Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27787 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 27787 Anno 2017
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE

ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 4911/2011 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
– ricorrente contro
Linde Material Handling Italia Spa,

rappresentata e difesa

dall’Avv. Andrea Russo, ivi elettivamente domiciliata, in Roma viale
Castro Pretorio n. 122, giusta procura speciale notarile;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia n. 5/45/10, depositata il 18 gennaio 2010.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 novembre
2017 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Letta la memoria depositata dal Sostituto Procuratore Generale
Giovanni Giacalone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
e, in subordine, per la rimessione alle Sezioni Unite.
Letta la memoria depositata dall’Avv. Andrea Russo per la
controricorrente che ha chiesto la trattazione della causa in
pubblica udienza, ovvero la rimessione alle Sezioni Unite, ed ha

Data pubblicazione: 22/11/2017

concluso per il rigetto del ricorso, e, in subordine, l’applicazione
dello ius superveniens in materia di trattamento sanzionatorio.
RILEVATO CHE
– l’Agenzia delle entrate impugna per cassazione, con due motivi, la
decisione della CTR della Lombardia che, confermando la sentenza
di primo grado, aveva ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento,

per Iva, Irpeg ed Irap per gli anni 2002 e 2003, con i quali era
stata recuperata a tassazione la differenza rispetto al valore
normale a seguito di cessione di beni infragruppo dalla controllante
tedesca, oltre alla contabilizzazione di costi non di competenza e
non inerenti;
– la Linde Material Handling Italia Spa si costituisce eccependo
l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso;
CONSIDERATO CHE
– va disattesa preliminarmente l’eccezione di tardività del ricorso;
– l’art. 38, d.lgs. n. 546 del 1992, non ha istituito un regime
speciale per il processo tributario in ordine all’applicazione del
termine lungo di impugnazione, impermeabile alle disposizioni
transitorie di cui all’art. 58 della I. n. 69 del 2009: tale principio si
desume dall’art. 62 del medesimo decreto, che fa espresso
riferimento, per la disciplina del giudizio di cassazione in materia
tributaria, alle norme del codice di procedura civile, così
attribuendo prevalenza alle norme processuali ordinarie ed
escludendo l’esistenza di un giudizio “tributario di legittimità”
(Cass. n. 12642 del 19/05/2017, Rv. 644238);
– ne deriva che trattandosi, nella specie, di giudizio instaurato
anteriormente al 4 luglio 2009 (la sentenza di primo grado risale al
2007), è inapplicabile, per effetto dell’art. 58 cit., la riduzione a sei
mesi del termine lungo;
– è pure infondata l’eccepita violazione dell’art. 366, n. 3, c.p.c.:
l’esposizione dei fatti di causa, che deve essere “sommaria”, risulta
adeguata ed idonea a fornirne una sufficiente rappresentazione;
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h

- il primo motivo, rivolto esclusivamente al principale rilievo
contenuto nell’avviso per l’anno 2003 relativo al contestato transfer
pricing per le operazioni infragruppo, denuncia la violazione dell’art.
76, comma 5, (ora 110, comma 7), d.P.R. n. 917 del 1986; il
secondo motivo denuncia, sulla medesima questione, motivazione
insufficiente su un fatto controverso, identificato nella rispondenza

elevatori), attività “caratteristica” svolta in perdita, incentrandosi la
motivazione sul totale delle attività svolte e correlato utile positivo
della società;
– il primo motivo è fondato – da cui l’infondatezza dell’eccepita
inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c. – per essere la CTR incorsa
nella violazione dell’art. 76, comma 5, (ora 110, comma 7) tuir;

la normativa in esame, infatti, non integra una disciplina

antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del
fenomeno economico del transfer pricing (spostamento d’imponibile
fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo
gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé
considerato, sicché la prova gravante sull’Amministrazione
finanziaria non riguarda la maggiore fiscalità nazionale o il concreto
vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di
transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente
inferiore a quello normale, incombendo, invece, sul contribuente,
giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c.
ed in materia di deduzioni fiscali, l’onere di dimostrare che tali
transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi
normali alla stregua di quanto specificamente previsto dal citato
art. 9, comma 3, tuir (v. Cass. n. 11949 del 2012; Cass. n. 10742
del 2013; Cass. n. 18392 del 2015; Cass. n. 7493 del 2016);
– è ben vero che secondo una giurisprudenza più risalente, seguita
invero anche da un isolato più recente arresto (v. Cass. n. 15642
del 2015), la norma veniva ricondotta ad una clausola elusiva ma
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al valore normale del prezzo di acquisto della merce (carrelli

tale orientamento, ormai superato, non può essere condiviso
tenuto conto che la ratio della normativa va rinvenuta “nel principio
di libera concorrenza enunciato nell’art. 9 del Modello di
Convenzione OCSE” e che, quindi, la valutazione in base al valore
normale investe la “sostanza economica dell’operazione” che va
confrontata “con analoghe operazioni realizzate in circostanze

indipendenti” (v. in particolare Cass. n. 27018 del 15/11/2017,
che, nel ricomporre le diverse opzioni interpretative emerse nella
giurisprudenza della Corte, ha espressamente affermato «la ratio
della disciplina di cui all’art. 110, comma 7, tuir, va individuata nel
principio di libera concorrenza, esclusa ogni qualificazione della
stessa come norma antielusiva»)
– non ricorrono, dunque, i presupposti per rimettere la trattazione
della causa alla pubblica udienza, né, tantonneno, per la rimessione
degli atti alle Sezioni Unite;
– neppure, del resto, può ritenersi la normativa così interpretata
sospetta di illegittimità costituzionale, attesa, da un lato, l’evidente
differenza tra operazioni poste nel mercato interno, soggette ad
una unitaria disciplina nazionale, e quelle transfontaliere, per le
quali l’esigenza è di tutelare il potere impositivo nazionale, e,
dall’altro, rinvenendo l’art. 110, comma 7, tuir la propria ratio nel
principio di libera concorrenza e nell’oggettivazione del valore delle
operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri
civilistici tra i contraenti, che restano regolati dal solo reciproco
consenso, sicché non è lesivo dei principi di iniziativa economica,
né, tantomeno, di capacità e progressività nell’imposizione;
– il secondo motivo resta assorbito;
– in accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con
rinvio, anche per le spese di legittimità, alla CTR competente in
diversa composizione, che dovrà accertare, nel rispetto del riparto
dell’onere probatorio tra le parti come sopra definito, la condizione
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comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti

essenziale per l’applicazione della normativa, ossia se le cessioni
siano intervenute per valori di mercato da considerarsi inferiori a
quelli normali;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il
secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese

composizione.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 13 novembre 2017

del presente giudizio, alla CTR della Lombardia in diversa

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