Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27778 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. II, 20/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 20/12/2011), n.27778

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8155/2006 proposto da:

C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, C/O ST GARDIN VIA L MANTEGAZZA 24, rapp.to e difeso

dall’avvocato STRADA Raffaele, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DARDANELLI 37, presso lo studio dell’avvocato CAMPANELLI

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dagli avvocati PINTO Giovanni,

MARINUCCI ROSALBA;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza RG. 889/05 Aff, Camera di Consiglio del TRIBUNALE

di TARANTO, depositata il 13/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/11/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

L’avv. C.R. propone ricorso per cassazione, illustrato da memoria, contro P.P., che resiste con controricorso, avverso l’ordinanza del Tribunale di Tarante del 1.2.2006 che, accogliendo per quanto di ragione il ricorso L. n. 794 del 1942, ex artt. 28 e 29, ha liquidato al professionista, detratto l’acconto già corrisposto, Euro 1449,38, oltre le spese, con compensazione di metà, rilevando come non fosse possibile stabilire il valore delle quote concordate dalle parti nell’atto di transazione e sulla base del valore complessivo degli immobili.

Si denunzia con unico mezzo violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, degli artt. 10, 11, 12, 14 e 15 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, riportando le conclusioni della comparsa redatta in favore del P. e proponendo quesito di diritto circa l’applicabilità del D.M. n. 127 del 2004, art. 6.

Il ricorso, così come proposto, esige l’esame degli atti ma tale indagine è preclusa al giudice di legittimità.

Appare utile richiamare principi consolidati in tema di rapporti tra cliente e professionista.

Questa Corte ha ripetutamente evidenziato come la parcella corredata dal parere espresso dal Consiglio dell’Ordine abbia, per il combinato disposto dell’art. 633 c.p.c., comma 1, n. 2 e art. 636 c.p.c., comma 1, valore di prova privilegiata, al pari di quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 633 c.p.c., comma 1, n. 1 e artt. 634 o 535 c.p.c., per i documenti in questi ultimi considerati, e carattere vincolante per il giudice esclusivamente ai fini della pronunzia dell’ingiunzione, e come tale, valore e carattere non abbia, per contro, costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista, anche nel successivo giudizio in contraddittorio, introdotto dall’ingiunto con l’opposizione ex art. 645 c.p.c.; nel quale, attesane la natura d’ordinario giudizio di cognizione, il creditore in favore del quale l’ingiunzione è stata emessa assume la veste sostanziale d’attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia stata contestazione da parte dell’opponente, in ordine così all’effettività delle prestazioni eseguite come all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste, circostanze la cui valutazione è, poi, rimessa al libero apprezzamento del giudice (Cass. 29.1.99 n. 807, 12.2.98 n. 1505, 7.5.97 n. 3972. 19.2.97 n. 1513, 30.10.96 n. 9514, 21.2.95 n. 1889, 26.1.95 95 n. 942, ma già, e pluribus, 21.3.83 n. 1977, 23.10.79 n. 5528, 28.11.78 n. 5610, 17.11.77 n. 5032, 12.7.75 n. 3498).

Nè la prevalente giurisprudenza di legittimità richiede che la contestazione mossa dall’opponente in ordine alla pretesa fatta valere dall’opposto sulla base della parcella corredata dal parere del Consiglio dell’Ordine abbia carattere specifico, per il determinarsi del suddetto onere probatorio a carico del professionista essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico, giacchè nel giudizio d’opposizione de quo non è applicabile, nei confronti dell’opponente-convenuto, il principio – desumibile dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, e valido, giusta lo specifico ambito d’operatività della norma, ai fini del solo ricorso per cassazione – per cui la censura intesa a prospettare la violazione delle tariffe professionali nella liquidazione delle spese di giudizio è ammissibile solo se articolata in una dettagliata disamina delle voci che s’intendono violate; onde ogni contestazione, anche generica, sollevata dall’opponente-convenuto in ordine all’espletamento dell’attività ed all’ortodossia dell’applicazione delle tariffe è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l’onere probatorio in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa (Cass. 26.1.95 n. 942, 16.8.93 n. 8724, 14.12.92 n. 13181. ma già 20.5.77 n. 2101).

