Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27759 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 03/12/2020), n.27759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11160-2016 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIBIA 4,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GALIENA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALDO CAMPESAN;

– ricorrente –

contro

CASINO’ MUNICIPALE DI VENEZIA GIOCO S.P.A., già CASINO’ MUNICIPALE

DI VENEZIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ADALBERTO PERULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 562/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/10/2015 r.g.n. 900/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione;

udito l’Avvocato ALDO CAMPESAN;

udito l’Avvocato ADALBERTO PERULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Venezia, accogliendo l’impugnazione proposta dal Casinò Municipale di Venezia s.p.a., in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da P.S., dipendente del Casinò con mansioni di croupier addetto ai tavoli da gioco al reparto roulette, volta ad ottenere l’accertamento del suo diritto a percepire il trattamento economico minimo garantito da una clausola (art. 48) del contratto collettivo aziendale vigente a partire dal 1990, reiterata nei vari contratti succedutisi nel tempo.

2. La Corte territoriale ha ritenuto corretto, sulla base dell’interpretazione logico letterale della clausola contrattuale, il criterio adottato dal Casinò, secondo cui il minimo garantito sulle mance pro capite, riconosciuto dalla previsione collettiva, doveva avvenire con riferimento alla sola quota di incassi destinata ai dipendenti, ossia sul 50% anzichè sul 100% degli incassi totali.

3. Contro la sentenza il P. propone ricorso per cassazione articolando cinque motivi, cui resiste con controricorso il Casinò di Venezia Gioco s.p.a., già Casinò municipale di Venezia s.p.a..

4. Parte controricorrente ha depositato memoria in relazione alla adunanza camerale fissata presso la sesta sezione civile in data 10 maggio 2017 all’esito della quale la causa è stata rimessa alla IV Sezione per la trattazione in pubblica udienza; ha inoltre depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. in relazione alla odierna udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli accordi collettivi e degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1367,1368 e 1369 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.

Premesso che, per come pacifico in causa, la genesi della previsione collettiva risiedeva nell’esigenza di tutelare i dipendenti del Casinò s.p.a. a fronte dell’eventualità di una possibile diminuzione del monte mance pro capite quale conseguenza del previsto aumento dell’organico, che a tal fine era stato convenuto che il minimo garantito dovesse corrispondere a Lire 2.790 “per ogni milione indiviso di mancia”, deduce l’errore del giudice di merito, frutto della violazione delle regole legali di interpretazione, nel ritenere che il relativo importo dovesse calcolarsi con riferimento alla sola quota di incassi destinata ai dipendenti, ossia sul 50% anzichè sul 100% degli incassi totali; tanto era dimostrato dalle richiamate espressioni algebriche alla stregua delle quali, in sintesi, risultava che l’individuazione dell’importo di Lire 2.790, quale minimo garantito per “ogni milione indiviso di mancia”, era frutto della operazione di suddivisione di ciascun milione per metà e della ulteriore suddivisione del relativo risultato per il divisore 179 (corrispondente al numero complessivo dei punti mancia spettanti al personale in organico all’epoca della introduzione della clausola in oggetto); posto che all’importo di Lire 2.790 si era approdati suddividendo il milione complessivo di mance tra la quota riservata ai dipendenti, pari al 50% del totale, e quella riservata al Casinò, cui spettava il residuo 50%, non appariva giustificata la ulteriore riduzione alla quale si perveniva sulla base della interpretazione della sentenza impugnata secondo la quale la verifica del rispetto del minimo garantito andava effettuata in relazione al solo monte mance di pertinenza dei lavoratori; rispetto a tale circostanza parte ricorrente formula la denunzia di omesso esame.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli accordi collettivi e degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1367,1368 e 1369 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.

Si duole della non corretta individuazione del contenuto concettuale dell’espressione utilizzata dalle parti collettive riferita al “milione indiviso di mancia” quale base di calcolo per la determinazione del minimo garantito in favore dei dipendenti. In particolare, sostiene che con tale espressione le parti avevano inteso riferirsi al milione di mance introitato complessivamente dal Casinò e non al milione di mance di spettanza dei lavoratori; il vizio motivazionale denunziato concerne la omessa valutazione ” del fatto decisivo del giudizio ovvero in ordine al significato effettivo (e matematico) della locuzione “milione indiviso””.

