Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27746 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27746 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 23962-2016 proposto da:
BARBERINI MARIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
GRACCHI 209, presso lo studio dell’avvocato CESARE CARDONI,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE EUGENIO
LOZUPONE;

– ricorrente contro
ERGO PREVIDENZA S.P.A., in persona del procuratore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA
MARGHERITA N.42, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI
MUZI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIORGIO RUSCONI, FRANCESCO RUSCONI;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 22/11/2017

avverso la sentenza n. 780/2016 del TRIBUNALE di RIMINI,
depositata il 31/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato a quattro motivi, Mario

maggio 2016, che ne ha rigettato l’opposizione (qualificata come agli atti
esecutivi, ex art. 617 cod. proc. civ.) avverso i pignoramenti presso terzi
(ovvero presso la Banca Romagna Est, che presso la Banca Carim)
eseguiti dalla Ergo Previdenza S.p.A., ciascuno per euro 12.999,45;
che resiste con controricorso la Ergo Previdenza S.p.A.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., è stata comunicata ai difensori di entrambe le parti, unitamente al
decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità
della quale sia il ricorrente, la società controricorrente, hanno depositato
memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione
semplificata.

Considerato, preliminarmente, che — come rileva il Collegio ad
integrazione delle condivise indicazioni della proposta del relatore — il
ricorso si palesa inammissibile per mancato rispetto del requisito della
esposizione sommaria dei fatti, di cui all’art. 366, primo comma n. 3,
cod. proc. civ., che richiede una esposizione tale da garantire alla Corte
di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto
sostanziale e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o
atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., S.U.,
n. 11653/2006);
che, nella specie, detta esigenza di chiarezza e completezza (che,
sebbene onere non surrogabile dalla narrazione presente nella sentenza
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Barberini ha impugnato la sentenza del Tribunale di Rimini, in data 31

impugnata, neppure da questa si consegue) non è affatto soddisfatta dal
ricorso, che, mancando di fornire contezza intelligibile del reale sviluppo

dell’iter processuale, fa dapprima riferimento ad una controversia
introdotta con atto di citazione nell’aprile 2013 (al fine di conseguire “la
nullità, l’illegittimità, l’improcedibilità dei pignoramenti eseguiti a carico

proc. civ. introdotto nell’ottobre 2012;
che, in ogni caso, in relazione ai singoli motivi di ricorso, si
osserva:
a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., omessa applicazione degli artt. 7 della legge
n. 890 del 1982 e 36, commi quater e quinquies, del d.l. n. 248 del 2007,
avendo Tribunale fatto erroneamente applicazione dell’art. 8 della citata
legge n. 890 del 1982 e, quindi, omesso di rilevare che la Ergo
Previdenza S.p.A. non aveva provveduto all’invio della seconda
raccomandata in mancanza di consegna dell’atto al destinatario, non
essendovi prova in atti del relativo cedolino di spedizione, né del relativo
avviso di ricevimento.
a.1) il motivo è inammissibile, giacché il ricorrente non individua,
né quindi censura specificamente, il presupposto di fatto da cui muove
il Tribunale nell’applicazione dell’art. 8 della legge n. 890/1982, ossia
l’attestazione dell’agente postale (assistita da fede privilegiata) della

mancata consegna del plico raccomandato per temporanea assenza del

destinatario”, che costituisce ipotesi correttamente ricondotta dallo
stesso giudice del merito alla predetta norma (e non già all’art. 7 della
medesima legge, evocato dal ricorrente). Di qui, anche la conseguente
corretta applicazione — da parte del Tribunale — del principio per cui la
notificazione a mezzo posta, qualora l’agente postale non possa
recapitare l’atto, si perfeziona, per il destinatario, trascorsi dieci giorni
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del ricorrente”) e, poi, ad un giudizio di opposizione ex art. 615 cod.

dalla data di spedizione della lettera raccomandata contenente l’avviso
della tentata notifica e la comunicazione di avvenuto deposito del piego
presso l’ufficio postale (tra le altre, Cass. n. 26088/2015), ciò di cui dà
contezza la sentenza impugnata in questa sede (cfr. p. 5 della sentenza
del Tribunale), esibendo un puntuale accertamento di fatto che neppure

