Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27793 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27793

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1115/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12

– ricorrente –

contro

MORDENTI EXPORT S.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Davide

Rapallini del Foro della Spezia ed elettivamente domiciliata in

Roma, Via Pompeo Magno, n. 2/b presso lo studio dell’avv. Alessia

Bernardi;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Liguria n. 28/2/2013, pronunciata il 22 aprile 2013 e depositata il

14 maggio 2013.

Udita la relazione svolta in Camera di Consiglio del 10 settembre

2020 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Mordenti Export S.r.l. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale della Spezia l’avviso di accertamento notificatole dall’Agenzia delle Entrate che, in applicazione dello studio di settore TD 32U, relativo all’attività svolta, per il periodo di imposta 2004, aveva accertato maggiori ricavi per Euro 120.161,00.

2. La Commissione adita, in parziale accoglimento del ricorso, riduceva i maggiori ricavi accertati da Euro 120.161,00 ad Euro 80.000,00, tenuto conto del momento di crisi del mercato addotto dalla contribuente, la quale proponeva appello, lamentando che la riduzione parziale non era sostenuta da argomentazioni specifiche a sostegno della stessa. L’Agenzia delle Entrate, proponeva appello incidentale rilevando, anch’essa, la mancanza di motivazione specifica a sostegno della riduzione quantitativa dei maggiori ricavi accertati, stante l’inapplicabilità del principio di determinazione equitativa nel processo tributario.

3. Con sentenza n. 28/2/2013, pronunciata il 22 aprile 2013 e depositata il 14 maggio 2013 la Commissione Tributaria Regionale della Liguria accoglieva il ricorso della contribuente in mancanza di elementi concreti idonei a supportare le presunzioni dell’ufficio che non consentivano una rideterminazione dell’imponibile dichiarato e comunque in considerazione del non grave scostamento rilevato e delle giustificazioni addotte dalla contribuente.

5. Avverso tale decisione L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi, cui la società contribuente resiste con controricorso.

7. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 10.9.2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. Con il primo motivo l’agenzia ricorrente deduce violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-bis e art. 62-sexies, comma 3 convertito dalla L. n. 427 del 1993, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 25 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la sentenza impugnata si porrebbe in aperto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale consolidato di questa Corte, secondo cui, in tema di applicazione degli studi di settore, la mancata partecipazione al contraddittorio del contribuente regolarmente invitato dall’ufficio finanziario non può che ripercuotersi sul contribuente stesso il quale assume le conseguenze del proprio comportamento, rendendo lecita l’applicazione degli standard previsti.

1.2. Con il secondo motivo deduce “omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio”, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assumendo che la motivazione della C.T.R. basata solo sulla applicazione degli studi di settore avrebbe omesso qualsiasi considerazione sull’antieconomicità dell’attività esercitata per una pluralità di esercizi e sull’omessa presentazione, nel medesimo periodo, della dichiarazione dei redditi da parte del socio di maggioranza su cui si basava l’avviso di accertamento dell’Ufficio.

1.3. Con il terzo motivo deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54), assumendo che la C.T.R. basandosi solo sulla applicazione degli studi di settore avrebbe omesso l’esame del fatto decisivo rappresentato dall’esistenza dei maggiori ricavi non dichiarati da parte della società contribuente.

2. Il primo motivo del ricorso va accolto.

2.1. Invero, costituisce principio ormai consolidato di questa Corte quello secondo cui “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, indicando le ragioni del suo convincimento.

2.2. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che il D.L. 30 agosto 1993, n. 337, art. 62 sexies convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, nel prevedere al comma 3 che gli accertamenti condotti ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dello stesso d.I n. 331 del 1993, il cui art. 62 bis, autorizza l’ufficio finanziario, allorchè ravvisi siffatte “gravi incongruenze” a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dal detto art. 54 e, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità. Ciò costituisce un’ulteriore deroga, in materia di accertamento, ai limiti fissati dall’art. 54, con la conseguente ammissibilità dell’accertamento induttivo oltre le ipotesi già previste dal D.P.R. n. 633 del 1972 (successivo art. 55), e cioè anche in presenza di contabilità formalmente regolare. Gli studi di settore, introdotti dal D.L. n. 331 del 1993 (artt. 62 bis e 62 sexies), direttamente derivanti dai “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito nella L. 27 aprile 1989, n. 154, idonei a fondare semplici presunzioni, sono, infatti; da ritenere supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti. I dati in tal modo presunti possono, pertanto, essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finchè non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente (cfr. Cass. Sez. V, 14/03/2007 n. 5977; Sez. V, 06/04/2007, n. 8643; Sez. V, 25/03/2009 n. 7184).