3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli accordi collettivi e degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1367,1368 e 1369 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Contrasta la valorizzazione della circostanza che la clausola collettiva ribadiva il principio di ripartizione al 50% delle mance fra i lavoratori e il Casinò, principio non inficiato dal riferimento al minimo garantito di Lire 2.790 pro quota per ogni milione indiviso; ribadisce che la logica e la ratio sottese alla clausola contrattuale di salvaguardia erano finalizzate a calmierare gli effetti delle nuove assunzioni sui dipendenti già in forze e che il calcolo del minimo garantito sul 100% degli incassi era coerente con essa; la lettura del giudice di appello snaturava completamente quella che era stata la comune intenzione delle parti; in questa prospettiva l’espressione “comunque” che introduce la previsione del minimo garantito, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, stava a significare che, a prescindere dalla ripartizione al 50% delle mance fra il Casinò e i dipendenti, il minimo garantito doveva essere computato sul monte mance complessivo e non su quello di pertinenza dei soli lavoratori.

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli accordi collettivi e degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1367,1368 e 1369 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Censura la decisione in punto di ricostruzione della comune volontà delle parti e richiama a conforto della interpretazione propugnata l’Accordo in data 5.4.2007 con il quale l’Azienda si era resa disponibile a variare la percentuale di divisione delle mance nel senso del riconoscimento di una più favorevole quota percentuale ai lavoratori; assume che tale dato era rivelatore della consapevolezza del Casinò della corposità del valore economico del parametro di Lire 2.790, fino ad allora utilizzato. Nella prospettiva della valorizzazione della condotta successiva delle parti al fine della ricostruzione della loro comune intenzione deduce il travisamento delle deposizioni testimoniali richiamate in sentenza e denunzia l’omesso esame di fatto decisivo e controverso.

5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli accordi collettivi e degli artt. 1362,1363,1364,1365,1366,1367,1368 e 1369 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Censura la sentenza impugnata per avere, nella ricostruzione della comune volontà delle parti, valorizzato le modalità di attuazione nel tempo della clausola in oggetto e contesta la significatività probatoria attribuita dal giudice di appello alla documentazione di controparte.

6. In via preliminare devono ritenersi non idonee a definire il giudizio le eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente. La nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 – che attribuisce a questa Corte, limitatamente ai contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, un sindacato in funzione “paranomofilattica” (Cass. 18/12/2014 n. 26738; Cass. 19.3.2014; Cass. 19/03/2014 n. 6335; Cass. Sez. Un. 23/09/2010, n. 20075) -, non esclude per i contratti collettivi di carattere aziendale, quale quello in oggetto, il sindacato di legittimità, che può estendersi all’interpretazione di ogni atto negoziale riguardo ai vizi di motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oppure alla violazione delle norme di ermeneutica dettate dagli artt. 1362 c.c. e ss. ai sensi del n. 3 disposizione citata; non è neppure dirimente l’eccezione di improcedibilità del ricorso per omesso deposito integrale della contrattazione collettiva di riferimento a mente dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (in tal senso si richiama Cass. Sez. Un. 20075/2010 cit.); infine, non si ravvisa un difetto di autosufficienza, dal momento che il testo della disposizione collettiva oggetto di controversia, oltre che negli atti, è riportato nella stessa sentenza impugnata, anche nella versione successiva del 1999, concordemente ritenuta difforme solo da un punto di vista lessicale dalla precedente.

7. Tanto premesso, i motivi di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione in quanto tutti intesi a contrastare il risultato interpretativo al quale è pervenuta la decisione impugnata, sono infondati.

7.1. La clausola del contratto collettivo aziendale, vigente a partire dal 1990 e, per come pacifico, reiterata seppure con formulazione lessicalmente diversa, nei contratti aziendali successivi, nel suo tenore testuale riportato nella sentenza qui impugnata è il seguente: “Per tutta la durata del presente contratto le mance ai tavoli da gioco sono ripartite tra l’Azienda e il personale nella misura percentuale in atto e cioè: roulette, 30/40, craps e black jack: 50% all’Azienda e 50% al personale; comunque agli aventi diritto del reparto roulette sarà assicurato, da parte dell’Azienda, un minimo garantito di Lire 2.790= pro-quota per ogni milione indiviso di mancia, secondo la ripartizione vigente al 31/12/1990, garantendo il rispetto dell’istituto previsto dall’Art. 3 del presente contratto; b) chemin de fer: 54% all’Azienda e 46% al personale”.

