Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27749 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 03/12/2020), n.27749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18517-2015 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 7,

presso lo studio dell’avvocato LUCA PERONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GUIDO CELONI;

– ricorrente –

contro

F.C., in proprio, nonchè F.C. in qualità di

legale rappresentante della Società LA LOCOMOTIVA S.R.L., nonchè

P.C., tutte elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DELLE

QUATTRO FONTANE 161, presso lo studio dell’avvocato MARIA SERPIERI,

rappresentate e difese dall’avvocato FULVIO ARGONAUTA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1118/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/01/2015 r.g.n. 120/2014.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 19.1.2015, ha respinto il gravame interposto da G.R., nei confronti di F.C., in proprio e quale legale rappresentante della S.r.l. La Locomotiva, e di P.C., anch’ella quale legale rappresentante della medesima società, avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede, resa il 19.11.2013, con la quale era stata disattesa la domanda del G. – cuoco, barista e cameriere, dal 2005, alle dipendenze della S.r.l. La Locomotiva, società che gestisce il bar presso la stazione ferroviaria di (OMISSIS) -, diretta ad ottenere la condanna della società e di F.C. e P.C., quali legali rappresentanti della stessa, al pagamento della somma di Euro 97.890,59 (comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria sino al 23.11.2011) per le retribuzioni non corrisposte, oltre accessori di legge dal 24.12.2011 al saldo, nonchè al pagamento di Euro 14.000,00, oltre accessori e spese, a titolo di danno non patrimoniale conseguente al mobbing asseritamente subito;

che la Corte di merito – che ha, comunque, fondato il proprio decisum su un percorso motivazionale parzialmente diverso da quello del primo giudice -, per quanto ancora di rilievo in questa sede, ha osservato che “La decisione del Tribunale non è fondata su un mero giudizio di verosimiglianza dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni ma è ancorata alla valutazione degli elementi probatori disponibili….. Le buste paga prodotte dalla società per il periodo in contestazione sono tutte sottoscritte dal G….. “per ricevuta/quietanza”; il G. non contesta l’avvenuta sottoscrizione, ma sostiene che la stessa sarebbe stata unicamente apposta per ricevuta del documento e non anche per quietanza”, e che “è, invece, evidente che la sottoscrizione è apposta per entrambe le causali, considerato anche il fatto che, se così non fosse stato, il G. avrebbe potuto e dovuto annullare la parte della dicitura “quietanza” non corrispondente alla situazione di fatto” (v., in particolare, pagg. 10-12 della sentenza impugnata);

che per la cassazione della sentenza ricorre G.R. articolando cinque motivi, cui resistono con controricorso F.C., in proprio ed in qualità di legale rappresentante della S.r.l. La locomotiva, e P.C.;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1370 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e si deduce che i giudici di seconda istanza avrebbero erroneamente affermato che “nelle buste paga dal gennaio 2006 al marzo 2007 compare la dicitura “per ricevuta/quietanza” e dunque è evidente che la sottoscrizione è apposta per entrambe le causali” e, pertanto, “si formula il quesito di diritto se, a norma dell’art. 1370 c.c., in presenza della dicitura ambigua “per ricevuta/quietanza” sulla busta paga prestampata dal datore di lavoro La Locomotiva, la sottoscrizione del lavoratore G. sotto di essa debba interpretarsi in senso favorevole al medesimo e, quindi, nel senso che la sottoscrizione è apposta per ricevuta della busta paga e non anche per quietanza del pagamento”; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2697 e 2796 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e si lamenta che la Corte di merito, in relazione alla richiesta del G. di ordinare l’esibizione alla società datrice di determinati estratti conto, dalla cui movimentazione si sarebbe evinto che l’impresa pagava tutti i dipendenti con bonifico, abbia affermato che “Del tutto ininfluente è la modalità di pagamento dello stipendio ai dipendenti diversi dal G., posto che, essendo il G. marito della F., è plausibile che potesse essere pagato con modalità differenti da quelle adottate per gli altri dipendenti”, dalla qual cosa, a parere del ricorrente, conseguirebbe una “motivazione contraddittoria, nonchè obiettivamente incomprensibile e dunque nulla ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, avendo invece La Locomotiva dichiarato di aver sempre pagato in contanti gli stipendi a tutti i dipendenti (incluso il G.), salvo il bonifico di alcuni saldi, ma non ha assolto all’onere di provare tale assunto”; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 36 Cost. e art. 2729 c.c. ed al riguardo, si afferma che i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che “Nelle buste paga successive (dall’aprile 2007 al dicembre 2011) la dicitura “per ricevuta/quietanza” non compare più ma non vi è motivo per ritenere che, da quel momento in poi, la sottoscrizione (pacificamente apposta fino a quel momento per entrambe le causali) sia stata apposta unicamente per ricevuta del documento e non invece con la duplice valenza da lungo tempo attribuita dalle parti a tale sottoscrizione, considerato anche il fatto (del tutto singolare, pure nell’ambito di un rapporto di coniugio) che fino al promovimento della presente causa (giugno 2012) non risulta che il G. mai abbia rivendicato alcunchè a titolo di retribuzioni asseritamente non pagate per il periodo aprile 2007/dicembre 2009 (pacifico essendo il pagamento delle retribuzioni con bonifico a partire dal gennaio 2010 per un complessivo importo di Euro 28.304,00, allegato dallo stesso G.). A partire dall’aprile 2007 il G., se davvero non fosse stato pagato, essendo consapevole della consuetudinaria duplice causale attribuita alla sottoscrizione delle buste paga, ben avrebbe potuto rifiutare di sottoscrivere, cosa che non ha fatto”; 4) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 420 e 421 c.p.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ed in merito, “si formula il quesito di diritto se, a norma degli artt. 420 e 421 c.p.c. la produzione di documenti di G. all’udienza del 2 ottobre 2013, in assenza di specifica opposizione di F. e La Locomotiva o, comunque, prescindendo da tale contestazione, debba ritenersi ammissibile”, lamentando, inoltre, che “la motivazione è contraddittoria nonchè obiettivamente incomprensibile e dunque nulla ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, laddove la Corte di Appello di Torino ha ritenuto che la inammissibilità della produzione documentale del lavoratore fosse stata eccepita dalla società per tardività”, 5) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, perchè i giudici di seconda istanza avrebbero errato nel non ritenere non specificamente contestato il fatto che parte delle somme che il G. incassava dall’affitto di azienda e dalla madre gli fossero versati in contanti sul suo conto, mentre “ha erroneamente e contraddittoriamente ritenuto che, siccome risultano alcuni bonifici dall’affittuario e dalla madre, tutti i versamenti in contanti si dovrebbero riferire agli stipendi”;

