Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27787 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11635-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

Nonchè da:

EXXONMOBIL CHEMICAL FILMS EUROPE SUD SRL ORA JINDAL FILMS EUROPE

BRINDISI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA P.ZA D’ARACOELI 1,

presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO MAISTO, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati MARCO CERRATO, MICHELE TOCCACELI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6/2013 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 28/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

lette le conclusioni del PM in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO, che ha concluso per il rigetto

del ricorso, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Conseguenze di legge.

 

Fatto

PREMESSO

che:

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 6/15/2013, depositata dalla Commissione tributaria regionale della Puglia il 28.01.2013, che, accogliendo l’appello principale della contribuente Exxonmobil Chemical Films Europe s.r.l. e rigettando quello incidentale dell’Ufficio, aveva annullato l’avviso di accertamento con cui era stato accertato per l’anno d’imposta 2004 l’omessa ritenuta alla fonte e il mancato versamento all’Erario dell’importo di Euro 250.239,00.

L’Amministrazione finanziaria ha riferito che a seguito di una verifica fiscale condotta presso la società i militari della GdF avevano riscontrato l’esistenza di un contratto, intitolato “(OMISSIS)” corrente tra la contribuente e la Exxonmobil Research and Engineering Company, sedente negli Stati Uniti, che secondo la ricostruzione dell’odierna controricorrente aveva ad oggetto la creazione, acquisizione e gestione di informazioni tecniche, nonchè la protezione di brevetti e diritti d’autore collegati alle attività chimiche della Exxonmobil Technology con sede in (OMISSIS), i cui costi erano ripartiti tra le società, come la contribuente, collegate o controllate dalla compagine americana. Per l’Agenzia invece si trattava di un contratto avente ad oggetto l’utilizzazione dei brevetti e know how dietro corresponsione di compensi, da inquadrarsi nelle royalty. Secondo tale ultima prospettazione alla fattispecie negoziale erano applicabili il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 23, comma 2, lett. c) e il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 25, comma 4, in forza dei quali su tali compensi, tassabili in Italia, la società italiana avrebbe dovuto operare quale sostituto d’imposta una ritenuta alla fonte del 30%. Per l’omessa effettuazione della ritenuta e l’omesso versamento dell’imposta l’Agenzia aveva notificato l’atto impositivo.

Era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari, che con sentenza n. 44/20/2011 aveva accolto solo in parte le ragioni della società.

Nel successivo giudizio d’appello, proposto da entrambe le parti ciascuna per quanto soccombente, con la sentenza ora al vaglio della Corte erano state accolte le ragioni della contribuente in ordine all’infondatezza delle pretese fiscali (non quelle relative alla nullità dell’avviso di accertamento) e rigettate le ragioni dell’Agenzia.

Il giudice regionale ha ritenuto corretta la prospettazione della contribuente in ordine alla natura del contratto vigente con la società statunitense, respingendo la qualificazione pretesa dall’Ufficio finanziario.

L’Agenzia ha censurato la sentenza con due motivi:

con il primo per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per l’erronea valutazione della natura del contratto corrente tra la società italiana e quella americana;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 23, comma 2, lett. c) e il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 25, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè erroneamente non ha tenuto conto dell’ampia definizione delle royalties.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale statuizione.

Si è costituita la società, che ha eccepito l’inammissibilità dei motivi di ricorso, e nel merito la loro infondatezza.

Con ricorso incidentale condizionato ha a sua volta impugnato la sentenza con tre motivi:

con il primo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver motivato sulla eccepita nullità dell’avviso di accertamento notificato prima della scadenza del termine prescritto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7;

con il secondo, ove invece ritenuto applicabile il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per le carenze motivazionali già denunciate con il primo motivo;

con il terzo per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente interpretato l’art. 12, comma 7 cit. non valutando la congruità e correttezza delle ragioni d’urgenza invocate dall’Ufficio finanziario a giustificazione del mancato rispetto del termine.

Ha dunque chiesto il rigetto del ricorso principale, o, in via condizionata all’accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate, la declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento.

La causa è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale dell’8 settembre 2020. La società ha depositato memorie, con le quali ha insistito sull’inammissibilità e infondatezza del ricorso dell’Ufficio ed ha dichiarato di rinunciare al ricorso condizionato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il primo motivo del ricorso, con il quale l’Agenzia delle entrate si duole dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per l’erronea valutazione della natura del contratto corrente tra la società italiana e quella americana, è inammissibile. Deve evidenziarsi che la pronuncia impugnata è stata depositata il 28 gennaio 2013, ossia nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Con esso non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità su di essa resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940). Deve dunque trattarsi dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali. Pertanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29/10/2018, n. 27415).

Ebbene, nel caso di specie l’omesso esame di questioni relative all’interpretazione del contratto non sono neppure riconducibili al vizio motivazionale, dovendosi escludere radicalmente che una clausola negoziale costituisca un “fatto” decisivo per il giudizio, rientrando in tale nozione gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi (Cass., 08/03/2017, n. 5795; 13/08/2018, n. 20718).

E’ invece infondato, quando non inammissibile, il secondo motivo, con il quale l’Ufficio ha lamentato l’errore di diritto del giudice regionale per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23, comma 2, lett. c) e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25, comma 4. Con esso si è affermato che non si sia tenuto conto dell’ampia definizione delle royalties contenuta nella normativa applicabile. Il motivo non coglie nel segno.

Nella motivazione della sentenza si legge che “le clausole contenute nel predetto contratto (afferenti alla creazione, acquisizione e gestione di informazioni tecniche, alla protezione dei relativi brevetti e diritti d’autore ai fini delle attività petrolifere e chimiche della Exxonmobil Corporation e sue collegate ) consentono di rilevare la causa

concreta perseguita dalle parti nella stipula del contratto come dettata da normali, valide e meritevoli ragioni economiche; e di escludere, quindi, intenti elusivi dei quali, peraltro, dagli atti di causa non risulta fornita prova dall’Amministrazione finanziaria che possa rendere plausibili le affermazioni di principio formulate nell’atto impositivo. Nè dagli atti di causa risultano elementi probatori che consentano di ipotizzare, in maniera plausibile, l’indisponibilità uti dominus, da parte della società appellante, dei prodotti della ricerca, e l’acquisizione del diritto non esclusivo ad utilizzare i brevetti, i diritti d’autore, le informazioni tecniche frutto della ricerca”.

Ebbene, il giudice d’appello, evidenziando tutte le connessioni correnti tra le società sull’utilizzo e modalità di protezione di brevetti e diritti d’autore, e dunque sulle finalità perseguite dalle parti con il contratto, ha negato che il contratto avesse quale oggetto la mera disciplina dei compensi di utilizzo dei beni immateriali in esso contemplati. Con ciò ha escluso inequivocabilmente che l’atto negoziale fosse riconducibile alle royalties e dunque trovasse disciplina nella fattispecie fiscale prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 23 comma 2.

D’altronde l’ampia interpretazione delle clausole contrattuali e delle finalità del contratto riscontrate dal giudice regionale non può essere censurata, sotto il profilo dell’error iuris in iudicando, semplicemente invocando una estensione praticamente illimitata – secondo la generica prospettazione difensiva dell’Ufficio – del contenuto della disciplina fiscale che con l’atto impositivo si è inteso applicare.

Ne discende che il motivo è infondato.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Quanto al ricorso incidentale condizionato, a parte i riflessi su di esso del rigetto di quello principale, risulta agli atti oggetto di rinuncia da parte del contribuente.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura specificata in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso dell’Agenzia delle entrate. Condanna la ricorrente alla rifusione in favore della società contribuente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per competenze, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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