7.2. Il risultato interpretativo cui è approdata la Corte di merito nell’affermare che il calcolo del minimo garantito sulle mance pro capite doveva avvenire con riferimento alla sola quota di incassi delle mance destinata ai dipendenti, ossia sul 50% anzichè sul 100% degli incassi totali è stato fondato sulle seguenti considerazioni: a) era da escludere che la modifica intervenuta tra la dizione originaria dell’art. 48 contratto collettivo aziendale che faceva espresso riferimento alla somma di Lire 2.790 quale minimo garantito pro quota per ogni milione indiviso di mancia e quella delle versioni successive che avevano utilizzato la espressione “minimo garantito individuato pro quota per milione indiviso di mancia” avesse portata sostanziale in quanto l’importo minimo garantito era sempre rimasto quello di Lire 2.790 pro quota per ogni milione indiviso di mancia; b) la disposizione relativa al minimo garantito era stata introdotta per assicurare i dipendenti addetti al settore roulette dal rischio di una riduzione di mance pro capite quale conseguenza dell’aumento dell’organico determinata dall’apertura di una nuova casa da gioco a (OMISSIS) e dalla diffusione dei giochi che non comportavano la riscossione di mance a discapito dei giochi tradizionali; c) il valore di Lire 2.790, per come non contestato e comunque confermato dalla prova orale, era stato ottenuto dividendo Lire 500.000 (pari alla metà di un milione, e corrispondente alla percentuale di mance incassate destinate al personale) per 179, corrispondente al numero totale dei punti mancia del personale in organico al dicembre 1990 calcolato in applicazione del regolamento; il risultato di tale operazione, pari a Lire 2.793 era stato arrotondato a Lire 2.790; d) a fronte di una clausola di significato letterale non chiaro ed inequivoco, astrattamente idonea a sorreggere entrambe le contrapposte tesi delle parti, lo sforzo interpretativo doveva muovere dal rilievo che le parti stipulanti avevano voluto letteralmente tenere fermo il principio della ripartizione delle mance incassate, fra i lavoratori ed il Casinò nella misura in atto, pari al 50% ciascuno; alla luce di tale puntualizzazione andava letta la frase successiva la quale nel precisare comunque agli aventi diritto del reparto roulette sarà assicurato, da parte dell’Azienda, un minimo garantito di Lire 2.790= pro-quota per ogni milione indiviso di mancia, aveva solo inteso evocare il punto di partenza del meccanismo di determinazione del minimo garantito e cioè il milione indiviso di mance ma non anche riconoscere che l’integrazione del minimo garantito dovesse essere effettuata sull’intero monte mance; non decisivo al fine della opposta lettura l’avverbio “comunque”, che introduce la proposizione, il cui significato era quello di prevedere una deroga del tutto limitata al principio della divisione a metà; le parti non avevano inteso introdurre una regola di ripartizione delle mance in sè ma avevano, fermo il criterio di ripartizione, inteso porre a carico della parte datoriale solo un obbligo di integrazione in via eventuale, al quale il datore di lavoro avrebbe fatto fronte attingendo alla propria metà; l’espressione milione indiviso di mancia preceduta dal riferimento al pro quota era idonea a sorreggere l’affermazione che il minimo garantito dovesse essere verificato con riferimento alla sola quota di spettanza dei dipendenti e non anche sull’intero; e) il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore, rilevante ex art. 1362 c.c., quale ricostruito alla luce delle emergenze in atti, risultava conforme alla interpretazione adottata nè vi erano elementi, non allegati dalle parti, per ritenere sotto il profilo della comune intenzione degli stipulanti che il Casinò avrebbe accettato la introduzione di un meccanismo che non si limitava a prevedere un obbligo di integrazione su un importo minimo ma finiva con l’addossare alla sola parte datoriale le conseguenze negative per i dipendenti connesse all’aumento di organico, con effetto “assai peggiorativo” per la parte datoriale.

7.3. Le argomentazioni della Corte di merito che hanno condotto al risultato interpretativo contestato dall’odierno ricorrente non sono inficiate dalle censure articolate con i motivi in esame.

Richiamato quanto premesso al paragrafo p.6 in tema di funzione “paranomofilattica” riservata alla Corte di legittimità in relazione alla interpretazione dei contratti collettivi nazionali, e ribadito che nel caso in oggetto si verte nella diversa ipotesi di contratto aziendale, si osserva che la condivisibile giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione; ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 03/09/2010 n. 19044; Cass. 12/07/2007 n. 15604, in motivazione; Cass. 22/02/2007 n. 4178) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. 06/06/2013, n. 14318; Cass. 22/11/2010 n. 23635).