Non può essere condivisa la minoritaria e datata giurisprudenza (Cass. 4409/79 e 3019/73, pur ripresa dall’isolata Cass. 242/97), per la quale la parcella del difensore sarebbe assimilabile ad un rendiconto in relazione al quale le contestazioni del destinatario non possono essere generiche ma devono riguardare le singole voci esposte; detta opinione non sembra, infatti, considerare che, in tal guisa argomentando e non potendosi tradurre la contestazione analitica in un semplice formalismo privo d’effetti giuridici, verrebbe, di fatto, invertito il principio dell’onere della prova, dovendosi poi richiedere dal convenuto-opponente autore di siffatta contestazione la dimostrazione del relativo fondamento, id est dell’insussistenza delle prestazioni dedotte dal professionista in parcella e della non corretta applicazione delle tariffe (prova negativa), così esonerandosi il professionista stesso dal fornire la dovuta dimostrazione dell’attività svolta e della legittimità della pretesa economica ad essa relativa (prova positiva); nè senza considerare che, come è stato altre volte ritenuto (Cass. 30.1.97 n. 932, 20.1.82 n. 384, 21.10.78 n. 4775), lo stesso parere del Consiglio dell’Ordine se esistente (e si esula nella fattispecie da detta ipotesi) costituisce un mero controllo sulla rispondenza delle voci indicate in parcella a quelle previste dalla tariffa e non può estendersi nè all’accertamento del valore della causa, onde svolgere tale controllo anche sulla corretta applicazione della tariffa pertinente, nè, tanto meno, all’effettività delle prestazioni parcellate, ragion per cui non ha valore di certificazione amministrativa e non da luogo. pertanto, ad alcuna presunzione di verità che esoneri il professionista dall’onere della prova ed imponga al cliente quello della contestazione specifica. Questa Corte, a parte la considerazione che in tema di procedura speciale come quella in esame, hanno rilievo soli i vizi di violazione di legge, ha ripetutamente evidenziato come il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere sostanzialmente – a prescindere dalla titolazione – vizi di motivazione della sentenza impugnata, richieda la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero la specificazione di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi; come non possa, invece, farsi valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento della parte ed, in particolare, non possa proporsi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame, diversamente risolvendosi il motivo di ricorso per cassazione non nella censura della motivazione data alla propria decisione dal giudice a quo ma in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice stesso.

Al riguardo va sottolineato che già il D.M. 24 novembre 1990, n. 392, art. 6, attenuando la rigidità del criterio adottato dall’art. 10 c.p.c., comma 1, ha stabilito, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, nel giudizi per pagamento somme, il riferimento alla somma attribuita alla parte vincitrice, piuttosto che quella domandata – Cass. 1.3.1995 n. 2338 – ma ci si riferisce all’accoglimento parziale e non al rigetto della domanda, nel qual caso, invece, il valore della controversia (art. 5 comma 1 stesso D.M.) è determinato dalla somma richiesta, salvo il potere di compensazione (Cass. 4.3.1998 n. 2407), ipotesi riferita alla liquidazione a favore del convenuto vittorioso.

Anche in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il Giudice non può limitarsi ad una determinazione globale dei compensi.

Ciò premesso, in relazione alla odierna censura nessuna indicazione, a parte una generica critica, viene data per individuare in concreto il valore della controversia in relazione all’esito della lite, attesa la revoca del mandato da parte del convenuto in corso di causa (mentre si è profilato – in caso di richiesta da parte dell’avvocato dell’attore – un conflitto di interessi nell’ipotesi di lite temeraria incoata con un dichiarato alto valore ritenuto improponibile) nè si deduce la violazione dei minimi tariffari, che legittimano l’impugnazione.

L’ordinanza impugna ha fatto leva sulla circostanza che non sia possibile stabilire esattamente “in questa fase del giudizio” il valore delle quote concordate sulla base del valore complessivo di uno degli immobili in contestazione, affermazione che rimane nella sostanza incensurata.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 800,00 di cui Euro 600,00 per onorari, oltre accesori.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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