Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27771 del 20/12/2011

Cassazione civile sez. II, 20/12/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 20/12/2011), n.27771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14657/05) proposto da:

S.P. e G.P., rappresentati e difesi, in

forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to ALTAMURA

Franco del foro di Milano e dall’Avv.to Antonio Battista del foro di

Roma ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in

Roma, via Acacia, n. 76;

– ricorrenti –

contro

T.S.C. di Tucci Andrea & C. s.n.c. (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.to

BONOMI Massimo del foro di Milano, in virtù di procura speciale

apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliata

presso lo studio del Dr. Gianmarco Grez – Grez Associati s.r.l. –

Servizi Legali in Roma, Lungo Tevere Flaminio n. 46;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 974/2005

depositata il 16 aprile 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Marcello Bonotto (con delega dell’Aw.to Massimo

Bonomi), per parte controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 703 c.p.c., depositato il 4 marzo 1999, S.P. e G.V. evocavano, dinanzi al Pretore di Milano, la T.C.S. di Tucci Andrea & C. s.n.c. esponendo che quest’ultima aveva realizzato una porta abusiva sulla parete di confine della loro proprietà in (OMISSIS), per cui chiedevano la condanna della resistente alla chiusura di detta porta.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della società convenuta, la quale assumeva che la porta era esistente all’epoca di acquisto dell’immobile, costituendone l’uscita di sicurezza, ed affermando la proprietà comune del portico, per cui svolgeva riconvenzionale per ottenere “la condanna degli istanti alla demolizione della porta e al ripristino dell’apertura de capannone sul portico, oltre al risarcimento dei danni, con ordinanza del 9.4.1999, il Tribunale (già Pretore) adito, disponeva la chiusura della porta, ed assunte le prove orali, con sentenza n. 11/2003 del 23.9.2003, confermava l’ordinanza, condannando la società resistente al pagamento delle spese relative alla chiusura della porte, oltre alle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto dalla T.C.S. di Tucci Andrea & C, con il quale lamentava la erroneità della motivazione relativa alla proprietà esclusiva del portico in capo ai ricorrenti, nonchè l’erronea declaratoria di inesistenza del passaggio all’epoca dell’acquisto del capannone avvenuto il giorno (OMISSIS), la Corte di appello di Milano, nella resistenza degli appellati, che proponevano appello incidentale per l’omesso esame della domanda di risarcimento danni, accoglieva il gravame e in riforma della sentenza impugnata, previa revoca dell’ordinanza pretorile del 9.4.1999, respingeva il ricorso possessorio.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale – sulla premessa che l’accertamento del possesso vantato dall’appellata avesse ad oggetto non già la proprietà esclusiva del portico, ma l’esistenza o meno al momento della vendita del capannone alla T.C.S. della porta comunicante fra il portico ed il medesimo capannone – pur nel contrasto delle risultanze probatorie, riteneva che l’esistenza della stessa dovesse essere collocata all’aprile 1997, per non avere i ricorrenti fornito la prova di apertura successiva all’acquisto, al fine di documentare il ricorso possessorio.

Aggiungeva che non poteva trovare accoglimento la domanda dell’appellante di demolizione della porta esistente e di ripristino dell’apertura del capannone sul portico, non essendo stata dimostrata la sua reale consistenza, nè quella di risarcimento danni; mentre riteneva gli ulteriori motivi dell’appello principale e di quello incidentale assorbiti nella statuizione adottata.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Milano hanno proposto ricorso per cassazione S.P. e G. V., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso la T.C.S..

Fissata udienza pubblica per il 14 aprile 2011, veniva rinviata al 6 ottobre 2011.

Hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., i ricorrenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 1168 c.c., nonchè degli artt. 703, 112, 113, 115, e 116 c.p.c., oltre ad inadeguata, erronea e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere il giudice del gravame, con radicale travisamento della realtà fattuale e processuale, ritenuto che la porta in contestazione esistesse quanto meno dal 1997 e non solo dal 1999 e ciò sulla base delle dichiarazioni testimoniali, senza tenere in alcun conto la prova documentale. Del resto la stessa resistente si era limitata a sostenere, nella comparsa di costituzione (del 18.3.1999) della fase interdicale e negli altri atti successivi del giudizio possessorio, la pretesa sussistenza del suo buon diritto ad abbattere il muro divisorio e a realizzare la porta in contestazione.