7.4. Le censure formulate non sono conformi a tali prescrizioni posto che la denunzia, sotto vari profili, della violazione delle regole legali di interpretazioni, nelle quali si sostanziano i motivi in esame, si sviluppano secondo un’impostazione per così dire meramente contrappositiva, che si limita a prospettare una possibile, diversa, interpretazione della clausola senza evidenziare alcuno specifico errore di diritto rifluente nella violazione dei criteri ermeneutici di legge o alcuna implausibilità o lacunosità logica della ricostruzione operata dal giudice di merito circa il significato negoziale della pattuizione in controversia; la denunzia di omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, non è articolata in conformità della previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la quale esige la deduzione di omesso esame di un fatto decisivo, e cioè di un fatto un fatto inteso nella sua accezione storico fenomenica, principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), evocato nel rispetto de gli oneri di allegazione e produzione posti a carico del ricorrente ai sensi dell’art. 366 c.p.p., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.p., comma 2, n. 4 (ex plurimis Cass. Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053).

7.5. Può soggiungersi, inoltre, con specifico riferimento al primo motivo, che in relazione alla denunzia di “omesso esame” formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non viene indicato alcuno specifico fatto storico, nel senso chiarito sub p. 7.4., o, il cui esame, avente valenza decisiva, sarebbe stato omesso dalla Corte di merito; men che meno tale fatto potrebbe identificarsi, come sembra prospettare parte ricorrente, con il meccanismo, implicante la dimidiazione del complessivo monte mance attraverso il quale si era pervenuti alla determinazione del parametro di Lire 2.790 al quale rapportare la individuazione del minimo garantito; ciò per l’assorbente considerazione che si tratta di un dato espressamente considerato dal giudice di merito (v., in particolare, pagg. 14 e 15). In merito all’osservazione del ricorrente, sorretta dal richiamo a formule algebriche, che nell’operazione all’esito della quale è stato determinato l’importo minimo garantito c’è già la ripartizione percentuale delle mance tra Casinò e dipendenti di talchè non sarebbe consentito operare una ulteriore dimidiazione del monte mance di riferimento, si rileva che l’argomento della pregressa ripartizione percentuale non è decisivo apparendo, anzi, coerente da un punto di vista logico, che una volta presa quale base aritmetica per determinare il minimo garantito sul totale del milione di mance la metà, pari a Lire 500.000, anche la base di calcolo della integrazione sia calcolata sulla metà di pertinenza dei lavoratori secondo esigenze di omogeneità dei parametri in discussione.

7.6. Il secondo motivo, fermo quanto osservato in via generale in tema di impostazione meramente contrappositiva quanto alla denunzia di violazione delle regole di interpretazione, è inammissibile laddove denunzia omesso esame di un fatto storico con riferimento alla espressione “ogni milione indiviso di mance” (v. ricorso pag. 31 in fine), posto che tale riferimento non evoca alcun fatto storico fenomenico nel senso chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte ma si configura come l’oggetto medesimo dell’attività interpretativa della Corte di merito la quale, peraltro, si è confrontata specificamente con i possibili contenuti di tale espressione.

7.7. Analoghe considerazioni sorreggono il rigetto del terzo motivo di ricorso mancando anche in questo caso, in relazione alla denunzia di vizio motivazionale, la corretta identificazione del fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso; quanto alla violazione delle regole legali di interpretazione l’illustrazione del motivo non chiarisce in che modo si sarebbe consumata la violazione degli specifici criteri legai di interpretazione; in particolare parte ricorrente, in relazione al possibile significato dell’avverbio comunque, presente nella clausola, si limita ad opporre alla interpretazione della Corte la propria interpretazione in termini assertivi, senza confrontarsi con i passaggi argomentativi della sentenza impugnata che hanno portato alla soluzione contrastata.

7.8. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso privo di pregio in quanto incentrato sul significato probatorio di elementi tratti da acquisizioni istruttorie (tali ad es. l’ipotesi di accordo dell’anno 2007 e le deposizioni testimoniali) e cioè su profili incentrati su valutazioni di merito il cui apprezzamento è sottratto al sindacato di legittimità; tanto assorbe il rilievo di inammissibilità, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, legato alla mancata compiuta trascrizione delle risultanze documentali e delle deposizioni testimoniali ed alla omessa indicazione di elementi utili alla relativa reperibilità nell’ambito del fascicolo di merito.

7.9. Infine è da respingere anche il quinto motivo che si risolve nella reiterata prospettazione di una differente interpretazione della clausola in controversia argomentata con riferimento alla documentazione e alle deposizioni testimoniali già esaminate dalla Corte territoriale e, quindi, intesa a sollecitare un sindacato precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357).

8. Al rigetto del ricorso segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.

9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 20/09/2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto o per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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