Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27749 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27749 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 25739-2016 proposto da:
FAVA ADRIANA, DE PASQUALE NUNZIATA, DE PASQUALE
MARIA GRAZIA, DE PASQUALE LUCIANO, DE PASQUALE
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studio dell’avvocato PIERBIAGIO TAVANIF,LLO, rappresentati e
difesi dagli avvocati FABRIZIO ZOLI, PIETRO PAOLUCCI;

– ricorrenti contro
CAMERA COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANALE E
AGR1CORTURA DI LATINA (C.F.80004010593), in persona del
Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA VIA CRESCENZIO n.107, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 22/11/2017

STEFANO ONORATI, rappresentata e difesa dall’avvocato
ANDREA FIORE;

-controrícorrente contro

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA Via CRISTOFORO COLOMBO N.440, rappresentata e
difesa dall’avvocato FRANCO TASSONI;

-controricorrenteavverso la sentenza n. 2741/2016 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 02/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato a due motivi, Adriana Fava,
Nunziata De Pasquale, Maria Grazia De Pasquale, Luciano De
Pasquale e Lucia De Pasquale, quali eredi di Mariano De Pasquale,
hanno impugnato la sentenza della Corte di appello di Roma, in data 2
maggio 2016, che rigettava l’appello da essi proposto avverso la
decisione del Tribunale della medesima Città che, a sua volta,
respingeva la domanda, avanzata dal loro dante causa contro la CCIAA
di Latina (che era autorizzata a chiamare in causa, a fini di manleva, il
proprio assicuratore ma Assitalia S.p.A.), per conseguire il risarcimento
danni in conseguenza della mancata tempestiva cancellazione del
nominativo del De pasquale dal bollettino protesti, da cui derivava la
mancata concessione di ingente prestito bancario;
che la Corte territoriale riteneva, anzitutto, inammissibile la
richiesta di ammissione della prova testimoniale in appello (già negata
in primo grado) per non esser la stessa idonea ad evidenziare il
Ric. 2016 n. 25739 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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GENERALI ITALIA S.P.A., già INASSITALIA S.P.A., in persona

requisito della decisività, non essendo in grado di dimostrare il
pagamento della cambiale di lire 18.460.000, emessa dalla Azienda
Agricola De Pasquale, e della presentazione di istanza di cancellazione
del protesto anche per tale titolo (oltre che per l’ulteriore cambiale di
lire 30.000.000, alla cancellazione del cui protesto la Camera di

che il giudice di appello, in ogni caso, reputava infondata nel
merito la doglianza, essendo dimostrato in base alle risultanze
probatorie che la Camera di Commercio di Latina, in assenza dei
presupposti di legge, non aveva provveduto alla cancellazione
tempestiva del protesto della predetta cambiale di lire 18.460.000 in
mancanza di relativa istanza di parte;
che resistono con controricorso la CCIAA di Latina e la
Generali Italia S.p.A., già ma Assitalia S.p.A.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., è stata comunicata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di
fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della
quale ha depositato memoria la Generali Italia S.p.A.;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione
semplificata.
Considerato che:
a) con il primo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., “Vizio di motivazione per omesso esame
di fatti decisivi per il giudizio”, avendo la Corte di territoriale
erroneamente ritenuto “inammissibile l’appello oltre che infondato
perché ha considerato che la richiesta di ammissione di prova in
appello non soddisfaceva il primo requisito necessario per poter essere
valutata ammissibile”;

Ric. 2016 n. 25739 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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Commercio convenuta aveva provveduto tempestivamente);

b) con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., “Vizio di motivazione per omesso esame
di fatti decisivi per il giudizio”, avendo la Corte di territoriale
erroneamente ritenuto “irrilevante la circostanza dell’avvenuta
cancellazione in data 11.11.2003 della pubblicazione del protesto della

valore fidefacente della avvenuta cancellazione da un pubblico
registro”;
che i motivi sono inammissibili, giacché non solo in quanto non
supportati da indicazione specifica dei contenufi dei documenti
rilevanti e dalla loro localizzazione processuale, ai sensi dell’art. 366,
primo comma, n. 6, c.p.c. (e, segnatamente in relazione al primo
motivo, avuto riguardo alle prove dedotte in primo grado e alle
specifiche doglianze proposte con l’atto di appello, al fine di consentire
a questa Corte di valutare, rispettivamente, la decisività del mezzo
istruttorio e se fosse stata prospettata, come in parte in questa sede, la
superfluità dei mezzi istruttori rispetto alle allegazioni attoree: cfr., tra
le altre, n. 13730/2004 e Cass. n. 7455/2013), ma anche perché:
in relazione al primo mezzo (sub a), poiché il ricorrente
avrebbe dovuto censurare (non già l’omesso esame ex art.
360, n. 5, c.p.c., che è doglianza inconferente rispetto alla
statuizione in rito assunta dal giudice di secondo grado, ma)
semmai la ratio decidendi inerente alla inammissibilità del
motivo di gravame allora proposto, per carenza di decisività
della prova dedotta in primo grado e reiterata in appello;
in relazione al secondo mezzo, giacché esso denuncia, nella
sostanza, un vizio di motivazione non più veicolabile ai sensi
del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., posto che si evidenzia
che la Corte di appello (come in effetti risulta dalla sentenza
Ric. 2016 n. 25739 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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cambiale di L. 18.460.000″, con “conseguente mancata valutazione del

impugnata) ha esaminato il fatto della cancellazione del
protesto in data 11 novembre 2003, ritenendolo però non
conferente rispetto alla domanda di danni, giacché essa si
fondava su un dedotto illecito della CCIAA (ossia non aver
disposto la cancellazione su richiesta dell’interessato), quale

(volte a porre in risalto il valore fidefacente della comunque
disposta cancellazione) non colgono affatto;
che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e i ricorrenti,
in solido tra loro, condannati al pagamento, in favore delle parti
controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate
in dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in
solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in euro 7.000,00,
per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento,
agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma

quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a nonna del comma 1 bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 19 settembre
2017.

ragione giustificativa che le ulteriori censure del motivo

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