Aveva, in particolare, riconosciuto che i ricorrenti avevano murato la porta in precedenza esistente e proprio per ciò la resistente aveva sostenuto fosse “naturale e legittimo che la T.C.S. abbia provveduto al ripristino dello status quo” (pag. 5 della memoria del 18.3.1999 della resistente). Proprio per siffatta situazione il giudice di prime cure aveva ritenuto irrilevante che in precedenza vi fosse stata una porta comunicante fra le unità immobiliari delle parti in causa, essendo unicamente rilevante la circostanza che tale porta era stata chiusa e poi violentemente riaperta dalla T.C.S..

Detta circostanza avrebbe dovuto fare ritenere superata la deposizione della teste C.M., la quale si era evidentemente riferita alla sagoma della porta preesistente rimasta visibile anche dopo la muratura.

Preliminarmente si osserva che il possesso, definito dall’art. 1140 c.c., come “Il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale”, è tutelato dell’ordinamento giuridico con le azioni di reintegrazione e di manutenzione, previste dagli artt. 1168 e 1170 c.c., per garantire, nell’interesse collettivo, il diritto soggettivo alla sua conservazione contro gli atti di spoglio violento o clandestino e di molestia e per evitare turbamento alla pace sociale (ne cives ad arma veniant), a prescindere dalla esistenza di un titolo giustificativo, essendo considerato di per sè un valore meritevole di difesa.

Elementi costitutivi dello spoglio sono la violenza e la clandestinità, dai quali si può risalire all’animus spogliandi, mentre la violenza costitutiva dello spoglio, se usata sulle cose, consiste nel mutarne lo stato di fatto o la destinazione (v. Cass. 10 aprile 1970 n. 990).

L’esperibilità dell’azione di reintegrazione è soggetta al termine di un anno – decorrente dal sofferto spoglio o, se questo è clandestino, dalla scoperta dello spoglio – che, essendo perentorio, deve essere osservato a pena di decadenza (v. Cass. 3 luglio 1996 n. 6055). Il regime probatorio circa la tempestività della domanda di reintegrazione è nel senso che spetta al ricorrente a dimostrazione del presupposto dell’azione, ma grava sul convenuto l’onere di fornire la prova che lo spoglio è collegabile ad un atto più remoto si da comportare la decadenza dall’azione per decorso de termine annuale (v. Cass. 18 settembre 2009 n. 20228).

Ciò precisato, occorre rilevare che la sentenza impugnata, pur elencando gli elementi di giudizio posti a fondamento della decisione (contratto di acquisto, prove testimoniali,…) e che legittimerebbero la tutela possessoria azionata dai ricorrenti, non ha argomentato in maniera adeguata la rilevanza degli stessi al fine della determinazione dell’epoca in cui la T.C.S. avrebbe effettuato la demolizione del muro divisorio per mettere in comunicazione il capannone con il portico, ossia il momento in cui i coniugi S. – G. si sarebbero trovati nelle condizioni di scoprire lo spoglio, tenuto conto che lo stato dei luoghi all’aprile 1997 avrebbe dovuto corrispondere a quanto previsto nel contratto di vendita.

In altri termini, il giudice di appello ha disatteso la circostanza esposta dai coniugi S. – G., originari proprietari dell’intera costruzione, relativa alla preesistenza di una apertura, di cui sarebbe rimasta traccia nella volta in mattoncini, chiusa prima della cessione e consegna del capannone al dante causa della T.C.S., la Gedimer, la quale metteva in comunicazione il predetto locale con il cortile, e ciò per non consentire il transito a terzi nella loro proprietà esclusiva, circostanza che risulterebbe dimostrata oltre che dalla prova testimoniale assunta, dalle stesse ammissioni della resistente. Nella sostanza, la corte distrettuale ha valutato irrilevanti le deposizioni della Gedimer e del geom.

