Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27762 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 27762 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

PU

SENTENZA

sul ricorso 8193-2008 proposto da:
ITALFONDIARIO S.P.A. 07505870399 che ha incorporato
CASTELLO GESTIONE CREDITI S.R.L. nella qualità di
mandataria della CARAVIT CASSA DI RISPARMIO DELLA
ì013
2080

PROVINCIA DI VITERBO S.P.A. in persona del
Procuratore Dott. STEFANO PALAZZETTI, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15,
presso lo studio dell’avvocato GARGANI BENEDETTO,
che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

1

Data pubblicazione: 11/12/2013

- ricorrente contro

ROSSI

GIUSEPPE

RSSGPP52L08M082W,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 213, presso lo
studio dell’avvocato REBOA ROMOLO, che lo

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3725/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/09/2007, R.G.N.
6852/2002;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 12/11/2013 dal Consigliere
Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito l’Avvocato ROBERTO CATALANO per delega;
udito l’Avvocato ROMOLO REBOA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluslo
per l’inammissibilità in subordine per il rigetto
del ricorso,

2

rappresenta e difende giusta delega in atti;

Svolgimento del processo

1. Giuseppe Rossi, già socio coi coeredi (i fratelli
Giorgio e Giulio e la madre Nella Piscini) di Vincenzo
Rossi della s.d.f. “Comunione ereditaria Rossi Vincenzo”,
trasformatasi poi in Rossi Vincenzo snc di Rossi Giorgio e

dinanzi al tribunale di Viterbo la Cassa di Risparmio della
Provincia di Viterbo (d’ora in avanti anche solo CaRiVit),
che aveva concesso al padre – pochi giorni prima della sua
morte – un affidamento con garanzia ipotecaria fino ad un
massimo di tre miliardi e cento milioni di lire e poi
conseguito decreto ingiuntivo n. 479/94 anche nei confronti
dei detti coeredi, sulla cui base aveva iscritto ipoteca
sui beni anche di esso Giuseppe. Al riguardo, dedotto che,
in data 2.3.98, la creditrice aveva accettato
l’espromissione della COGERO da parte della Italcav srl,
formulata alla condizione dell’estinzione delle garanzie
reali già concesse, egli chiese accertarsi l’estinzione del
suo debito di garanzia, con ordine alla convenuta di
provvedere a cancellare l’ipoteca e la pregressa
segnalazione alla centrale rischi della Banca d’Italia, con
il risarcimento dei gravi danni patiti a seguito di
quest’ultima.
La convenuta protestò di non avere mai liberato
espressamente il debitore, ma l’adito tribunale con
sentenza n. 741/01 – accolse in parte la domanda, una volta
applicato l’art. 1300 cod. civ. all’espromissione
riscontrata nella specie, dichiarando non dovute dal socio
le somme recate dal decreto ingiuntivo ed ordinando alla
3

C. e poi nella sas COGERO di Gangi Arduino, convenne

CaRiVit la segnalazione dell’estinzione del debito alla
centrale rischi della Banca d’Italia, pure condannandola
alle spese di lite del grado.
Il gravame della CaRiVit fu poi rigettato dalla corte di
appello, la quale qualificò nuova – e perciò inammissibile

erede, corresse la motivazione sulla liberazione del
debitore solidale (applicato non già l’art. 1300, ma l’art.
1292 cod. civ., da quello desumendo un generale principio
di propagabilità dei fatti estintivi in materia di
obbligazioni solidali) e ritenne estinta anche l’ipoteca
concessa dall’ex socio in virtù della disamina dell’art. 5
del contratto di espromissione tra la Italcav srl e la
banca creditrice.
Per la cassazione di tale sentenza della corte
capitolina, resa il 19.9.07 col n. 3725 e notificata il
18.1.08, ricorre oggi, nella qualità di incorporante della
mandataria di CaRiVit, la Italfondiario spa, affidandosi a
quattro motivi; resiste con controricorso il Rossi; e, per
la pubblica udienza del 12.11.13, la ricorrente deposita
documentazione a sostegno della sua legittimazione
processuale, notificandone l’indice a controparte, nonché
memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione

2. L’eccezione preliminare del controricorrente sulla
carenza di prova della legittimazione di Italfondiario ad
agire per la CaRiVit è infondata, alla stregua della
ulteriore documentazione prodotta in vista dell’udienza di
discussione, depositata regolarmente anche con notifica
4

