Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27751 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 03/12/2020), n.27751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10929-2017 proposto da:

Z.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

LOTARIO, 6, presso lo studio dell’avvocato SILVIA TAGLIENTE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE AGRESTA;

– ricorrente –

contro

M.B., nella qualità di legale rappresentante pro tempore

dell’edicola ” M.B.”, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

COLETTA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 120/2016 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 18/10/2016 r.g.n. 61/2015.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata in data 18.10.2016, accogliendo il gravame interposto da M.B., in qualità di legale rappresentante pro-tempore dell’Edicola ” M.B.”, nei confronti di Z.R. – operaia di IV livello, lavoratrice subordinata a tempo indeterminato alle dipendenze della prima, dal 2.10.1999 sino al 17.1.2011, data in cui le è stato intimato il licenziamento -, avverso la pronunzia del Tribunale di Locri n. 1800/2014, resa il 17.12.2014, ha respinto l’originaria domanda della lavoratrice, diretta ad ottenere la condanna della parte datrice al pagamento della somma di Euro 7.990,51 per il TFR asseritamente maturato relativamente al periodo intercorrente tra il 1999 ed il 2011, oltre interessi legali;

che la Corte di merito, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha osservato che “alla luce dei principi affermati da orientamento giurisprudenziale consolidato, risulta infondata la domanda della Z. in quanto in atti si rinviene la busta paga relativa a gennaio 2011, depositata da entrambe le parti, nella quale è riportato, fra le varie voci, il TFR maturato, e tale documento risulta sottoscritto dalla originaria ricorrente in corrispondenza della dicitura “data e firma per ricevuta/quietanza”” e che “la stessa busta paga depositata da entrambe le parti risulta recare in tutte e due le copie la sottoscrizione della lavoratrice, mai contestata da quest’ultima, ed in questo caso, il documento costituisce la prova dell’avvenuto pagamento di tutte le somme ivi riportate, compreso quindi il TFR, posto che la Z., apponendo la propria firma anche “per quietanza”, ha attestato l’avvenuta corresponsione di tutti gli importi indicati. In questo contesto competeva alla lavoratrice l’onere di dimostrare il mancato o parziale pagamento delle somme richieste”;

che per la cassazione della sentenza ricorre Z.R. articolando due motivi, cui resiste con controricorso M.B.;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 4 del 1953, artt. 1 e 3; art. 2697,2735 e 1362 c.c., e si deduce che i giudici di seconda istanza non avrebbero considerato che “la giurisprudenza ha distinto gli effetti scaturenti dall’emissione delle buste paga a seconda che le indicazioni in esse contenute siano da utilizzare nei confronti del datore o del lavoratore”, in quanto “per il datore di lavoro i prospetti e le buste paga hanno natura di confessioni stragiudiziali, con conseguente applicazione del regime dell’art. 2735 c.c., secondo cui la piena efficacia di prova legale è vincolante per il giudice quando la dichiarazione, sfavorevole all’azienda, assume carattere di univocità ed incontrovertibilità (Cass. n. 12769/2003), con particolare riferimento alle somme in essa indicate e dovute al lavoratore”, mentre, “con riferimento alla posizione del lavoratore, giurisprudenza costante e consolidata ha affermato che la consegna della busta paga, anche se è accompagnata dalla sottoscrizione del dipendente “per ricevuta”, non è sufficiente di per sè a dimostrare l’avvenuto pagamento della retribuzione, ma deve essere accompagnata da ulteriori elementi di prova che possano far presumere l’estinzione dell’obbligazione (Cass. nn. 14411/2011; 24186/2008); 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia”, e si lamenta che la Corte di merito non avrebbe correttamente valutato le dichiarazioni rese dal teste C.V., il quale, contrariamente a quanto asserito dal giudicante, avrebbe ammesso che “il pagamento” (delle somme dovute a titolo di TFR) “è avvenuto in unica soluzione all’atto della consegna della busta paga e della sottoscrizione della stessa, con conseguente esplicita negazione della sottoscrizione della busta paga per quietanza”; a parere della ricorrente, se i giudici di seconda istanza avessero correttamente esaminato “tale circostanza riferita dal teste, e affrontata dalle parti nell’atto di appello e nella comparsa ex art. 436 c.p.c.”, sarebbero giunti “ad altra conclusione, in quanto la stessa avrebbe fatto venire meno l’assunto sul quale si basa la motivazione, ovvero la sottoscrizione della busta paga per quietanza all’atto della consegna della stessa e della ipotizzata consegna della somma relativa al TFR, con la conseguenza che non sussistendo i presupposti per l’inversione dell’onere della prova ed incombendo la prova del pagamento sul datore di lavoro, l’appello avrebbe dovuto essere rigettato, con integrale accoglimento della domanda dell’odierna ricorrente”;

