Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27781 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 04/12/2020), n.27781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24729/2014 R.G. proposto da:

C. FASHION DI C.A. & C S.A.S., in persona del legale

rappresentante p.t., C.A., C.E., C.V., tutti

rappresentati e difesi dall’Avv. Sabino Antonino Sarno e dall’Avv.

Walter Mauriello, con domicilio eletto in Roma, via A. Baiamonti 4,

presso lo studio dell’Avv. Renato Amato;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania sez. staccata di Salerno, n. 2357/5/2014 depositata l’11

marzo 2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 7 luglio 2020

dal consigliere Pierpaolo Gori.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 2357/5/14 depositata in data 11 marzo 2014 la Commissione tributaria regionale della Campania sez. staccata di Salerno rigettava gli appelli riuniti proposti da C. Fashion di C.A. S.a.s. e dai soci C.A., C.V. e C.E. avverso la sentenza n. 735/1/11 della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva riunito e respinto i ricorsi dei contribuenti contro quattro avvisi di accertamento con i quali per l’anno di imposta 2007 venivano accertati, rispettivamente, maggiori ricavi non dichiarati in capo alla società (ai fini IVA e IRAP) e recuperati ad imposta i redditi da partecipazione in capo ai tre soci (ai fini IRPEF e Addizionali). Gli avvisi facevano seguito ad un accesso nei locali aziendali e ad un accertamento condotto con metodo analitico induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39 comma 1 lett. d).

– La CTR confermava la decisione di primo grado, ritenendo nel merito che i contribuenti non avessero offerto prova giustificatoria del comportamento antieconomico della società, in presenza di contabilità aziendale inattendibile.

– Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti deducendo tre motivi, che illustrano con memoria. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– In data 7 luglio 2020 si tiene l’adunanza camerale nell’aula d’udienza della sezione V civile del palazzo della Corte di Cassazione alla presenza dei magistrati pres. del collegio Angelina-Maria Perrino, cons. Paolo Catallozzi, cons. Vincenzo Galati e con la presenza in collegamento remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams – individuata con decreto dirigenziale adottato ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, convertito in L. n. 24 del 2020 dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e pubblicato sul portale dei servizi telematici in data 20 marzo 2020 – dei magistrati cons. Roberto Succio e cons. Pierpaolo Gori, ai quali è assicurata la disponibilità agli atti attraverso la medesima piattaforma.

– In via preliminare, premessa la tempestiva presentazione per la notifica del ricorso in data 2.10.2014, va dato atto dell’esistenza dei presupposti per la remissione in termini della contribuente ai fini dell’iscrizione a ruolo del ricorso, adempimento intervenuto in data 3.11.2014, il giorno stesso in cui la contribuente ha avuto la disponibilità dell’atto allo sportello restituzione dell’ufficio UNEP presso la Corte di appello di Roma, giusta attestazione rilasciata da quell’ufficio che certifica un problema tecnico a giustificazione del ritardo, circostanze sulle quali l’Agenzia in controricorso nulla osserva.

– Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 -, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 10 della L. n. 146 del 1998, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dell’art. 97 Cost. e dell’art. 112 c.p.c., per presunta omessa pronuncia da parte della CTR su una censura articolata in primo grado e asseritamente riprodotta in secondo, la questione dell’assenza di un reale contraddittorio attivato dall’Ufficio prima dell’adozione dell’avviso di accertamento impugnato e della sufficiente motivazione.

– Il motivo è complessivamente inammissibile. In primo luogo, la questione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale non risulta essere stata tempestivamente sollevata nel ricorso introduttivo di primo grado, almeno nella parte dell’atto riprodotta a pag.3 del ricorso per cassazione per autosufficienza. In secondo luogo, non è dimostrato che la questione dell’insufficienza della motivazione sia stata riproposta in appello dalla contribuente, integralmente soccombente in primo grado; tale necessario passaggio non si evince dalla lettura della parte dell’appello riprodotta a pag. 4 del ricorso e, a tal fine, è irrilevante l’inserimento integrale del p.v. di accesso e richiesta documenti.

– Con il secondo motivo – articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – i contribuenti lamentano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (obbligo del giudice di motivare in fatto ed in diritto la sentenza) e dell’art. 111 Cost., comma 6 (obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali), per non aver la CTR tenuto conto dell’errore di calcolo commesso dall’Ufficio nella determinazione dell’ammontare dei “ricavi complessivi”, incidente sulla valutazione di antieconomicità della gestione societaria.

– Il motivo è inammissibile. Va reiterato che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01).

– Orbene, nel caso in esame non può riconoscersi alcuna omessa motivazione o motivazione apparente nè la denunziata violazione di legge sul punto, dal momento che la CTR ha innanzitutto dato conto in fatto della prospettazione dei contribuenti secondo cui vi sarebbe stato un errore di calcolo in cui sarebbe incorsa l’Agenzia, non limitato alla sola componente reddituale rappresentata da canoni di locazione (pp. 3-4 sentenza). In secondo luogo, nella parte in diritto il giudice d’appello ha affrontato motivatamente la questione degli elementi a dimostrazione dell’economicità della gestione, ritenendo “del tutto inattendibile una gestione di attività commerciale, in zona di elevato interesse turistico, che realizza un utile di Euro 11.867,00 per l’anno 2007; e con una base societaria di tre persone che ricevono dalla attività un reddito di Euro 4.000,00 pro capite annuo. Nè la contribuente società ha offerto, con argomenti validi, le ragioni di una evidente antieconomicità della gestione societaria. A ciò non è di supporto il richiamo ad un canone di locazione di immobile che non è riconducibile all’attività societaria” (p. 4 sentenza).

– A fronte di tale argomentazione, logica e ancorata al fatto processuale, non vi è poi spazio neppure per una doglianza di insufficiente motivazione ove il mezzo venisse riqualificato dalla Corte ai sensi del paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto alla fattispecie si applica la disciplina normativa del riformulato n. 5, come interpretata dalla giurisprudenza citata, e la motivazione di cui si è dato conto non si colloca al di sotto del minimo costituzionale.

– Con il terzo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per mancato rispetto del canone dell’onere della prova tra contribuente ed Agenzia delle Entrate nell’applicazione dell’accertamento, a loro dire intervenuta senza tener conto delle peculiari condizioni concrete di esercizio ed applicando una percentuale di ricarico irrealistica.

– Il motivo non può essere accolto, ed è inammissibile perchè non è congruente con la decisione. Si ribadisce che “Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perchè basata su contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017, Rv. 645975 – 01; conforme, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14941 del 14/06/2013, Rv. 627156 – 01).

Nel caso di specie, in presenza di manifesta antieconomicità della gestione, la CTR risulta aver correttamente applicato il canone dell’onere della prova, gravando sui contribuenti la dimostrazione della regolarità delle operazioni contestate, onere che il giudice d’appello ha accertato non essere stato assolto, nè i ricorrenti vestono la propria prospettazione attraverso elementi di fatto non considerati dal giudice del merito, decisivi, e ritualmente introdotti nel processo. Non vi è stata dunque alcuna inversione dell’onere della prova, ma una valutazione del materiale probatorio offerto.

– In conclusione, il ricorso va rigettato per inammissibilità dei motivi e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite, secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 4.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

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