– la tesi della spettanza delle somme per la qualità di

della relativa nota alla controparte, documentazione tale
da integrare quella già versata all’atto del deposito del
ricorso. Infatti, l’atto di incorporazione di Castello
Gestione Crediti srl da parte di Italfondiario spa, dato
per presupposto nel ricorso ed identificato col n.

agli atti, in uno a certificazione del notaio rogante in
merito alla decorrenza degli effetti e soprattutto al
carattere universale della successione dell’incorporante.
2.1. In primo luogo, non può dubitarsi
dell’ammissibilità di una tale produzione.
Essa attiene al potere del ricorrente di proporre
l’impugnazione e, in quanto tale, è appunto pacificamente
riconducibile alla previsione generale dell’art. 372 cod.
proc. civ.: norma che consente, appunto in via eccezionale,
l’introduzione, nel materiale

lato sensu

istruttorio

sottoposto alla Corte di legittimità, di atti e documenti
nuovi, ma solo ed appunto in quanto finalizzati alla
dimostrazione della sussistenza, in capo a chi appare come
ricorrente nel ricorso, del potere di adire la Corte
stessa. D’altra parte, tanto è in linea pure con i principi
generali affermati in tema di prova della legittimazione
del successore della parte originaria a proporre
l’impugnazione o a resistervi: a maggior ragione – e
intuitivamente – quando l’evento che ha determinato
l’insorgenza è successivo all’instaurazione della lite o
almeno a quella del grado di giudizio conclusosi con il
provvedimento impugnato, sicché il documento è sì di per sé
certo nuovo, ma relativo ad un fatto nuovo sopravvenuto.
5

24751/7479 del 2.8.06 del notar Amato, risulta ora prodotto

2.2. Ciò posto, la documentazione prodotta è per di più
idonea a fondare la legittimazione di Italfondiario spa a
proporre il ricorso, dando dimostrazione del fatto che
l’originario creditore CaRiVit aveva concesso mandato a
Castello Gestione Crediti srl per la gestione della

oggetto di causa, nonché dell’ulteriore fatto
dell’incorporazione di Castello Gestione Crediti srl da
parte proprio di Italfondiario spa.
È invero noto che, in tema di fusione, dall’art. 2504bis

cod. civ., introdotto dalla riforma del diritto

societario (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) e che nel nuovo
testo si applica alla fattispecie in quanto successiva
(2.8.06) alla sua entrata in vigore, si desume il principio
per cui la fusione tra società si risolve oramai – ed a
differenza che per il passato e quindi per le
incorporazioni avvenute prima dell’entrata in vigore della
novella – in una vicenda meramente evolutivo-modificativa
dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria
identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (Cass. Sez.
Un., 17 settembre 2010, n. 19698) e mediante
un’integrazione reciproca delle società partecipanti alla
fusione, senza più dar luogo – come in tempo anteriore alla
richiamata novella – all’estinzione della società
incorporata (Cass. Sez. Un., ord. 8 febbraio 2006, n. 2637;
Cass. 3 maggio 2010, n. 10653).
Se, pertanto, non vi è estinzione della mandataria, non
opera nemmeno l’art. 1722, n. 4, cod. civ., a mente del
quale il mandato si estingue per la morte o per
6

posizione creditoria verso il Rossi e resa da quest’ultimo

l’estinzione (ove ci si riferisca a persona giuridica) del
mandatario: regola generale alla quale un antico
insegnamento (Cass. 28 marzo 1966, n. 822: conclusione
basata però sull’impostazione originaria della preminenza
del c.d.

intuitus personae nella causa del mandato e mai

conservazione dei contratti di impresa) non estende
l’esclusione, di cui alla seconda parte del medesimo n. 4,
in caso di mandato avente per oggetto il compimento di atti
relativi all’esercizio di un’impresa, se l’impresa non si
estingue.
2.3. Semplicemente, il mandato conferito alla Castello
Gestione Crediti srl, che faceva capo al patrimonio
originario dell’incorporata e che aveva ad oggetto
pacificamente anche la gestione del diritto di credito
azionato e quindi anche ogni azione di recupero o di
attivazione e difesa delle relative garanzie, viene a far
parte del patrimonio della società incorporante.
Quest’ultima succede insomma nel mandato stesso, a titolo
particolare, perché non è un soggetto diverso da quello
originario, ma proprio il medesimo, sia pure con una
struttura giuridica ed un assetto patrimoniale nuovi,
derivati da una vicenda di mera modificazione evolutiva di
quella di partenza.
Riguardo ad un tale unitario contratto di mandato si ha
allora una mera modificazione soggettiva, nel senso che
mandatario rimane pur sempre l’incorporata, sia pure come
modificatasi nell’incorporante: modifica che resta
ininfluente ai fini della prosecuzione delle attività ed
7

