Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27785 del 12/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 12/10/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 12/10/2021), n.27785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13644/2018 proposto da:

HAO-MAI 4 S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONIO CARBONELLI;

– ricorrente –

contro

C.L., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati FERDINANDO FELICE PERONE, PAOLO PERUCCO,

ANDREA BORDONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1903/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/03/2018 R.G.N. 834/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che, rilevata l’invalidità del patto di prova apposto al contratto stipulato da C.L. con Hao Mai 4 SRL, aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice in data 31 luglio 2010 e condannato la società alla reintegrazione della dipendente nel posto di lavoro, al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dalla data dal recesso a quella di riammissione in servizio e alla regolarizzazione contributiva;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Hao Mai 4 SRL sulla base di tre motivi illustrati con memoria; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione dell’art. 2096 c.c., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto il difetto di specificità del patto di prova; in particolare sostiene che tale requisito era integrato dal rinvio per relationem contenuto nel contratto individuale alla qualifica di operaio part time con inquadramento nel livello 5 del c.c.n.l. Commercio applicabile;

2. con il secondo motivo di ricorso, denunziando nullità della sentenza di appello per violazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., censura la decisione per avere configurato la eccezione della società relativa alla insussistenza del requisito dimensionale indispensabile al fine della tutela reale quale eccezione in senso proprio (e non, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, quale eccezione in senso lato) e quindi preclusa stante la contumacia della società in primo grado;

3. con il terzo motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla domanda svolta in via subordinata nel “foglio di precisazione delle conclusioni” depositato in vista dell’udienza del 1.3.2017, domanda con la quale, evidenziato che la lavoratrice invitata a riprendere l’attività lavorativa aveva inviato una serie di certificati medici, aveva chiesto che la stessa venisse sanzionata ai sensi dell’art. 93 c.p.c. “stante il palese abuso degli strumenti processuali rispetto alla situazione di fatto e di diritto” o quantomeno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1; in ulteriore subordine, per l’ipotesi di conferma dell’applicabilità della tutela reale e pur in presenza di un contatto di lavoro subordinato a tempo determinato, aveva chiesto di limitare al minimo di legge l’indennità risarcitoria;

4. il primo motivo di ricorso è infondato. La Corte di appello ha ritenuto il difetto di specificità (e, quindi, l’invalidità) del patto di prova apposto al contratto individuale osservando che pur potendo in astratto le mansioni di adibizione essere individuate per il tramite del rinvio alle disposizioni collettive, in concreto il riferimento alla posizione di operaio di 5 livello c.c.n.l. applicabile, e quindi alla sola qualifica di inquadramento, risultava inidoneo, in difetto di altre indicazioni, a consentire la identificazione ex ante delle mansioni di concreta adibizione della lavoratrice e quindi le attività lavorative sulle quali avrebbe dovuto svolgersi la prova;

4.1. la decisione è conforme alla giurisprudenza assolutamente maggioritaria di questa Corte, alla quale si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., secondo la quale il patto di prova apposto ad un contratto di lavoro deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata anche con riferimento alle declaratorie del contratto collettivo, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria (Cass. 9597/2017, 11722/2009, 13455/2006, 17045/2005). Il precedente isolato invocato dal ricorrente, costituito da Cass. 665/2015, che ha affermato, in sintesi, l’idoneità al fine della valida stipula di un patto di prova del solo riferimento alla categoria lavorativa prevista dal contratto collettivo, perché permette l’assegnazione del lavoratore ad uno dei plurimi profili rientranti in esso s(da consentire maggiori opportunità di utilizzazione del lavoratore in azienda, non è condivisibile; esso si rivela poco coerente con la causa del patto di prova, tradizionalmente individuata nella tutela dell’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto di lavoro, la quale postula la puntuale indicazione e identificazione delle mansioni in relazione alle quali l’esperimento deve svolgersi (Cass. 13498/2003, 3451/2000, 14538/1999, 5811/1995); ciò anche al fine di consentire l’adeguato ed effettivo, seppur limitato, controllo giudiziale sul potere di recesso datoriale nel periodo di prova, controllo possibile solo allorquando siano ben note e specificate, fin da prima dell’inizio del periodo di prova, le mansioni dettagliate che il lavoratore sarà chiamato ad esercitare;

4.2. il rigetto nel merito del motivo di ricorso assorbe la necessità di esame delle eccezioni di inammissibilità articolate dalla parte controricorrente;

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione in tema di sussistenza del requisito dimensionale idoneo a fondare l’applicazione della tutela reale;

5.1. il giudice di appello, premesso che gravava sul datore di lavoro l’onere della prova dell’insussistenza del requisito dimensionale per la tutela reale, ha rilevato che la eccezione della società era tardiva, non in quanto tale, “… (cioè sul piano delle difese in diritto), ma poiché supportata da tardive inammissibili allegazioni concernenti il numero degli occupati in organico” (sentenza, pag. 4, quarto capoverso); secondo quanto si evince dalla parte motiva ora richiamata la tardività non viene riferita alla eccezione di difetto del requisito dimensionale, che come è noto, costituisce eccezione in senso lato (Cass. 11940/2019, 12907/2017, 26289/2013) e quindi proponibile per la prima volta anche in seconde cure, ma alla circostanza che le allegazioni in fatto destinate a sorreggerla, relative al numero degli occupati in organico, erano tardive in quanto formulate dalla società – contumace in primo grado – solo in grado di appello, tenuto conto delle obiezioni della lavoratrice. Il motivo in esame non si confronta quindi con la effettiva ratio decidendi alla base della statuizione in tema di sussistenza del requisito dimensionale, statuizione che non riposa sul carattere di eccezione in senso proprio della difesa spiegata a riguardo dalla società ma sul mancato assolvimento dell’onere di allegazione e prova del requisito dimensionale che per consolidata giurisprudenza fa carico alla parte datoriale (Cass. 9867/2017);

6. il terzo motivo di ricorso è da respingere. La denunzia di omessa pronunzia è inammissibile per difetto di specificità in quanto parte ricorrente non ha allegato prima ancora che dimostrato che le domande rispetto alle quali denunzia violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato fossero state ritualmente e tempestivamente formulate, circostanza quest’ultima che sembra anzi esclusa in radice dal fatto che la odierna ricorrente assume che tali domande erano state proposte nel “foglio di precisazione delle conclusioni” depositato in vista dell’udienza del 1.3.2017 e quindi non con il ricorso in appello; quanto alla misura della indennità risarcitoria la specifica questione della riduzione della stessa nell’importo minimo, pari a cinque mensilità, quale conseguenza della condotta della lavoratrice che invitata a riprendere servizio aveva inviato una serie di certificati medici dimostrando di non avere reale interesse alla prosecuzione dell’attività lavorativa, non è stata specificamente affrontata dalla Corte di merito; pertanto, a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di tale questione innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013), come viceversa non è avvenuto;

7. al rigetto del ricorso consegue la regolamentazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione;

8. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA