Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27777 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 30/10/2019), n.27777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9612/2017 R.G. proposto da:

D.I.R., rappresentata e difesa dall’Avv. Marco Gamba,

con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

I.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Elena Corielli, con

domicilio eletto in Roma, via M. d’Azeglio, n. 33, presso lo studio

dell’Avv. Federica Menici;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3744/16

depositata il 10 ottobre 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che D.I.R. ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso la sentenza del 10 ottobre 2016, con cui la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame da lei interposto avverso la sentenza non definitiva emessa dal Tribunale di Milano il 9 febbraio 2015, che aveva pronunciato la separazione personale della ricorrente dal coniuge I.P., con addebito a carico della D., rigettando la domanda di addebito della separazione all’ I. e quella di riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore della ricorrente;

che l’ I. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 116 e 183 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della pronuncia in ordine alle reciproche domande di addebito della separazione, ha rigettato l’istanza di ammissione delle prove testimoniali da lei dedotte a sostegno dell’allegata riconducibilità della crisi coniugale al comportamento opprimente, assente e moralmente discutibile del coniuge e della assenza di nesso causale con la relazione extraconiugale da lei intrapresa, e ha omesso di valorizzare la relazione del c.t.u., da cui emergevano profili rilevanti della personalità dell’ I.;

che il motivo è inammissibile, in quanto il rigetto dell’istanza di ammissione delle prove testimoniali è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, configurabile a condizione che lo stesso si sia tradotto nell’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e quindi che la prova non ammessa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie in base alle quali si è formato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. III, 7/03/2017, n. 5654);

che la deduzione del predetto vizio postula d’altronde che la parte non si limiti ad indicare le prove non ammesse, trascrivendo nel ricorso i capitoli che ne costituiscono oggetto o fornendo le indicazioni necessarie per rintracciarli negli atti di causa, ma evidenzi l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, dimostrando che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, in modo da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Cass., Sez. I, 4/10/2017, n. 23194; 22/02/2007, n. 4178);

che nella specie, invece, la ricorrente si limita a richiamare i capitoli di prova dedotti nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, e nell’atto di appello, insistendo genericamente sull’idoneità degli stessi a dimostrare la riconducibilità della crisi coniugale al comportamento tenuto dal coniuge, senza censurare specificamente le ragioni addotte dalla sentenza impugnata a fondamento del giudizio d’irrilevanza e contraddittorietà delle circostanze capitolate, e senza tener conto dell’affermazione della Corte territoriale, avente carattere dirimente, secondo cui nessuna istanza istruttoria era stata avanzata in riferimento ai più gravi comportamenti addebitati all’ I.;

che pertanto, anche a voler prescindere dall’esclusivo riferimento della ricorrente al vizio di violazione di legge, le predette censure non possono trovare ingresso in questa sede, risolvendosi nella sollecitazione di un nuovo apprezzamento in ordine all’ammissibilità ed alla rilevanza dei mezzi di prova, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nelle sentenza impugnata, nonchè la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie risultano ancora censurabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134;

che per analoghi motivi risultano inammissibili le censure riflettenti l’omessa valorizzazione delle argomentazioni svolte nella relazione del c.t.u., delle quali la ricorrente si limita ad evidenziare genericamente l’idoneità a fornire “spunti di estrema rilevanza” in ordine alla personalità del coniuge, in quanto fondate su dichiarazioni rese da quest’ultimo, affermandone l’utilizzabilità come elementi indiziari, senza neppure considerare che le stesse non riguardavano fatti storici, ma profili caratteriali dell’ I., inidonei a giustificare una pronuncia di addebito della separazione, in mancanza della prova di comportamenti da lui tenuti in violazione dei doveri coniugali;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 151 e 156 c.c., ribadendo che, nell’attribuire rilevanza assorbente alla relazione extraconiugale da lei intrapresa, la sentenza impugnata ha omesso di procedere ad una valutazione globale e comparativa delle condotte tenute dai coniugi e di tener conto della situazione di crisi familiare già irrimediabilmente in atto a quell’epoca, ritenendo provato il nesso causale tra quest’ultima e la condotta infedele di essa ricorrente sulla base delle dichiarazioni rese dal c.t.u., senza che l’ I. avesse fornito elementi di prova decisivi al riguardo;