2.3. Va ancora rammentato il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo il quale “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (cfr. Cass. Sez. U. 18/12/2009, n. 26635; nonchè, Cass., Sez. V, 10/05/2013, n. 11145).

2.4. Pertanto, la mancata risposta all’invito al contraddittorio in sede amministrativa (come nel caso di specie) legittima di per sè l’emissione dell’avviso di accertamento sulla base delle risultanze degli studi di settore, in quanto la mancata risposta consente di qualificate i dati presuntivi contenuti negli standard applicati, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2727 e 2729 c.c., come “presunzioni gravi, precise e concordanti”, con conseguente insussistenza dell’onere dell’Ufficio di provare aliunde ovvero a mezzo di altre circostanza l’esistenza di maggiori ricavi così determinati.

2.5. Invero, perchè l’accertamento basato sull’applicazione dello studio di settore sia legittimo, occorre che sia preceduto dall’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, al fine di consentire a quest’ultimo di contestare specificamente l’applicazione dei valori risultanti dallo studio di settore al caso concreto, sicchè l’operato dell’Ufficio non può considerarsi legittimo, solo nel caso in cui il contribuente non sia stato posto nella condizione di contestare l’accertamento basato sull’applicazione dello studio di settore, non potendo riconoscersi al contribuente stesso alcun potere di impedire all’Ufficio di procedere all’accertamento con la semplice mancata presentazione all’invito e, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente abbia omesso di parteciparvi ovvero si sia astenuto da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Cass. Sez. 5, 06/08/2014, n. 17646; Sez. 6, 16/05/2016, n. 10047; Sez. 5, 30/10/2018, n. 27617).

2.6. Come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 5, 18/09/2019, n. 23252), in tema di reddito d’impresa, infatti, qualora il contribuente, regolarmente invitato, non si avvalga della facoltà di prendere parte al contraddittorio precontenzioso, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento anche esclusivamente sulle risultanze del confronto tra il reddito dichiarato e quello calcolato, facendo applicazione degli studi di settore, salvo il diritto del contribuente di allegare e provare in sede contenziosa, anche per la prima volta, elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario sì fonda.

2.7. Emerge dalla sentenza impugnata che l’Ufficio non aveva potuto instaurare il contraddittorio preventivo con la contribuente per inerzia di quest’ultima che non si era presentata all’invito che le era stato rivolto. La C.T.R., tuttavia – pur dando atto della mancata collaborazione della contribuente, ma omettendo di considerare le residue osservazioni dell’ufficio in ordine all’antieconomicità dell’attività esercitata per una pluralità di esercizi, sull’omessa presentazione, nel medesimo periodo, della dichiarazione dei redditi da parte del socio di maggioranza e sull’esistenza dei maggiori ricavi non dichiarati da parte della società contribuente su cui si basava l’avviso di accertamento – ha disatteso le ragioni dell’Ufficio, sostenendo che gli studi di settore non integravano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio medesimo dell’accertamento, in quanto presunzioni semplici non supportate da altri elementi di prova, ritenendo dirimente che, ove la tenuta delle scritture contabili sia formalmente corretta, l’esclusiva difformità tra la percentuali di ricarico applicata al contribuente e quella determinata in base agli studi di settore, non costituisce una presunzione grave, precisa e concordante (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39) a favore dell’Amministrazione finanziaria, dunque non comporta l’onere della prova a carico del contribuente medesimo.

2.8. Come costantemente ritenuto da questa Corte “qualora il contribuente non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito” (cfr. Cass. Sez. V, 23/06/2020, n. 12304).

2.9. Nel caso di specie la C.T.R. non si è attenuta ai principi affermati da questa Corte (Cass. Sez. U, 18/12/2009, n. 26635) e, senza alcuna enunciazione di eventuali contestazioni sollevate dalla contribuente, ha affermato che “lo scostamento dai parametri previsti dagli studi di settore non è sufficiente per legittimare l’accertamento, richiedendo l’apporto di ulteriori elementi”… e dovendo i risultati “essere corretti in modo da fotografare e personalizzare la specifica realtà economica del contribuente” (così, sentenza citata).

2.10. Sono quindi fondate le censure dell’Ufficio, avendo la C.T.R. omesso di valutare la sussistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la presunzione di maggior reddito, trascurando che ove, come nella specie, il contraddittorio sia stato attivato e il contribuente non abbia addotto alcun elemento concreto a sostegno della propria tesi, a fondare l’accertamento ben può bastare, di per sè, l’applicazione dello studio di settore (Cass. Sez. U, 18/12/2009, n. 26635; nonchè, ex plurimis Sez. V, 12/04/2017 n. 9484 e Sez. V, 31/01/2019, n. 2843).

3. Il primo motivo del ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti gli altri due. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, perchè provveda in conformità ai principi enunciati, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri due; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria Regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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