più verificata alla stregua dell’evoluzione dei principi di

alla persistenza dei reciproci poteri delle parti come resi
oggetto del contratto originario.
Va quindi applicato il seguente principio di diritto:
poiché non si verifica, per effetto del nuovo testo
dell’art. 2504-bis cod. civ., alcun fenomeno equiparabile

incorporato altra, già mandataria per la gestione di un
credito e delle relative controversie in forza di mandato
conferito dal creditore originario, subentra nel mandato
quale mandataria ed ha il potere di proporre l’impugnazione
della sentenza pronunciata nella controversia relativa al
credito compreso nel mandato.

3. Può quindi esaminarsi il ricorso di Italfondiario
spa, nella qualità.
Al riguardo, va pure premesso che, essendo la sentenza
impugnata stata pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla
fattispecie continua ad applicarsi, nonostante la sua
abrogazione (ed in virtù della disciplina transitoria di
cui all’art. 58, comma quinto, della legge 18 giugno 2009,
n. 69) l’art. 366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la
rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass.
27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887;
Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079). Pertanto:
3.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell’art. 360
cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità,
da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice
di merito; b) la sintetica indicazione della regola di
diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di
8

all’estinzione dell’incorporata, la società che ha

diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta
applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez.
Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio
2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8
novembre 2010, n. 22704); d) questioni pertinenti alla
perché, in contrario, difetterebbero di

decisività (sull’indispensabilità della pertinenza del
quesito, per tutte, v.: Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008,
n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28
settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n.
27901);
3.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno
formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono
consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo
del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente
ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo,
chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n.
16002; Cass. Sez. Un., l ° ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30
dicembre 2009, ord. n. 27680);
3.3. infine, è consentita la contemporanea formulazione,
nel medesimo quesito, di doglianze di violazione di norme
di diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto alla
imprescindibile condizione che ciascuna sia accompagnata
dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (per tutte:

9

ratio decidendi,

Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre
2011, n. 27649).
4. Va ora esaminato il primo motivo di doglianza.
4.1. Al riguardo, la ricorrente si duole, richiamando
l’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., di violazione e falsa

seguente quesito di diritto:

attesa l’emanazione di un

decreto ingiuntivo in danno di una società e del soci
illimitatamente responsabili, costituisce eccezione nuova
e, pertanto, inammissibile ex art. 345 c.p.c., il sostenere
per la prima volta in appello sulla base di una
incontestata ricostruzione dei fatti in tal senso operata
dalle parti nel primo grado di giudizio e ripresa nella
sentenza di primo grado – che il figlio del de cuius
(quest’ultimo titolare dell’affidamento in conto corrente
che aveva condotto alla pronuncia del decreto ingiuntivo in
danno della società allo stesso subentrata e dei predetti
soci), che sia anche socio ingiunto, sarebbe stato chiamato
a rispondere del debito riveniente dall’affidamento non
solo quale componente della predetta compagine sociale ma
anche quale erede tout court?
4.2. Sul punto, ribatte il controricorrente che mancano
nel ricorso gli stralci dei passaggi degli atti del primo
grado in cui la tesi della spettanza delle somme in virtù
della qualità di erede sarebbe stata sviluppata
dall’originaria convenuta, concludendo per la correttezza
della valutazione di novità della tesi difensiva dedotta da
controparte.

10

applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., concludendo col

4.3. Il motivo è, ove possano superarsi le cospicue
perplessità circa la conformità del quesito di diritto alla
rigorosa giurisprudenza richiamata sopra al punto 3.1,
manifestamente infondato.
È ben vero che il Rossi adduce egli stesso la propria

per ricostruire la vicenda, nella quale il fatto
costitutivo della ragione di credito di CaRiVit non è
quella qualità, ma – stando ai soli atti che è dato
esaminare, alla stregua di quanto riportato e riprodotto in
ricorso (v. pag. 14) – quella di socio della sdf Comunione
ereditaria, indicata questa come debitrice diretta.
Ma, in presenza di un diritto eterodeterminato, quale di
certo quello di credito azionato dalla Banca affidante nei
confronti della sdf succeditrice dell’originario affidato,
l’adduzione di una diversa

