Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27773 del 12/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/10/2021, (ud. 13/05/2021, dep. 12/10/2021), n.27773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33540-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

THESIS SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI, 267, presso

lo studio dell’avvocato DANIELA CIARDO, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARCELLA FERRANTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2248/4/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 10/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

rilevato che:

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso un avviso di accertamento relativo ad IVA, IRES e IRAP per l’anno d’imposta 2007 ritenendo che l’Ufficio fosse decaduto dal potere di accertamento in quanto non risultavano dimostrati i presupposti per il raddoppio del termine previsto dal D.P.R. n. 63 del 1972, art. 57;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate e accoglieva quello incidentale della parte contribuente (relativo alla compensazione delle spese in primo grado), affermando che, anche a voler prescindere dalla necessità di una denuncia per un reato tributario per il quale esista un obbligo in tal senso, occorrerebbe comunque che l’amministrazione procedente indichi con chiarezza e dimostri, sia pure in astratto, l’esistenza di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi per l’esistenza di una condotta punibile, mentre nel caso di specie l’Ufficio continua a riferirsi in modo generico al concetto di frode fiscale che non ha rilevanza di per sé sola nell’ordinamento penale, perché se bastasse tale generico riferimento la norma sul raddoppio dei termini sarebbe di fatto priva di contenuto bastando un’autoaffermazione dell’Ufficio anche postuma agli eventi sul carattere asseritamente fraudolento della condotta per legittimare a posteriori lo sforamento dei termini per l’accertamento.

L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato a due motivi di impugnazione mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, in quanto non sarebbe necessario che venga effettivamente presentata una denuncia penale, essendo sufficiente che vi sia soltanto un obbligo in tal senso;

con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, in quanto non sarebbe necessario che il Fisco indichi la specifica fattispecie di reato emersa dalla verifica ai fini dell’operare del raddoppio dei termini.

Il primo motivo è inammissibile.

Secondo questa Corte infatti è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente una “ratio decidendi” della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. n. 8755 del 2018).

Nella specie il motivo non impugna una ratio decidendi della sentenza ma un semplice argomento ad abundantiam, come è dimostrato dalla circostanza che la sentenza afferma che anche a voler prescindere dalla necessità di una denuncia per un reato tributario per il quale esista un obbligo di denuncia occorrerebbe comunque che l’amministrazione procedente dimostri l’esistenza di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi per l’esistenza di una condotta punibile.

Il secondo motivo di impugnazione è invece fondato.

Secondo questa Corte infatti, in tema di accertamento tributario: il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011 (nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inoperante il raddoppio dei termini per mancata prova della comunicazione della “notitia criminis” entro il termine di decadenza ordinario: Cass. n. 13481 del 2020; Cass. n. 17586 del 2019; Cass. n. 11171 del 2016); “2.7 E’ invece circostanza idonea a giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento senza il rispetto il termine dilatorio di 60 giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, l’apertura di un procedimento penale nei confronti del contribuente.

2.8 Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che “con specifico riferimento alle ragioni che possono consentire l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo, questa Corte ha ritenuto che può essere sufficiente, se specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario controverso, l’allegazione della sua partecipazione ad una frode perpetrata ai danni dell’Erario. Tale circostanza, infatti, se dimostrata, potrebbe richiedere un’anticipata notifica dell’atto impositivo, al fine di evitare il pericolo di una perdita fiscale per l’erario o, comunque, di circoscrivere gli effetti pregiudizievoli di tale perdita, ovvero di evitare la protrazione di una condotta in essere o, comunque, la reiterazione della stessa che presenti carattere gravemente illecito, anche in considerazione dell’entità dell’importo oggetto del recupero fiscale fatto valere con l’atto notificato.” (cfr. n. 26650/2020, n. 1289/2020 n. 21815/2018, n. 17211/2018, n. 14287/2014 e n. 2587/2014)” (Cass. n. 9585 del 2021).

La Commissione Tributaria Regionale non si è conformata ai predetti principi là dove – affermando che occorre che l’amministrazione procedente indichi con chiarezza l’esistenza di una condotta punibile, mentre nel caso di specie l’Ufficio si è riferito in modo generico al concetto di frode fiscale – ha ritenuto che non fosse sufficiente il riferimento ad una non meglio identificata frode fiscale dovendo invece essere astrattamente configurabile uno dei reati punibili in virtù del D.Lgs. n. 74 del 2000 – quando invece è sufficiente l’allegazione della partecipazione del contribuente ad una frode perpetrata ai danni dell’Erario, non potendosi e non dovendosi né l’Ufficio né il giudice tributario sostituirsi al giudice penale nelle valutazioni di competenza di quest’ultimo.

Deve inoltre rilevarsi che l’Agenzia delle entrate, nel rispetto del principio di autosufficienza, ha riportato in questo secondo motivo di impugnazione i passaggi rilevanti dell’avviso di accertamento impugnato, evidenziando le condotte fraudolente e in particolare la circostanza che una delle società consorziate fornitrici, totalmente diretta, finanziata e supportata dal punto di vista amministrativo, commerciale e organizzativo dal consorzio Thesis, attraverso il mancato versamento dell’IVA a debito, ha consentito a quest’ultimo la realizzazione di indebiti vantaggi fiscali; nello specifico il consorzio Thesis, con l’attuazione di tale meccanismo fraudolento, è riuscito a praticare prezzi particolarmente vantaggiosi ai propri clienti non dovendo includere negli stessi gli oneri fiscali che sono stati di fatto abbattuti dall’impresa consorziata attraverso l’omesso versamento del debito IVA (IVA regolarmente incassata dai propri clienti tra cui il consorzio Thesis).

Ritenuto pertanto inammissibile il primo motivo di impugnazione e fondato il secondo, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di impugnazione e fondato il secondo, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

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