che il primo motivo non è fondato, in quanto la Corte territoriale è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn. 13150/2016; 9503/2015; 10193/2002; 9588/2001; 7310/2001; 1150/1994) -, secondo cui l’onere della prova circa la non corrispondenza tra buste paga ed erogazioni effettive può incombere sul lavoratore solo in caso di provata regolarità della documentazione e del rilascio di quietanze da parte del dipendente, spettando, in caso diverso, al datore di lavoro la prova rigorosa dei pagamenti eseguiti; con la conseguenza che la sottoscrizione del lavoratore sotto la dicitura “per ricevuta” apposta sulla busta paga non conferma in maniera univoca l’effettivo pagamento della somma indicata nel documento, non avendo, secondo i giudici di appello, valore di quietanza e potendo fare riferimento alla sola ricevuta della busta paga e non anche della somma in essa indicata;

che, del tutto ineccepibile risulta, infatti, l’iter motivazionale della Corte di Appello, laddove, richiamandosi al consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, non avalla la ratio decidendi del giudice di prima istanza e, nell’osservare che è onere del datore di lavoro di consegnare ai propri dipendenti i prospetti contenenti tutti gli elementi della retribuzione (conformemente al disposto anche della L. n. 4 del 1953, artt. 1 e 3) – e che, comunque, i detti prospetti, anche se eventualmente sottoscritti dal prestatore d’opera con la formula “per ricevuta”, non sono sufficienti per ritenere delibato l’effettivo pagamento, potendo costituire prova solo dell’avvenuta consegna della busta paga e restando onerato il datore di lavoro, in caso di contestazione, della dimostrazione di tale evento -, sottolinea, però, che, laddove si sia in presenza di prospetti paga contenenti tutti gli elementi della retribuzione, ed altresì di una regolare dichiarazione autografa di quietanza del lavoratore (come nella fattispecie, in cui, tra l’altro, la firma non è mai stata contestata dalla prestatrice d’opera), l’onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata grava sul dipendente (cfr., Cass. nn. 9503/2015; 7310/2001; 1150/1994, citt.); prova che, nel caso di cui si tratta, come motivatamente affermato dai giudici di secondo grado, non è stata fornita dalla Z.;

che, pertanto, deve concludersi, con riferimento al primo mezzo di impugnazione, che la decisione impugnata è supportata da correttezza di metodo ed adeguata motivazione delle risultanze in fatto, quali emerse dalle prove assunte; la qual cosa ha consentito una corretta sussunzione dei fatti nelle norme da applicare, sicuramente scevra dagli errores in iudicando che la parte ricorrente lamenta;

che il secondo motivo non è meritevole di accoglimento, poichè, anche prescindendo dalla genericità delle contestazioni sollevate in merito alla valutazione delle emersioni probatorie operata dalla Corte di Appello, peraltro prive di riferimenti ad alcuna documentazione a sostegno delle deduzioni formulate e senza che venga focalizzato il momento di conflitto, rispetto ad esse, dell’accertamento concreto operato dalla Corte di merito all’esito delle risultanze istruttorie (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374 del 2015; Cass. n. 80 del 2011), il motivo tende, all’evidenza, ad una nuova valutazione delle prove – in particolare delle dichiarazioni di un teste, neppure integralmente trascritte -, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei termini specificati in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

 

 

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