cod. proc. civ., con l’evidenziazione, puntuale, del fatto storico il cui
esame sarebbe stato omesso (insistendo il ricorrente in una non
consentita rivisitazione delle emergenze istruttorie — esaminate dallo
stesso giudice del merito — in ordine all’iter notificatorio) ;
b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., falsa applicazione di legge “sotto il profilo
dell’erronea qualificazione” dell’atto di opposizione ai sensi dell’art. 617
cod. proc. civ., avendo il Tribunale, in ogni caso, errato a ritenere tardiva
una tale opposizione, essendo essa stata proposta con ricorso depositato
il 1° ottobre 2012 a fronte del primo atto di esecuzione del 26 luglio
2012;
b.1.) il motivo è inammissibile [prima ancora che manifestamente
infondato nel censurare la qualificazione dell’opposizione come agli atti
esecutivi, attenendo questa all’ipotesi, resa palese dallo stesso art. 617
cod. proc. civ., di opposizione relativa alla notificazione dell’atto di
precetto, ritenuta nulla per contrarietà al paradigma legale cui la stessa
avrebbe dovuto conformarsi (quale censura, quest’ultima, venuta meno
a seguito dello scrutinio del primo motivo di ricorso)1, giacché, là dove
si duole della affermata tardività dell’opposizione, non solo manca di
specificare i contenuti degli atti processuali su cui si fonda e di fornirne
idonea localizzazione processuale ai sensi dell’art. 366, primo comma, n.
6, cod. proc. civ., ma anche: a) perché ignora (e, dunque, non impugna
direttamente) l’accertamento di fatto su cui si fonda la sentenza
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è stato oggetto di idonea doglianza ai sensi del vigente n. 5 dell’art. 360

impugnata (ossia che il ricorso in opposizione è stato depositato

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b_ttobre 2012 non il 1° ottobre 2012, bensì il successivo 9 ottobre); b)
perché, in ogni caso, manca di impugnare la (comunque corretta) ratio

decidendi inerente alla inapplicabilità della sospensione feriale, ai sensi
degli artt. 3 della legge n. 742/1969 e 92 del r.d. n. 12/1941 (da cui la
tardività dell’opposizione anche se proposta il 1° ottobre 2012);
c) con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione di legge “sotto il profilo
dell’omessa applicazione della norma regolatrice, idonea al caso
concreto, l’art. 483 c.p.c.”, per aver il Tribunale erroneamente ritenuto
ammissibili due distinti pignoramenti presso terzi per la “doppia somma
di euro 12.999,45”, a fronte di un credito di curo 9.187,56;
c.1.) il motivo, prima ancora che manifestamente infondato (in
quanto il creditore può procedere esecutivamente, in tempi successivi,
anche su beni omogenei, oltre che su quelli di natura eterogenea – ossia
mobili, crediti e immobili -, con l’unico limite, sottoposto al controllo
del giudice, della congruità dei mezzi di esecuzione e della loro idoneità
a determinare con immediatezza l’effettiva soddisfazione del credito
fatto valere in executivis: Cass. n. 11360/2006), è inammissibile, giacché,
a seguito dello scrutinio del secondo motivo, è divenuta definitiva la ratio

decidendi della sentenza impugnata sulla tardività dell’opposizione agli
esecutivi, non potendo quindi la censura in esame, anche se in ipotesi
fosse stata fondata, condurre alla cassazione della sentenza medesima
(tra le tante, Cass n. 2108/2012);
d) con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione di legge per erronea applicazione
dell’art. 96 cod. proc. civ., per aver il Tribunale immotivamente ritenuto,
ai fini della condanna per responsabilità aggravata (curo 1.000,00, ai

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sensi del primo comma dell’art. 96 citato) “la manifesta infondatezza
delle argomentazioni svolte da parte attrice”;
d.1) il motivo è inammissibile, giacché non deduce affatto un error

in iudicando della sentenza impugnata, ma un vizio di carente
motivazione, che, peraltro, è ben lungi dal potersi ravvisare, stante la

della decisione, volta ad evidenziare l’inconsistenza dell’opposizione del
Barberini;
che la memoria depositata dal ricorrente non è in grado di scalfire
i rilievi che precedono, risultando, poi, inammissibile là dove si presenta
non già illustrativa, ma anche integrativa e/o emendativa delle ragioni di
censura;
che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente
condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come
liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del
2014;
che la declaratoria di inammissibilità del ricorso per le ragioni
innanzi evidenziate, che palesano una proposizione dell’impugnazione
basata su censure insostenibili, in contrasto con la exacta diligentia
esigibile in relazione ad una prestazione professionale altamente
qualificata come è quella dell’avvocato, in particolare se cassazionista
(tra le altre, Cass. n. 19285/2016, Cass. n. 20732/2016), comporta, ai
sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., la condanna del
ricorrente al pagamento anche della somma equitativamente
determinata in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore
della parte controricorrente, in euro 3.000,00, per compensi, oltre alle
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congruenza dell’assunto sopra trascritto e l’intero impianto motivazione

spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
curo 200,00, e agli accessori di legge;
condanna, altresì, il ricorrente al pagamento, in favore della parte
controricorrente, della somma di curo 2.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,

ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione
civile della Corte suprema di Cassazione, in data 19 settembr4 2017.

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del

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