Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27797 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/10/2019, (ud. 27/05/2019, dep. 30/10/2019), n.27797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2909-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CALVI

DELL’UMBRIA 9, presso lo studio dell’avvocato FULVIO BALDACCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato NUNZIA BASILE giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 230/2012 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

FIRENZE, depositata il 15/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BASILE che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria centrale, sez. di Firenze, n. 230/12, pronunciata il 26.9.2012 e depositata il 15.2.2013, che ha accolto il ricorso del contribuente P.M., riconoscendone il diritto al rimborso delle somme versate a titolo di Ilor negli anni dal 1979 al 1986 in relazione alla sua attività di agente di commercio senza deposito; rimborso fondato sulla sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 1980 e sulle puntualizzazioni contenute nella successiva decisione della stessa Consulta n. 87 del 1986, in relazione alla dichiarazione di illegittimità dell’assoggettamento ad Ilor dei redditi di lavoro autonomo non assimilabili a quelli di impresa.

La CTC ha ritenuto, in particolare, che l’istanza di rimborso “di una somma versata, ma non dovuta” fosse tempestiva, non dovendosi fare riferimento al termine di decadenza di 18 mesi di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nella formulazione ratione temporis vigente, bensì al medesimo decreto, art. 37, ed al termine di prescrizione decennale. Nel merito, la Commissione centrale ha affermato che le concrete caratteristiche dell’attività svolta dal contribuente non consentivano di qualificare il reddito prodotto come reddito di impresa, con conseguente accoglimento della richiesta di rimborso di quanto indebitamente versato.

Il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’A.d.e. deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 37 e 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dovendo ritenersi pacifico, in punto di fatto, che il contribuente aveva chiesto il rimborso di versamenti diretti a titolo di Ilor e non di ritenute effettuate da un sostituto di imposta e, ancor meno, di ritenute dirette, queste ultime riconducibili al cit. art. 37. Pertanto, secondo l’Ufficio, alla fattispecie in esame si rende pienamente applicabile il richiamato D.P.R., art. 38, il quale fa riferimento all’ipotesi di inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, con la conseguenza che il termine decadenziale di 18 mesi ratione temporis applicabile, decorrente dal versamento diretto delle somme, doveva ritenersi già decorso al momento della presentazione dell’istanza di rimborso, avvenuta soltanto in data 19.7.1989.

2. Il motivo è fondato.

Va, invero, premesso che “in tema di rimborso delle imposte, il termine di decadenza previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, ha portata generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi ad errori tanto connessi ai versamenti, quanto riferibili all’an” o al “quantum” del tributo, mentre il termine ordinarlo di cui al cit. D.P.R., art. 37, è applicabile alle sole ipotesi di ritenuta diretta, operata dalle Amministrazioni dello Stato nei confronti dei propri dipendenti. (In applicazione del riportato principio, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che non aveva rilevato la decadenza della pretesa restitutoria relativa ad acconti IRAP, reputando erroneamente che il relativo termine decorresse solo dal versamento del saldo)”. (Sez. 5, n. 24058 del 16/11/2011, Rv. 620182 – 01).

In tale prospettiva, è da precisarsi ulteriormente che la giurisprudenza di questa Corte è pacifica nel sostenere (cfr., ad esempio, Sez. 5, nn. 16110 e 16120 del 15/11/2002) che, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, nella locuzione “inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, assoggettata al predetto termine decadenziale di 18 mesi per la presentazione di istanza di rimborso, rientra anche il caso di pagamento eseguito erroneamente perchè non dovuto per carenza della supposta obbligazione tributaria, integrandosi così un indebito oggettivo.

Con specifico riferimento all’ipotesi di rimborso di versamenti indebiti a titolo di Ilor, questa Corte ha, in particolare, affermato che “trova applicazione il termine decadenziale di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, che si riferisce a tutte le ipotesi di indebito verificatesi nell’assolvimento del tributo, senza che il tenore testuale della norma possa autorizzare una diversa interpretazione, ed, in particolare, consentire la distinzione tra versamenti diretti, in relazione ai quali il contribuente faccia valere l’inesistenza dell’obbligo di versamento, e quelli per i quali lo stesso deduca l’inesistenza dell’obbligazione tributaria”. (Sez. 5, n. 15314 del 29/11/2000, Rv. 542276 – 01).

3. In tale dimensione ermeneutica, va osservato che anche l’ulteriore tesi sostenuta dal contribuente nel controricorso risulta infondata ed, in definitiva, inconferente.

3.1. Viene dedotto, in particolare, che il cit. art. 38, sarebbe applicabile nelle sole ipotesi di pagamento ab origine non dovuto e non allorchè, come nella specie, l’insussistenza dell’obbligazione tributaria e, quindi dell’obbligo di versamento, sopravvenga in un momento successivo al pagamento.

