Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27789 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8658-2015 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE LIEGI 42,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIOVANNI ALOISIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5655/2014 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PIRARI.

Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale di Roma, n. 5655/29/14, depositata in data il 23 settembre

2014 e non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8

settembre 2020 dal Relatore Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate notificò ad F.A. avviso di accertamento ai fini Irpef, Irap e Iva e contributi previdenziali relativi all’anno di imposta 2006, in quanto il dato dichiarato era incongruo con il relativo studio di settore.

Nel contenzioso che ne conseguì, la Commissione tributaria provinciale di Roma rigettò il ricorso proposto dal contribuente, pur abbattendo del 40 per cento, tenuto conto delle giustificazioni da lui addotte, quanto accertato, mentre la Commissione tributaria regionale di Roma, adita da quest’ultimo, respinse l’appello principale e dichiarò inammissibile quello incidentale proposto dall’Amministrazione, condannando il contribuente alle spese del giudizio principale e compensando quelle relative all’appello incidentale.

2. Contro la sentenza emessa dal giudice del rinvio, il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria. L’Agenzia delle entrate si costituisce al fine di partecipare all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il contribuente lamenta la violazione degli artt. 112,115 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione del principio della retroattività della versione più evoluta dello studio di settore, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la decisione della C.T.R. perchè, pur tenuta a porre a base della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita ai sensi dell’art. 115 c.p.c., non aveva disposto l’annullamento dell’avviso nonostante gli elementi addotti in sede di contraddittorio procedimentale e in via processuale al fine di contrastare l’inadeguatezza dello studio di settore applicato fossero rimasti pacifici, stante la mancanza di repliche da parte dell’Amministrazione, e perchè, in contrasto col principio tantum appellatum, tantum devolutum, aveva applicato il vecchio studio di settore in quanto reputato più favorevole per il contribuente, benchè la convenienza non fosse stata oggetto di alcun motivo d’appello; inoltre aveva omesso di applicare lo studio di settore più recente e affinato, pur retroattivamente efficace.

2. Col secondo motivo, il contribuente lamenta l’inesistenza della motivazione o la motivazione apparente, avuto riguardo all’art. 132 c.p.c., n. 4, (applicabile D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 62, comma 2), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la C.T.R. omesso di motivare in merito alle eccezioni sollevate e alle ragioni da lui addotte per contrastare lo studio di settore applicato, rispetto alle quali aveva laconicamente affermato la correttezza della loro mancata disamina da parte del giudice di primo grado in quanto a suo dire non convincenti ai fini della richiesta caducazione dell’accertamento, benchè le avesse reputate fondate e avesse constatato l’omessa loro contestazione da parte dell’ufficio.

3. Col terzo motivo, infine, il contribuente lamenta l’avvenuta violazione del principio della condanna alle spese di lite a carico della parte soccombente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15 in relazione all’art. 360, c. 4, c.p.c., per avere la C.T.R. compensato le spese relative all’appello incidentale proposto dall’Ufficio, benchè dichiarato inammissibile, e chiede l’annullamento della pronuncia, con statuizione nel merito ex art. 384 c.p.c..

4. Il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili.

Il ricorrente, infatti, nel lamentare la mancata valutazione, da parte della C.T.R., degli argomenti dallo stesso addotti al fine di confutare la correttezza dello studio di settore applicato, benchè pacifici in causa in quanto non contestati dall’Ufficio, denuncia errori di giustificazione della decisione sul fatto, con riferimento al rapporto tra motivazione della sentenza d’appello e dati processuali, che pongono un duplice ordine di problemi: quello di individuare gli elementi offerti o comunque acquisiti al processo e quello dei limiti del controllo di legittimità sulla estensione della motivazione della decisione impugnata (in tal senso, Cass., sez. 5, 21/01/2015, n. 961, non massimata sul punto; vedi anche Cass., sez. U., 20/3/2017, n. 7074).