che il motivo è infondato, in quanto, nell’addebitare la separazione alla ricorrente, la Corte distrettuale si è correttamente attenuta al principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la parte che faccia valere la violazione dell’obbligo di fedeltà da parte dell’altro coniuge è tenuta a provare la relativa condotta ed il nesso causale con l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, mentre incombe a chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi l’inidoneità dell’infedeltà a rendere intollerabile la convivenza, l’onere di provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (cfr. Cass., Sez. VI, 19/02/2018, n. 3923; Cass., Sez. I, 14/02/2012, n. 2059);

che infatti, dato atto della mancata contestazione dell’intervenuta violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della ricorrente, la sentenza impugnata ha posto in risalto da un lato la mancata dimostrazione dei fatti allegati a sostegno dell’asserita anteriorità della crisi familiare rispetto alla relazione extraconiugale da lei intrapresa, dall’altro l’infondatezza dell’assunto secondo cui il coniuge avrebbe a lungo tollerato il tradimento, richiamando la relazione del c.t.u. soltanto ad ulteriore conforto degli elementi risultanti dagli atti di parte e dalla documentazione prodotta;

che nel contestare la rilevanza degli elementi posti a fondamento della decisione, la ricorrente sollecita ancora una volta una rivisitazione dell’accertamento dei fatti risultante dalla sentenza impugnata, non censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, ma esclusivamente per vizio di motivazione, configurabile nel caso di omessa valutazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza impugnata o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo, ovvero nel caso in cui la motivazione risulti totalmente assente o meramente apparente, oppure perplessa, incomprensibile o contraddittoria, al punto tale da rendere impossibile l’individuazione del percorso logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass., Sez. VI, 25/09/ 2018, n. 22598; Cass., Sez. II, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. III, 12/10/ 2017, n. 23940);

che il rigetto dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo, con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115,151 e 156 c.p.c., chiedendo, in caso di accoglimento delle censure riguardanti l’addebito della separazione, il riesame della domanda di riconoscimento dell’assegno di mantenimento;

che con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 433 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento dell’assegno alimentare, ha conferito rilievo all’apporto economico fornitole dal suo attuale compagno, non allegato dalla difesa dell’ I. e non avente comunque carattere di stabilità, in assenza di un rapporto di convivenza;

che, nell’escludere la sussistenza dello stato di bisogno, necessario per il riconoscimento del diritto agli alimenti, la Corte territoriale ha svolto due distinti ordini di considerazioni, autonomamente idonee a sorreggere la decisione adottata, e costituite rispettivamente dal contributo economico fornito alla ricorrente dal nuovo compagno e dalla mancata prova dell’impossibilità oggettiva di provvedere autonomamente al proprio sostentamento;

che, nell’impugnare la predetta statuizione, la ricorrente si limita a negare il predetto apporto ed a contestarne comunque la stabilità, senza censurare l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui ella è ancora in grado di procurarsi da sola i mezzi economici necessari per il suo mantenimento, avendo quarantacinque anni e non risultando affetta da patologie;

che nel caso in cui, come nella specie, la decisione sia fondata su una pluralità di ragioni logicamente e giuridicamente distinte, la mancata impugnazione di alcune delle stesse rende inammissibili, per difetto d’interesse, le censure relative alle altre, non potendo queste ultime condurre all’annullamento della sentenza, destinata a reggersi autonomamente sulla base delle ragioni non contestate (cfr. Cass., Sez. I, 29/12/2017, n. 31182; Cass., Sez. VI, 18/04/2017, n. 9752; Cass., Sez. III, 14/02/2012, n. 2108);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del contro-ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nell’ordinanza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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