Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27797 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/12/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 20/12/2011), n.27797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18776/2010 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA SPA (OMISSIS) in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV n. 99 – int. 14, presso lo studio

dell’avvocato FERZI Carlo, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati POZZOLI CESARE, CHIELLO ANGELO, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE G. MAZZINI 144, presso lo studio dell’avvocato GIUDICE

Antonello, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZABEO

ALFREDO, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 609/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

25.11.08, depositata il 10/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito per il controricorrente l’Avvocato Mario Passaro (per delega

avv. Alfredo Zabeo) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che si riporta alla relazione scritta.

Fatto

IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Venezia, notificato il 18.1.2005, G.C., premesso di avere lavorato alle dipendenze della Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. e premesso di aver svolto lavoro straordinario in maniera regolare e sistematica negli anni 1995 – 1998, lamentava il mancato accantonamento da parte dell’Istituto datoriale della quota di T.F.R. maturato sullo straordinario effettuato.

Con sentenza in data 13.10 – 27.10.2005 il Tribunale adito rigettava la domanda rilevando che la regolamentazione contrattuale rendeva inapplicabile la regola generale di cui all’art. 2120 c.c..

Avverso tale sentenza proponeva appello il G. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Venezia, con sentenza in data 25.11 – 10/07/2009 accoglieva il gravame e dichiarava il diritto dell’appellante all’accantonamento della quota predetta, condannando la Cassa di Risparmio ai consequenziali adempimenti.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2120, 1362, 1363, 1367 c.c. e dell’art. 45 del CCNL ACRI del 1994, per avere la Corte di merito non correttamente interpretato l’art. 45 del predetto contratto collettivo di settore.

Col secondo motivo di ricorso lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione su punti decisivi della controversia, per non avere la Corte di merito motivato sul collegamento esistente fra i vari commi dell’articolo predetto, collegamento che evidenziava l’erroneità della lettura della norma collettiva fornita dai giudici di appello.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore Generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso è improcedibile a causa del mancato deposito del contratto collettivo in forma integrale, avendo parte ricorrente riportato solo stralci, seppure ampi, della normativa contrattuale cui ha fatto riferimento ed avendo indicato, nel ricorso, quali allegati, l’art. 45 del CCNL ACRI 1994 e l’art. 65 del CCNL ABI 1999.

Invero, dopo alcune perplessità (Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21080, per cui l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi sui quali il ricorso si fondava era riferito sia alle norme collettive della cui violazione il ricorrente si doleva attraverso le censure mosse alla sentenza impugnata, sia ad ogni altra norma collettiva utile per l’interpretazione delle prime, sempre però che essa appartenesse alla causa per essere stata dedotta e prodotta nei precedenti gradi di merito), la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte (Cass. sez. lav., 11.2.2008 n. 6432, Cass. sez. lav., 5.2.2009 n. 2855, Cass. sez. lav., 2.7.2009 n. 15495) si è orientata nel senso che è necessario il deposito del testo integrale del contratto.

Ciò in primo luogo in forza del dettato letterale dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4 (come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7), il quale prevede che gli atti processuali, i documenti e i contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda devono essere depositati insieme al ricorso a pena di improcedibilità, norma che non sembra prevedere deroghe, consentendo il deposito solo di stralci del contratto collettivo da interpretare.

Al riguardo conviene innanzi tutto richiamare i rilievi già svolti da questa Corte sul punto nei giudizi ex art. 420 bis cod. proc. civ., per decidere se essi possano valere anche quando non sì tratta di quella speciale procedura, ma del normale ricorso per cassazione, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in cui si assume che la sentenza impugnata abbia violato o falsamente applicato i contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.

E’ stato precisato (Cass. sez. lav., 21.9.2007 n. 19560) che, in sede di applicazione dell’art. 420 bis c.p.c., la Corte di legittimità – nell’enunciare, in funzione nomofilattica, un principio – è tenuta ad operare come se l’oggetto del suo esame fosse una norma giuridica e non, invece, un negozio di natura privatistica.

Si è aggiunto, nella sentenza citata, per quanto attiene specificamente ai poteri della Corte di Cassazione, che nell’interpretazione del contratto, essa non è condizionata dalle domande delle parti e dal loro comportamento, potendo ricercare liberamente all’interno del contratto collettivo (da depositarsi ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) ciascuna clausola – anche se non oggetto dell’esame delle parti e del primo giudice – comunque ritenuta utile alla interpretazione.

Di conseguenza non si dubita che in quei procedimenti sia necessario depositare il contratto collettivo nella sua interezza (Cass. sez. lav., 16.7.2009 n. 16619).

Ritiene il Collegio che alla stessa conclusione si debba pervenire in relazione all’ambito delrinterpretazione che compete alla Corte nel caso in cui venga proposto ordinario ricorso per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3.

Ed invero il procedimento ex art. 420 bis c.p.c. trova necessario fondamento nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 3, e nulla autorizza a ritenere che, nell’un caso, l’analisi della contrattazione collettiva debba essere più limitata rispetto a quanto previsto per l’altro. Se pur è infatti innegabile che la interpretazione resa ex art. 420 bis, oltre avere effetto anticipatorio, abbia una maggiore forza cogente, stante il disposto dell’art. 146 bis disp. att. c.p.c. in cui, richiamando il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, comma 7, si sancisce l’influenza della decisione della Corte in altri processi in cui si controverta sulla medesima questione, tuttavia nessuna disposizione diversifica il processo interpretativo da applicare in caso di ricorso normale ed in caso del ricorso per saltum. Infatti la nomofilachia, cui le nuove norme sono finalizzate, sarebbe pregiudicata ove si ritenesse che, nell’un caso, l’interpretazione debba essere astretta alle clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito, mentre, nell’altro, la interpretazione si possa svolgere a tutto campo, reperendo nel contratto altre clausole, non esaminate, che però potrebbero risolvere ogni margine di incertezza.

Se fosse infatti precluso alla Corte, anche in sede di ricorso ordinario, di applicare il criterio sistematico, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre, la decisione che ne sortirebbe sarebbe sicuramente meno affidabile e meno “resistente” rispetto ad altri interventi, sentenze rese ex art. 420 bis c.p.c., che si possono invece giovare di questo fondamentale criterio ermeneutico.

Deve ritenersi pertanto che la norma di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, imponga alla parte un onere di produzione che ha per oggetto il contratto nel suo testo integrale.

La disposizione infatti si riferisce ai “contratti o accordi collettivi”, senza fornire alcun elemento che possa consentire di effettuare una produzione parziale, limitata a singole clausole, singoli articoli, o parti di articoli del contratto.

La scelta legislativa è coerente con i principi generali dell’ordinamento, che certo non consentono a chi invoca in giudizio un contratto, di produrre al giudice solo una parte del documento.

E’ coerente altresì con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 c.c., e segg., in particolare, con la regola denominata dal codice “Interpretazione complessiva delle clausole”, secondo la quale “le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 c.c.).

La scelta legislativa è poi coerente con i criteri di fondo dell’intervento legislativo in cui si inserisce (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e relativa legge delega) volto a potenziare la nomofilachia della Corte di cassazione.

Deve di conseguenza affermarsi il principio di diritto per cui la produzione di meri stralci del contratto collettivo nazionale di lavoro non corrisponde alla prescrizione di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4.

E tale principio è stato, di recente, ribadito con la sentenza n. 20075/10 dalle Sezioni Unite di questa Corte, investite della problematica con ordinanza in data 17.3.2010 nel ricorso iscritto al R.G. al n. 3277/09.

Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 30,00 per esborsi, oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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