L. relative sia allo stato dei luoghi sia al contenuto del contratto di compravendita, senza però argomentare il proprio diverso convincimento, trattandosi di un punto decisivo al fine di determinare la tempestività della tutela azionata dai ricorrenti.

Pur vero che la produzione del titolo, dai quale derivi lo ius possidendi, non esime il deducente dall’onere di provare l’effettiva signoria di fatto sul bene nell’attualità che si assume sovvertita dall’altrui comportamento violento o occulto, anche quanto al termine annuale per l’esercizio dell’azione possessoria, considerato che la prova del diritto, in forza de quale si assume di possedere il bene, può servire soltanto a meglio determinare e chiarire i connotati del possesso, altrimenti provato, ma nella specie si tratta di un indizio da valutare unitamente agli altri elementi di riscontro e ciò non è avvenuto.

In altri termini, la motivazione data al riguardo non è conforme nè a diritto nè a corretti criteri logici, perchè proprio l’accertamento della esistenza di una apertura antecedente alla vendita del bene, poi pacificamente chiusa prima della cessione, doveva indurre il giudice del gravame a valutare la circostanza in ordine al momento dell’apertura del varco in contestazione, ossia se riferibile a fatto della resistente T.C.S. nell’immediatezza dell’acquisto ovvero in epoca successiva, tenendo conto di tutti gli elementi di giudizio, compresivi anche delle regole utilizzate nelle varie tecniche costruttive, trattandosi di fabbricato che aveva formato oggetto di vari rimaneggiamenti.

Di tutto ciò nella sentenza impugnata non vi è traccia non essendosi il giudice dell’appello attenuto ai principi sull’onere della prova circa la tempestività dell’azione, costantemente enunciati in materia da questa Corte, argomentando la propria decisione con motivazione non idonea ed insufficiente a rivelare l’iter logico seguito per coilegarsi ai precedenti giurisprudenziali in materia (v. Cass. 29 maggio 2006 n. 12740), per cui il motivo deve essere accolto.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., degli artt. 184 e 246 c.p.c., degli artt. 113, 115 e 184 c.p.c., degli artt. 325, 327, 669 terdectes e 739 c.p.c., comma 2, dell’art. 346 c.p.c., nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevabile anche d’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Con la denuncia di violazione di numerose norme processuali, nella sostanza i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere tenuto conto della sola deposizione della teste C. di controparte a fronte della non ammissione dei capitoli di prova della società resistente, senza peraltro che la medesima T.C.S. avesse provveduto all’impugnazione dell’ordinanza di rigetto delle istanze istruttorie. Inoltre, contesta la capacità della predetta teste ad essere escussa per essere portatrice di un proprio interesse nella causa.

I ricorrenti affermano, infine, la definitività del provvedimento cautelare adottato dal giudice di prime cure nella fase interdicale per mancata impugnazione da parte della resistente.

Quanto alla prima ragione di doglianza, relativa alla valutazione della prova, in particolare alle dichiarazioni della C. (anche con riferimento alla capacità della teste), nonostante la mancata ammissione delle prove articolate dalla T.C.S., rimane assorbita dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.

Il secondo profilo di censura è, invece, infondato atteso che, come tutti i provvedimenti cautelari, in cui va ricompreso anche quello concesso ai sensi dell’art. 703 c.p.c., nella formulazione anteriore alla riforma del 2005, ratione temporis, quello interdittale è caratterizzato da un rapporto di strumentalità con l’emanazione del provvedimento definitivo, non essendo idoneo a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato, per cui la pronuncia negativa sul merito è destinata a travolgere la decisione cautelare (v. Cass. 2 febbraio 2000 n. 1136).

In conclusione va accolto il primo motivo del ricorso, assorbito per quanto di ragione il secondo motivo, rigettato per il restante profilo.

Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, la quale, nel riesaminare il punto della controversia relativo alla censura accolta, si atterrà ai principi ed ai rilievi sopra enunciati ed esposti.

Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo per quanto di ragione, rigettato per la restante parte;

cassa la sentenza impugnata per quanto in motivazione e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano, anche per la liquidazione delle spese di questo grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011

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