Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27768 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 30/10/2019), n.27768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29908-2017 proposto da:

ALBERGO PARADISO DI A.C. SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, ed in proprio dai Sigg. C.M.,

CH.AT., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI

SANT’ANGELA MERICI 16, presso lo studio dell’avvocato ALVARO

SPIZZICHINO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE CIMINO;

– ricorrenti –

contro

R.G., C.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAPRANICA 78, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

MAZZETTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PIERLUIGI BONGIORNO GALLEGRA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1220/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 02/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- R.G. e C.S. hanno convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Chiavari la s.n.c. Albergo Paradiso (successivamente trasformatasi in s.r.l.) e anche i soci Ch.At. e C.M., per accertare lo scioglimento del rapporto sociale in relazione al socio C.G., perchè deceduto, e la loro qualità di eredi beneficiarie; nonchè per determinare e monetizzare la quota sociale del 50% della s.n.c. Paradiso, con connessa condanna di società e soci residui al pagamento della medesima.

Con sentenza del 3 novembre 2011, il Tribunale di Chiavari (all’esito di due consulenze tecniche, succedutesi nel processo) ha accolto le domande delle attrici, condannando dunque la società e i soci, con il beneficio della preventiva escussione del capitale sociale, a corrispondere a titolo di liquidazione della quota un determinato importo (dedotto l’acconto già corrisposto in via spontanea).

2.- La società Paradiso e i soci residui hanno impugnato tale decisione avanti alla Corte di Appello di Genova. Questa, dopo avere disposto una nuova consulenza d’ufficio, con sentenza depositata il 2 ottobre 2017 ha provveduto a rideterminare (in minus) il valore della quota, condannando società e soci al pagamento della somma così accertata.

3.- Di fronte alle doglianze di società e soci, la Corte di Appello ha rilevato che, “ai fini della liquidazione, non può farsi esclusivo riferimento al mero valore contabile della quota, quale risultante dalle scritture, occorrendo accertarne l’effettiva consistenza economica al momento dello scioglimento del vincolo”.

A tale scopo la Corte ha ritenuto che, tra l’altro, occorresse avere riguardo “alla quota di partecipazione della Albergo Paradiso s.n.c. nella Comunione Albergo residenze Hotel Moneglia, secondo la destinazione alberghiera in atto” all’epoca del decesso e “lo stato di conservazione e manutenzione dell’immobile”, nonchè alle “entrate ricavate a titolo di canoni per i contratti di affitto di azienda in essere, all’epoca, con la Pagoda Residenze Turistico Alberghiere s.r.l. e tra quest’ultima e Comunione Albergo Residenze Hotel Moneglia e la Albergo Paradiso s.r.l.”.

4.- Avverso questa pronuncia la società Paradiso e i soci Ch.At. e C.M. ha presentato ricorso, sviluppando due motivi di cassazione.

Hanno resistito, con controricorso, R.G. e C.S..

Le resistenti hanno anche depositato memoria.

5.- Il primo motivo di ricorso assume “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2289 comma 2 c.c.”.

Ad avviso dei ricorrenti, la Corte genovese ha fatto malgoverno del principio, espresso dalla norma dell’art. 2289 c.c., per cui la quota del socio uscente deve essere determinato sulla base dei “valori effettivi” delle attività e delle passività inerenti al patrimonio sociale. Nei fatti, essa ha compiuto una “indebita duplicazione” di valore della componente immobiliare facente capo alla società: che è stata valutata “non sulla base del solo valore intrinseco, ma anche sulla base dell’attività imprenditoriale ivi svolta da terzi”.

6.- Il motivo non merita di essere accolto.

In proposito va, prima di ogni altra cosa, ribadito il principio per cui “in una società di persone la liquidazione della quota del socio uscente non può essere redatta facendo riferimento all’ultimo bilancio sociale o comunque ai criteri di redazione del bilancio di esercizio”, dovendosi per contro “tenere conto dell’effettiva consistenza al momento dell’uscita del socio del patrimonio sociale” (Cass., 18 marzo 2015, n. 5449).

Ne segue, naturalmente, che occorre tenere conto di tutti i diversi cespiti che, nel concreto, formano l’attivo patrimoniale della società. Non può essere dubbio, poi, che immobile e azienda, che (tra le altre cose) utilizza anche l’immobile, siano entità (pure) giuridicamente distinte e, per sè, non destinate a sovrapporsi.

Il che nella specie sicuramente non è avvenuto, posto che il complesso aziendale è stato valutato – secondo quanto specifica la sentenza – “in base al criterio prettamente finanziario, che tiene in conto il valore del canone di affitto dell’azienda”; e quindi in termini reddituali. Laddove per l’immobile si è fatto riferimento al valore dato dal costo di realizzazione (allo stesso anche apportando – va pure aggiunto – una non insignificante riduzione).

7.- Il secondo motivo di ricorso assume “violazione e falsa applicazione dell’art. 2289 c.c., comma 1″.

Ad avviso dei ricorrenti, la legittimazione passiva nella domanda di liquidazione del socio uscente spetta alla società e non ai soci, in quanto l’obbligazione di liquidare la quota è esclusivamente a carico della società”. Ha quindi errato la Corte genovese – così si conclude – a condannare al pagamento della somma di liquidazione anche i soci residui.

8.- Il motivo non merita di essere accolto.

Come ha chiarito la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, 26 aprile 2000, n. 291 (come seguita poi da Cass., 16 gennaio 2009, n. 1040 e da Cass., 19 maggio 2016, n. 10332), il fatto che la domanda di liquidazione della quota del socio faccia valere un’obbligazione della società, non esclude la possibilità di vocare in giudizio anche i soci illimitatamente responsabili della stessa, in quanto tali ex lege responsabili – e garanti col loro patrimonio personale – dell’adempimento dell’obbligazione della società.

Ciò non toglie, è naturale, che per poter poi agire concretamente nei confronti dei patrimoni dei soci residui, occorrerà avere prima escusso infruttuosamente il patrimonio sociale (art. 2304 c.c.).

9.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 10.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre3 2019

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