Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27744 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27744 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 23342-2016 proposto da:

INFANTELLINA PATRIZIA, elettivamente domiciliata in ROMA
VIA ARENULA n.16, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA
DIONISI, rappresentata e difesa dall’avvocato CONCETTA
NUNNARI;
– ricorrente contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del

SUO

procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO
MAGNO n.3, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO GIANNI,
rappresentata e difesa dall’avvocato CESARE DE EABRITIIS;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 22/11/2017

avverso la sentenza n. 1561/2015 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, depositata il 14/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato a due motivi, Patrizia

in data 14 settembre 2015, che ne rigettava il gravame avverso la
decisione del Tribunale della medesima Città che, sulla domanda di
risarcimento del danno a seguito di sinistro stradale, proposta dalla
stessa Infantellina contro Giovanni Impastato e la Fondiaria Sai S.p.A.,
aveva riconosciuto la responsabilità dei convenuti, liquidato il danno
non patrimoniale nella somma capitale di euro 65.018,50, oltre
accessori, dichiarato il credito risarcitorio estinto alla data del 12
giugno 2008 e compensato per metà le spese di lite, condannando i
convenuti al pagamento della restante metà;
che resiste con controricorso la Unipolsai Assicurazioni S.p.A.,
già Fondiaria Sai S.p.A., mentre non ha svolto attività difensiva in
questa l’intimato Giovanni Impastato;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., è stata comunicata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di
fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione
semplificata.

Considerato che:
a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3 e n. 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli arti.
1226 e 2043 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente escluso la
sussistenza della prova del danno patrimoniale patito da essa
Infantellina nonostante la documentazione versata in atti dimostrasse
Ric. 2016 n. 23342 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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Infantellina ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Firenze,

”la riduzione concreta del guadagno futuro”, a prescindere dalle
risultanze della c.t.u., “nello specifico non attestanti la riduzione della
capacità lavorativa sotto il profilo medico-legale”;
b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92

nonché “omessa pronuncia su una specifica doglianza”, per aver la
Corte territoriale rigettato erroneamente le doglianze relative alla
compensazione parziale delle spese di primo grado, alla loro misura e
alla “omessa specificazione sulla parte tenuta al pagamento delle spese
di CTU”;
che entrambi i motivi (la cui esposizione dei fatti di causa,
sebbene scarna, supera il vaglio di cui al n. 3 del primo comma dell’art.
366 c.p.c.) sono inammissibili non solo perché non supportati da
indicazione specifica dei contenuti dei documenti rilevanti e dalla loro
localizzazione processuale, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6,
c.p.c. (e, quanto segnatamente al secondo motivo, in relazione alla
censura di omessa pronuncia in punto di spese di c.t.u., avuto riguardo
ai contenuti della nota spese che si assume prodotta in primo grado —
carenti anche in riferimento ai supposti errori di decurtazione di essa -,
del verbale in data 10 marzo 2011 circa la richiesta di liquidazione di
spese al c.t.u. – asserito esborso di cui non viene indicata la misura -,
della puntuale statuizione adottata dal primo giudice in punto di
regolamentazione delle spese processuali e degli stessi motivi di
gravame al riguardo proposti), ma anche perché:
quanto al primo mezzo

(sub a), giacché esso, lungi

dall’evidenziare un effettivo error in iudicando della Corte
territoriale (che, del resto, si è attenuta al principio per cui la
liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo
Ric. 2016 n. 23342 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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c.p.c., dell’art. 24 della legge 794 del 1942 e del d.m. n. 127 del 2004,

luogo, il concreto accertamento dell’ontologica esistenza di
un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul
danneggiato, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento
che l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima esatta
del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla

dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità: Cass. n.
4534/2017), critica l’accertamento in fatto operato dalla
stessa Corte sulla scorta delle risultanze processuali (p. 8
della sentenza: mancanza di prove del reddito percepito al
momento del sinistro, dell’asserita perdita di ciance
lavorative, del fatto che il recesso della committente
l’incarico per la realizzazione di lavori decorativi non
dipendesse da una propria scelta di vita o dalla decisione di
non curarsi adeguatamente), senza che venga evidenziato un
omesso esame di fatti storici decisivi e discussi tra le parti (in
base al vigente n. 5 dell’art. 360 c.p.c.), bensì soltanto
contrapponendo alla valutazione del giudice del merito quella
propria della parte;
quanto al secondo mezzo (sub b), esso è inammissibile ai
sensi dell’art. 360-bis, primo comma, n. 1, c.p.c., là dove si
duole sia della decisione sul quantum delle spese in base al
principio del decisum e non del diiputatum (avendo essa attrice
richiesto un risarcimento per oltre 2 milioni di curo), sia sulla
conferma della compensazione parziale disposta dal primo
giudice, giacché entrambe le statuizioni sono amioniche
rispetto ai principi di diritto enunciati, nei rispettivi ambiti,
da questa Corte (sul principio della liquidazione delle spese di
lite in base al decisum — già del resto desumibile, per le cause
Ric. 2016 n. 23342 sez. M3 – ud. 19-09-2017

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negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e

di danni, dall’art. 6 del d.m. n. 127 del 2004, evocato dalla
ricorrente, cfr. Cass., S.U., n. 19014/2007 e Cass. n.
12227/2015; mentre sulla circostanza che la soccombenza
reciproca, che giustifica la compensazione parziale o totale
delle spese, sia integrata anche dall’ipotesi dell’accoglimento

Cass. n. 3438/2016);
è, poi, inammissibile in relazione alla censura sulla misura
della liquidazione, in quanto essa è affatto generica, non
venendo specificato (quanto al primo profilo innanzi
richiamato) se vi sia stata (ed eventualmente in cosa si sia
concretata) una violazione dei minimi tariffari di cui al d.m.
n. 127 del 2004;
che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e la
ricorrente condannata al pagamento, in favore della parte
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate
in dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014;
che non occorre provvedere alla regolamentazione di dette
spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività
difensiva in questa sede;
che la ricorrente, in quanto ammessa al patrocinio a spese dello
Stato, non è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, stante la prenotazione a debito in ragione
dell’ammissione al predetto beneficio (tra le altre, Cass. n. 7368/2017).
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore
della parte controricorrente, in curo 8.000,00, per compensi, oltre alle
Ric. 2016 n. 23342 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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parziale della misura della pretesa svolta, cfr., tra le tante,

spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
euro 200,00, e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 19 settembre

2017.

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