che il primo motivo non è fondato, stante l’inconferenza della norma che si assume violata (art. 1370 c.c.) in relazione alla fattispecie. Ed invero, al riguardo è, innanzitutto, da premettere che la Corte territoriale è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn. 13150/2016; 9503/2015; 10193/2002; 9588/2001; 7310/2001; 1150/1994) -, secondo cui, posto che è onere del datore di lavoro di consegnare ai propri dipendenti i prospetti contenenti tutti gli elementi della retribuzione (e ciò, in conformità del disposto anche della L. n. 4 del 1953, artt. 1 e 3) – e che, comunque, i detti prospetti, anche se eventualmente sottoscritti dal prestatore d’opera con la formula “per ricevuta”, non sono sufficienti per ritenere delibato l’effettivo pagamento, potendo gli stessi costituire prova solo dell’avvenuta consegna della busta paga e restando onerato il datore di lavoro, in caso di contestazione, della dimostrazione di tale evento -, laddove si sia, però, in presenza di prospetti paga contenenti tutti gli elementi della retribuzione, ed altresì di una regolare dichiarazione autografa di quietanza del lavoratore (come nella fattispecie, in cui, tra l’altro, la firma non è mai stata contestata dal prestatore d’opera), l’onere della prova della non corrispondenza tra le annotazioni della busta paga e la retribuzione effettivamente erogata grava sul dipendente (cfr., Cass. nn. 9503/2015; 7310/2001; 1150/1994, citt.); prova che, nel caso di cui si tratta, come motivatamente affermato dai giudici di secondo grado, non è stata fornita dal G.;

che, fatte queste premesse, va, altresì, sottolineato che il principio in base al quale, ai sensi dell’art. 1370 c.c., le clausole contrattuali che pongono in essere condizioni generali di contratto (ovvero inserite in moduli o formulari) si interpretano, nel dubbio, contro chi ha predisposto tale clausola, ossia a favore del contraente più debole (interpretazione contro il predisponente), non vale nelle ipotesi di contratti stipulati individualmente, ma solo in quella di contratto concluso mediante moduli o formulari, predisposti da uno dei contraenti e da sottoporre ad una pluralità di eventuali controparti, le quali non hanno alcun potere di influenzare il contenuto del contratto (cfr., tra le altre, Cass. n. 3392/2001);

