escludere ogni eventuale contrasto con il
principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacché,
anche a voler prescindere dalla questione dell’applicabilità della norma nelle
sole ipotesi in cui vengano in rilievo le altre norme sostanziali della
Convenzione preposte a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (fra le più recenti Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo
contro Italia, § 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, § 47; 22 marzo
2012, Konstantin Markin contro Russia), la giurisprudenza della Corte è
costante nell’affermare che una disparità di trattamento assume valenza
discriminatoria solo qualora «manchi di una giustificazione oggettiva e
ragionevole», «quando non persegua un fine legittimo» ovvero non sussista
«un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine
perseguito» (Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, § 59;
25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania; 27 marzo 1998, Petrovic
contro Austria, § 30; 1° febbraio 2000, Mazurek contro Francia, § 46 e 48).
Che dette condizioni difettano laddove – come nel caso in esame l’inquadramento è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca
vigente in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per
cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla Carta potrebbe mai
ravvisarsi, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla

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Cost., è stata ritenuta manifestamente infondata, oltre che per le ragioni già

categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un
,omento in cui la procedura di mobilità si era conclusa.

»

Che ciò porta, pertanto, a escludere qualsiasi profilo discriminatorio della
disciplina in oggetto.
Che il ricorso è fondato e va accolto. La sentenza impugnata va cassata,
con l’adozione di pronuncia ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. di rigetto

Che le ragioni che hanno portato all’intervento delle Sezioni Unite,

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giustificano la compensazione delle_ spese dell’intero
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<, dA., O & q92ej 5 a e. 4,u M a-C C,Le Out u/s-C ,r-te., e a ti/~ P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., rigetta l'originaria domanda; le spese si compensano tra le parti per intero. Così deciso nell'Udienza Camerale del 28/06/2017 Il Presidente (Dott. Giuseppe Napoletano) dell'originaria domanda.

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