causa debendi

comporta la

diversità ontologica ed intrinseca del diritto stesso:
sicché la semplice pacificità della qualità di erede,
dedotta oltretutto ad opera di controparte ai soli fini di
inquadrare la vicenda, non abilita il creditore ad
invocare, per la prima volta in modo esplicito solo in
appello, una diversa ragione in base alla quale sarebbe
comunque stata sussistente la qualità di debitore in capo
alla controparte, che ha iniziato un’azione per far
dichiarare un fatto estintivo sopravvenuto della specifica
ragione di credito espressamente azionata, con
indissolubile riferimento ad uno specifico fatto
costitutivo.

5. Va ora esaminato il secondo motivo di doglianza.
11

qualità di erede, ma è altrettanto indubbio che tanto fa

5.1. Con esso la ricorrente si duole di “violazione e
falsa applicazione degli artt. 1292 e 1300 c.c. e degli
artt. 112 e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c.”, concludendo col seguente quesito di diritto:

la

dichiarazione di liberare espressamente un debitore in
solido, a seguito di una espromissione non cumulativa e non

già a seguito dell’adempimento, può consentire di far
ritenere liberati gli altri condebitori ai sensi e per gli
effetti dell’art. 1292 c.c.?
5.2. Sul punto, il controricorrente eccepisce la
violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ., per vizio di
formulazione del quesito, pure lamentandone la non aderenza
al motivo, il quale richiama anche due norme processuali,
quali gli artt. 112 e 342 cod. proc. civ.
5.3. Il motivo è inammissibile per non conformità del
quesito di diritto alla rigorosa giurisprudenza richiamata
sopra al punto 3.1: esso, a prescindere dalla valutazione
della sua congruenza con la

ratio decidendi esplicitata, è

privo di ogni riferimento alla fattispecie concreta ed alla
regola di diritto che si assumerebbe malamente applicata.
6. Va ora esaminato il terzo motivo di doglianza.
6.1. Con esso la ricorrente lamenta “violazione e falsa
applicazione dell’art. 1275 c.c. in relazione all’art. 360
n. 3 c.p.c.”, concludendo col seguente quesito di diritto:
l’espromissione liberatoria comporta l’estinzione del
credito ed estingue, quindi, le ipoteche giudiziali
iscritte – anche contro terzi – a garanzia del medesimo?
6.2. Anche in ordine al quesito relativo a tale motivo
il controricorrente eccepisce la violazione dell’art. 36612

p4\

bis cod. proc. civ., poi lamentando la mancata esposizione
in ricorso dell’espresso condizionamento dell’espromissione
alla liberazione espressa dei debitori originari.
6.3. Il motivo è inammissibile per non conformità del
quesito di diritto alla rigorosa giurisprudenza richiamata

caso dall’esame della sua congruenza con la ratio decidendi
della gravata sentenza – è privo di qualunque riferimento
alla fattispecie concreta ed alla regola di diritto che si
assumerebbe malamente applicata.
7. Va ora esaminato il quarto motivo di doglianza.
7.1. Con esso la ricorrente adduce “omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, determinata
dall’omessa lettura integrale di un documento. Art. 360 n.
5 c.p.c.”; e conclude così richiamato l’art. 366-bis cod.
proc. civ.: …
qua

la motivazione contenuta nella sentenza

de

appare essere quanto meno insufficiente laddove la

Corte territoriale ha ritenuto di poter fondare il proprio
convincimento solo sull’art. 5 della proposta di
espromissione sopra citata

e

trascurando totalmente di

esaminare il senso e la portata del precedente art. 4, che
prevedeva che tutte le garanzie reali esistenti in favore
della CARIVIT spa dovessero essere mantenute fino al
completo soddisfacimento del credito (non intervenuto di
certo a seguito dell’espromissione) della medesima.
7.2. Sul punto, ribatte il controricorrente che, in
disparte i profili di inammissibilità ai sensi dell’art.
366-bis cod. proc. civ., si tratterebbe di censura nuova o
13

sopra al punto 3.1: anch’esso – a prescindere pure in tale

comunque non sottoposta al giudice del gravame, ma che essa
sarebbe pure, ad ogni buon conto, infondata.
7.3. Ora, il ricorrente che proponga in sede di
legittimità una determinata questione giuridica, la quale
implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di

censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della
questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di
indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia
fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis
la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel
merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione
addotta come non esaminata dal giudice del merito e per
limitarsi ad alcune tra le numerosissime: Cass. 2 aprile
2004, n. 6542; Cass. 10 maggio 2005, n. 9765; Cass. 12
luglio 2005, n. 14599; Cass. 11 gennaio 2006, n. 230; Cass.
20 ottobre 2006, n. 22540; Cass. 27 maggio 2010, n. 12992;
Cass. 25 maggio 2011, n. 11471; Cass. 11 maggio 2012, n.
7295; Cass. 5 giugno 2012, n. 8992; Cass. Sez. Un., 12
marzo 2013, n. 6076; Cass. Sez. Un., 2 settembre 2013, n.
20074). E, nella specie, ancora una volta la ricorrente
pare confondere la mera adduzione della circostanza o dei
relativi elementi probatori con lo sviluppo di una tesi
coerente ed intelligibile fondata sulla medesima: in
. definitiva, non dimostrando in ricorso (nel quale, anzi,
parrebbe indicare di aver voluto avvalersi della scrittura
in parola soltanto nella comparsa conclusionale di appello:
v. inizio di pag. 25 del ricorso per cassazione) di avere
sottoposto, entro il termine di maturazione delle
14

evitare una statuizione di inammissibilità per novità della

preclusioni di merito o comunque subito dopo l’adduzione
della diversa tesi di controparte, la questione della
necessità di interpretare l’art. 5 della proposta di
espromissione anche alla luce del precedente art. 4.
Pertanto, la doglianza è inammissibile già solo per

7.4.

Va

comunque

soggiunto

che,

in

tema

di

interpretazione del contratto o di atti negoziali, il
sindacato di legittimità può avere ad oggetto non già la
ricostruzione della volontà delle parti, bensì solamente
l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo
logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per
assolvere la funzione a lui riservata, al fine di
verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in
errore di diritto (tra le molte, v.: Cass. 31 marzo 2006,
n. 7597; Cass. 1 aprile 2011, n. 7557; Cass. 14 febbraio
2012, n. 2109; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17324).
7.4.1. Al riguardo, l’interpretazione del contratto
costituisce operazione riservata al giudice di merito, le
cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità
soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale o per vizio di motivazione ed è censurabile in
sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri
legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di
motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o
incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del
procedimento logico seguito per giungere alla decisione. Ai
fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici,
non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle
15

questo motivo.

regole legali di interpretazione, ma è necessaria la
specificazione dei canoni in concreto violati, con la
precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i
quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al
principio di specificità del ricorso, con la trascrizione

rapporto o della parte in contestazione, ancorché la
sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone
solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una
sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il
ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di
motivazione dev’essere invece effettuata mediante la
precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero
delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli
elementi di giudizio di un significato estraneo al senso
comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da
mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da
un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti,
sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento
logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla
sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di
legittimità, non è necessario che quella data dal giudice
sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili
due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che
aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice,
dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata
privilegiata un’altra (v., tra le molte: Cass. 3 settembre
2010, n. 19044; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604).
16

del testo integrale della regolamentazione pattizia del

7.4.2. E, nella specie, se è vero che, in apparenza, il
tenore testuale dell’art. 4 parrebbe conservare efficacia
alle garanzie fino all’effettiva estinzione del debito
principale, altrettanto univocamente il successivo art. 5,
liberamente accettato dalla CaRiVit, condiziona

alcuni dei debitori, tra cui – per quel che qui interessa l’odierno controricorrente: e, già solo in astratto e
comunque in difetto di più analitiche e tempestive
specificazioni dell’onerata creditrice, nessuna evidente
incongruenza si coglie con immediatezza tra una
riaffermazione

di

principio

ed

una

immediatamente

successiva sua deroga o limitazione.
8.

Inammissibili i motivi diversi dal primo e

manifestamente infondato quest’ultimo,

il ricorso va

rigettato e la soccombente ricorrente condannata alle spese
del giudizio di legittimità in favore di controparte.
P.

Q.

M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la Italfondiario
spa, in pers. del leg. rappr.nte p.t. e nella qualità in
atti, al pagamento, in favore di Giuseppe Rossi, delle
spese del giudizio di legittimità, liquidate in C
10.400,00, di cui C 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
terza sezione civile della Corte suprema di cassazione,
addì 12 novembre 2013.

l’espromissione nel suo complesso alla liberazione di

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