Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2778 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 06/02/2020), n.2778

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19189-2018 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MICHELANGELO n. 9, presso lo studio dell’avvocato MARCO CIPOLLONI,

rappresentato e difeso dagli avvocati BIAGIO PIGNATELLI e ANGELA

FAVARA;

– ricorrente –

contro

M.G., M.S., M.C.,

M.L. e P.D.T.M.L., rappresentati e difesi

dall’avvocato GIULIA SCHIAFFINO e domiciliati presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 54/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 3.5.1999 C.D. proponeva opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo n. 266/1999 emesso dal Tribunale di Padova in favore di P.D.T.M.L., M.C., M.L., M.G. e M.S., quali eredi di M. Lucio, per il pagamento di somma corrispondente ad Euro 10.487,94 a fronte dell’attività asseritamente svolta dal defunto in favore dell’ingiunto. Nella narrativa della citazione il C. esponeva di non aver ricevuto rituale notificazione del decreto e contestava comunque la debenza nel merito. Si costituivano nel giudizio di opposizione gli originari ingiungenti invocando la conferma del decreto tardivamente opposto.

Con sentenza n. 75/2003 il Tribunale rilevava la tardività dell’opposizione, rigettandola e confermando il decreto ingiuntivo opposto.

Interponeva appello il C. e la Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 893/2004, confermava la decisione di prime cure.

A seguito di ricorso interposto dal C. ed in conseguenza della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010 la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5999/2015, cassava la decisione di seconda istanza ritenendo che la notificazione del decreto ingiuntivo, tentata dagli ingiungenti nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c., non si fosse perfezionata, e rinviava la causa ad altra sezione della Corte lagunare.

Il giudizio, tempestivamente riassunto, veniva deciso con la sentenza oggi impugnata, n. 54/2018, con la quale la Corte di Appello di Venezia, in funzione di giudice del rinvio, riformava la statuizione del Tribunale, revocando il decreto ingiuntivo opposto e condannando il C. al pagamento di un importo inferiore a quello indicato nel decreto stesso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.D. affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso P.D.T.M.L., M.C., M.L., M.G. e M.S.. La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi, la nullità della sentenza impugnata e la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., degli artt. 214 e 216 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente valorizzati, ai fini della decisione, documenti non utilizzabili in quanto espressamente disconosciuti dal ricorrente. Inoltre, la Corte lagunare avrebbe accolto, sia pure in parte, la domanda di pagamento proposta dagli originari ingiungenti non rilevando che costoro non avevano fornito la prova dell’effettiva esistenza di un titolo legittimante l’attività professionale cui si riferiva la pretesa stessa.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi, la nullità della sentenza impugnata e la violazione e falsa applicazione degli artt. 184,194,132 c.p.c., degli artt. 2697 e 2702 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c., perchè la Corte veneziana avrebbe omesso di considerare che nel corso del giudizio di merito il C. aveva eccepito la nullità della C.T.U. disposta in prime cure perchè l’ausiliario aveva utilizzato, nella sua disamina, alcuni documenti non appartenenti agli atti del processo ed aveva valorizzato informazioni assunte in modo irrituale.

Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono inammissibili in quanto per il loro tramite il ricorrente sollecita, in realtà, un riesame delle valutazioni di fatto e dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuti dal giudice di merito, da ritenersi precluso in questa sede (sul primo aspetto, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790; sul secondo, cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330;)

Peraltro la decisione impugnata dà conto della circostanza che il C. aveva disconosciuto alcuni documenti (cfr. pag.11 della sentenza), ma afferma anche che “Tuttavia dagli altri documenti, di seguito in dettaglio esaminati e ritualmente prodotti dagli eredi M. con la memoria ex art. 180 c.p.c., si evince comunque la dimostrazione dello svolgimento dell’incarico di cui sopra”. Ne deriva che la Corte lagunare ha ritenuto comunque raggiunta la prova dell’esistenza del rapporto professionale a prescindere dai documenti oggetto di disconoscimento da parte del C..

Anche con riferimento alla C.T.U., la Corte veneziana afferma che “Contrariamente a quanto assume l’ing. C., deve rilevarsi che il CTU era stato espressamente autorizzato dal Giudice, all’atto del conferimento dell’incarico, ad assumere informazioni da terzi… Ad ogni buon conto le informazioni assunte da terzi assumono un rilievo marginale ai fini del decidere, considerata la ricostruzione effettuata dal CTU su base documentale e mediante sopralluogo, finalizzato ad accertare se l’opera progettata era stata effettivamente eseguita ed in quel luogo. Alla luce delle considerazioni che precedono, non sussiste la dedotta nullità della CTU e si ravvisano superflue le istanze istruttorie riproposte nel presente grado”(cfr. pag.12 della sentenza).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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