Quanto alla prima questione, va ribadito come il giudice di merito non sia tenuto a dar conto dell’esame di tutte le prove prodotte o acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, ma possa limitarsi ad esporre sinteticamente gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione e ad evidenziare, con motivazione logica e adeguata, le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo invece reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass., sez. 5, 21/01/2015, n. 961, cit.; anche Cass., sez. L., 20/02/2006, n. 3601; Cass., sez. 1, 13/01/2005, n. 520; Cass., sez. 3, 28/10/2009, n. 22801).

Quanto alla seconda questione, si evidenzia come il vizio di motivazione possa essere censurato in sede di legittimità unicamente nella misura in cui risulti dal testo della decisione gravata dal ricorso, atteso che il controllo di logicità del giudizio di fatto consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio e alla conseguente nuova formulazione del giudizio di fatto, in quanto tale eventualità si pone in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità, il quale non può procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa e la considerazione di fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di merito a fondamento della sua decisione (in tal senso si è espressa Cass., sez. 5, 21/01/2015, n. 961 cit.; vedi anche Cass., sez. L., 05/03/2002, n. 3161; Cass., sez. 3, 20/10/2005, n. 20322; Cass., sez. L., 6/03/2006, n. 4766; Cass., sez. 6-5, 07/01/2014, n. 91; Cass., sez. 5, 28/11/2014, n. 25332; Cass., sez. 5, 10/09/2020, n. 18774).

Nella specie, il ricorrente ha inteso criticare la pronuncia impugnata per non aver esaminato tutti i singoli elementi emersi nel processo e a sollecitare indirettamente l’adozione di una diversa interpretazione del quadro indiziario sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri, così proponendo censure postulanti l’esercizio di un potere che esula dal giudizio di legittimità e ponendosi dunque in contrasto con i principi sopra enunciati. Da ciò deriva l’inammissibilità dei motivi in esame.

5. E’ invece fondato il terzo motivo, col quale il ricorrente lamenta la violazione del principio della condanna alle spese di lite a carico della parte soccombente, previsto dall’art. 91 c.p.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’avvenuta compensazione di quelle riguardanti l’appello incidentale dichiarato inammissibile, col quale l’Agenzia aveva chiesto l’abbattimento dell’accertamento nella misura del 26 per cento sulla base dello studio di settore più evoluto, stante la genericità della motivazione contenuta nella sentenza di primo grado che lo aveva ridotto in misura superiore, e dichiarato inammissibile.

Orbene, il motivo di doglianza, pur specificamente riferito alla sola statuizione sulle spese relative all’appello incidentale, deve ritenersi involga in generale la statuizione sulle spese compiuta dalla C.T.R..

In merito, deve trovare applicazione il principio secondo cui, “in materia di liquidazione delle spese giudiziali nel giudizio di appello, il criterio di individuazione della soccombenza, sulla base del quale va effettuata la statuizione delle spese, deve essere unitario e globale” (vedi Cass., sez. 6-3, del 21/01/2020, n. 1269), il quale, pur dettato in relazione all’esito globale del giudizio comprensivo dei diversi gradi e del loro risultato, opera a maggior ragione nell’ambito di ciascuno dei gradi del giudizio.

Il carattere della unitarietà e globalità del processo comporta infatti la necessità che la parte totalmente o parzialmente soccombente sia individuata con riguardo all’esito finale della lite, il quale non può non intendersi riferito all’insieme delle domande ed eccezioni proposte.

Nella specie, la C.T.R. non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto, scomponendo il giudizio e distinguendo tra appello principale e appello incidentale, ha provveduto a regolare le spese autonomamente per ciascuno di essi, oltretutto violando, con riguardo a quello incidentale – per il quale ha disposto la compensazione nonostante la declaratoria di inammissibilità dello stesso – il criterio della soccombenza (vedi Cass., Sez. 6-5, 12/10/2018 n. 25594).

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ritiene il Collegio di dover decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., nel senso che, in ragione della reciproca soccombenza, le spese del giudizio di secondo grado debbano essere interamente compensate tra le parti.

7. Per questi motivi, accoglie il terzo motivo di ricorso e, decidendo nel merito, compensa tra le parti le spese del giudizio di secondo grado.

8. Per la reciproca soccombenza e l’evoluzione complessiva dell’intero giudizio restano compensate anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il primo e il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, compensa le spese dei giudizi di appello e di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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