che, inoltre, all’evidenza, nel caso di cui si discute, non si versa in una delle ipotesi previste dall’art. 1370 c.c., poichè la dicitura “per ricevuta/quietanza” da fare sottoscrivere al lavoratore non è assimilabile ad una clausola inserita nelle condizioni generali di contratto, o in moduli o formulari, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. – che disciplinano i c.d. contratti per adesione trattandosi, peraltro, nel caso di specie, vb una ipotesi di contratto individuale di lavoro ed avendo, come sottolineato dai giudici di merito, il dipendente la possibilità di annullare la parte della dicitura “per quietanza”, laddove non corrispondente alla situazione di fatto;

che, pertanto, deve concludersi, con riferimento al primo mezzo di impugnazione, che la decisione impugnata è supportata da correttezza di metodo ed adeguata motivazione delle risultanze in fatto, quali emerse dalle prove assunte; la qual cosa ha consentito una corretta sussunzione dei fatti nelle norme da applicare, sicuramente scevra dagli errores in iudicando che la parte ricorrente lamenta;

che, infine, la censura relativa alla violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, sollevata in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è rimasta soltanto enunciata senza alcuna specificazione in merito; per quanto, poi, attiene ai quesiti di diritto formulati in tutti e cinque i mezzi di impugnazione, si rileva che l’art. 366-bis codice di rito, inserito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 è stato abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), le cui disposizioni, ai sensi dell’art. 58, comma 5 medesima legge, “si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per Cassazione è stato pubblicato, ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”. Per la qual cosa, poichè la sentenza oggetto del presente giudizio è stata pubblicata il 19.1.2015, il ricorso per la cassazione della stessa non necessitava più della formulazione dei quesiti;

che il secondo ed il terzo motivo – da trattare congiuntamente per ragioni di connessione – non sono meritevoli di accoglimento, poichè, anche prescindendo dalla genericità delle contestazioni sollevate in merito alla valutazione delle emersioni probatorie operata dalla Corte di Appello, prive, tra l’altro, di riferimenti ad alcuna documentazione a sostegno delle deduzioni formulate e senza che venga focalizzato il momento di conflitto, rispetto ad esse, dell’accertamento concreto operato dalla Corte di merito all’esito delle risultanze istruttorie (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374 del 2015; Cass. n. 80 del 2011), i medesimi tendono, all’evidenza, ad una nuova valutazione delle prove pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014). E, del resto, i giudici di secondo grado hanno messo in evidenza (si vedano, in particolare, le pagg. 11-13 della sentenza impugnata) che il G., oltre a non avere mai annullato la dicitura “per quietanza”, “non ha mai rivendicato alcunchè a titolo di retribuzioni asseritamente non pagate per il periodo aprile 2007/dicembre 2009 (pacifico essendo il pagamento delle retribuzioni con bonifico a partire dal gennaio 2010 per un complessivo importo di Euro 28.304,00, allegato dallo stesso G.. E a partire dall’aprile 2007, se davvero non fosse stato pagato, essendo consapevole della consuetudinaria duplice causale attribuita alla sottoscrizione delle buste paga, ben avrebbe potuto rifiutare di sottoscriverle, cosa che non ha fatto”; infine, nella sentenza impugnata, si dà atto (v. pagg. 12 e 13) dei numerosi elementi delibatori dai quali si evince con chiarezza “che il G. abbia ricevuto (in contanti) le retribuzioni che rivendica in causa)”;

che, infine, le doglianze inerenti alla violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, – che, nella sostanza, censurano “vizi di motivazione per travisamento dei fatti”, nonchè una “motivazione contraddittoria”, asseritamente posta a fondamento della decisione impugnata – risultano prive di pregio, a causa della non conferenza del parametro normativo che si assume violato. Ed invero, nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia, in concreto, il vizio motivazionale non indica il fatto storico (cfr. Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare”, in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione”, non potendosi configurare, nella fattispecie, un caso di motivazione apparente o di mancanza di motivazione, da cui conseguirebbe la non idoneità della sentenza a consentire il controllo delle ragioni poste a fondamento della stessa, dato che la Corte di merito è pervenuta alla decisione oggetto del giudizio di legittimità con argomentazioni analitiche e del tutto condivisibili e scevre da vizi logico-giuridici;

che il quarto motivo non è fondato poichè attiene ad una questione riguardo alla quale il ricorrente non specifica se sia stata riproposta dinanzi alla Corte di merito e, dunque, appare nuova nel presente giudizio (al riguardo, si veda anche pagg. 16 e 18 del controricorso); il G., peraltro, non ha prodotto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, nè il ricorso in appello, dai quali potesse eventualmente evincersi il contrario; e ciò, in violazione del principio più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013); per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza;

che neppure il quinto motivo può essere accolto, perchè prospetta una questione in ordine alla quale il ricorrente non precisa se sia stata proposta in primo grado (e riproposta in sede di gravame); e, dunque, appare nuova in questa sede;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei termini specificati in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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