Tale momento sarebbe, nel caso in esame, da individuarsi in relazione al mutamento del quadro normativo-interpretativo derivante:

a) della sentenza della Corte Cost. n. 42 del 26.3.1980, con cui sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi la L. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 4, n. 1, e D.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, comma 2, in quanto la normativa Ilor non escludeva dal novero dei soggetti passivi dell’imposta i titolari di redditi di lavoro autonomo non assimilabili a quelli d’impresa;

b) dalla successiva sentenza n. 87 del 9.4.1986, con cui la Consulta, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale del art. 2195 c.c., della L. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 4, n. 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 28 e 51, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 1, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., ha chiarito che la qualificazione dei redditi dei rappresentanti e degli agenti di commercio con o senza deposito e figura assimilabili, ai fini dell’assoggettabilità all’imposta locale sui redditi, costituiva una questione interpretativa da devolversi al giudice di merito, per verificare la ricorrenza dei requisiti minimi per potersi realmente parlare d’impresa: “senza di che la capacità contributiva correlata all’ILOR verrebbe presunta, nelle singole ipotesi, indipendentemente da ogni fondamento effettuale”.

Afferma, dunque, il contribuente che soltanto a seguito di tali decisioni (ossia, successivamente all’anno 1986, senza migliori precisazioni) il P. aveva potuto far valere il proprio diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate alla P.A..

In tale ottica, a conclusione del percorso argomentativo, il contribuente ha dedotto espressamente che alla fattispecie dovrebbe applicarsi la disciplina residuale di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, applicabile in virtù della normativa intertemporale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 74, secondo cui l’istanza di rimborso va presentata nei termini “previsti dalle singole leggi d’imposta o, in mancanza di disposizioni specifiche, entro due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si sorto il diritto alla restituzione”.

3.2. La tesi, come osservato, è infondata sotto più profili.

In primo luogo, questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 20863 del 08/10/2010, Rv. 615008 – 01), ha affermato che in tema di rimborso delle imposte indebitamente corrisposte, per i tributi dichiarati costituzionalmente illegittimi, il termine per la ripetizione decorre dalla data del versamento, e non dalla sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale, in quanto il vizio di illegittimità costituzionale di una norma non ancora dichiarato costituisce una mera difficoltà di fatto all’esercizio del diritto assicurato dalla norma depurata dall’incostituzionalità e, quindi, non impedisce il decorso della prescrizione (art. 2935 c.c.), – e, parimenti dei termini stabiliti a pena di decadenza (cfr., sul punto, la sentenza delle Sez. U, n. 13676 del 16/06/2014, in motivazione) – dovendo escludersi la decorrenza del termine solo dalla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità.

La ratio di tale orientamento è ferma nel ritenere che colui che si affermi leso da una norma di legge che ritiene contrastante con la Costituzione ha il potere di percorrere la via dell’instaurazione di un giudizio e, nel corso di esso, richiedere che venga sollevata la relativa questione; se, invece, subisce passivamente detto impedimento, non può sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi.

Conseguentemente, questa Corte ha affermato (in una fattispecie riferita proprio alla sentenza della Consulta n. 42 del 1980), che, in caso di versamento diretto (autotassazione), la domanda di rimborso deve essere immancabilmente effettuata “nel termine di diciotto mesi dal pagamento, fissato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, tenendo conto che tale ultima norma trova applicazione per tutti i versamenti diretti, cioè non preceduti da atto impositivo, senza possibilità di distinguere quelli effettuati all’esattoria e quelli effettuati alle sezioni di tesoreria dello Stato (tramite gli istituti di credito all’uopo delegati)”. (Sez. 5, n. 14377 del 09/06/2017, Rv. 644428; Sez. 5, n. 13071 del 25/07/2012, Rv. 623864 – 01).

3.3. Va da sè, e non richiede superfetazioni argomentative, che a maggior ragione il termine de quo non potrebbe farsi decorrere dal rigetto da parte della Consulta della questione di costituzionalità sollevata, con decisione che si limiti ad affermare che trattasi di questione di carattere interpretativo attribuita alla cognizione del giudice di merito, essendo palese come non sia sostenibile, neppure in linea puramente astratta, che l’esercizio del diritto in esame potesse incontrare un ostacolo giuridico anteriormente a tale pronuncia.

3.4. Infine, per mera completezza argomentativa, va osservato che la tesi in esame risulta comunque inconferente, in quanto, anche a voler ritenere, in via di astratta ipotesi, percorribile l’ipotesi interpretativa suggerita dalla difesa, il termine de quo, ex art. 16 cit., di anni due non potrebbe che decorrere, al più, dal 9.4.1986, data di pubblicazione della sentenza n. 87 della Corte costituzionale, onde la domanda di rimborso, presentata il 19.7.1989, sarebbe comunque tardiva.

4. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere, in conclusione, accolto. La sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, cassata e, non essendo necessario procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, il ricorso può essere deciso nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando il ricorso introduttivo del contribuente, attesa la tardività, nei termini illustrati, della domanda di rimborso.

Le spese del giudizio di merito, in considerazione dell’alterno esito dello stesso, possono essere interamente compensate fra le parti, mentre il contribuente va condannato al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente P.M.. Compensa interamente fra le parti le spese dei gradi di giudizio di merito e condanna il contribuente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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