Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27743 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27743 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 21252-2016 proposto da:
GIORGIA MICHELE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
RUGGERO FAURO 102, presso lo studio dell’avvocato ITALO
ROMAGNOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA
FRANCESCO PEREGO;

– ricorrente contro
FALLIMENTO PALMIERI GIOVANNI, in persona del curatore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAVIA 30, presso lo studio
dell’avvocato VALERIA CALVIELLO, rappresentato e difeso
dall’avvocato ROBERTO CATTANEO;

– controricorrente avverso la sentenza n. 2336/2016 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 10/06/2016;

Data pubblicazione: 22/11/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato a due motivi, Michele Giorgia
ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 20 aprile
2016, che aveva rigettato il gravame da egli interposto avverso la

proposta dal Fallimento Palmieri Giovanni, di annullamento ex art.
1344-1418 cod. civ. della compravendita stipulata in data 9 ottobre
2008 fra l’attuale ricorrente e Giovanni Palrnieri, accertando la natura
simulata della stessa e condannando l’acquirente all’immediata
consegna del bene immobile;
che il Tribunale evidenziava: 1) l’esistenza di pacifici rapporti di
parentela tra alienante ed acquirente e l’altrettanto pacifica esistenza di
rapporti di affari tra il convenuto Michele Giorgia, Giovanni Palmieri
ed il figlio Rocco Palmieri, aventi ad oggetto l’acquisto e l’edificazione
di un area sita in Voghera; 2) la partecipazione dell’odierno ricorrente e
dei suoi familiari unitamente a Rocco Palmieri, alla società Futura
Immobiliare s.r.1.; 3) il mancato trasferimento della residenza o della
dimora da parte dell’acquirente dell’immobile compravenduto il quale
continuava ad essere abitato dall’alienante; 4) l’immediata dazione della
somma costituente il prezzo della compravendita da Giovanni Palmieri
al figlio Rocco, allo scopo di finanziare la società Futura Immobiliare
s.r.1.; 5) la mancata prova, da parte del convenuto, dell’effettivo
versamento dell’importo di euro 90.313,32, corrisposto mediante
assegno bancario;
che la Corte territoriale confermava la decisione del giudice di
primo grado, ritenendo nullo l’atto di compravendita immobiliare in
quanto affetto da simulazione relativa che celava un contratto

Ric. 2016 n. 21252 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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decisione del Tribunale di Lecco, il quale aveva accolto la domanda,

dissimulato di garanzia, in violazione del divieto di patto commissorio,
di cui all’art. 2744 cod. civ.;
che resiste con controricorso il Fallimento Palmieri Giovanni;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., è stata comunicata ai difensori di entrambe le parti, unitamente al

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione
semplificata.

Considerato che:
a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c. p. c., violazione o falsa applicazione degli articoli 2735,
1416 e 1417 cod. civ.: la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere
possibile per il Curatore fallimentare la dimostrazione, senza limiti,
della simulazione del contratto tra le parti per mezzo di prova
testimoniale e per presunzioni, nonostante la dichiarazione di
quietanza resa dall’alienante ed opponibile allo stesso Curatore;
b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli
articoli 2744, 1418 e 1344 cod. civ., per avere la Corte territoriale
errato nel ritenere che, nella specie, i contratti stipulati da diverse parti,
pur essendo collegati nelle intenzioni delle stesse, riproducessero, in
base alla causa in concreto perseguita, il contenuto di un patto
commissorio;
che i motivi sono inammissibili, giacché — oltre ad essere
confezionati senza idonea localizzazione degli atti e documenti
processuali evocati a loro rispettivo fondamento, siccome richiesto
dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (cfr., tra le tante, Cass.
n. 7455/2013) -:

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decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

quanto al primo motivo (sub a), esso è, comunque, inammissibile
ai sensi dell’art. 360-bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., poiché la
decisione della Corte è conforme all’orientamento consolidato di
questa Corte, senza che il ricorrente offra elementi atti a indurre ad un
diverso avviso. Va difatti rammentato che “il curatore fallimentare che

bonis rappresenta la massa dei creditori, e non il fallito, sicché la
quietanza stessa non vale, nei confronti del fallimento, come
confessione stragiudiziale dell’avvenuto pagamento” (Cass. n.
23318/2012; ma anche Cass. n. 689/1997, Cass. n. 4288/2005, Cass. n.
21258/2014), quale principio che è espressamente ribadito in
motivazione dallo stesso precedente (Cass. n. 9297/2012) che è citato
(in modo, dunque, inconferente) a sostegno della doglianza;
quanto al secondo motivo

(sub b), esso è, comunque,

inammissibile, poiché, lungi dal denunciare un error in iudicando del
giudice del merito (neppure assumendosi che la relativa decisione
contrasti con i principi della materia, circa la nullità della vendita
simulata e dissimulante un contratto di mutuo assistito da garanzia
reale, siccome volta ad aggirare il divieto del patto commissorio),
rivolge le proprie critiche all’apprezzamento in fatto che è stato poi
sussunto nella complessiva fattispecie legale, prospettando non già un
omesso esame di fatto decisivo e discusso (ai sensi del vigente n. 5
dell’art. 360 cod. proc. civ.), bensì – in modo inammissibile anche sotto
il regime del previgente citato n. dell’art. 360 – una propria lettura delle
risultanze processuali e, quindi, della vicenda negoziale, per di più
secondo l’orientamento veicolato con l’atto di appello e direttamente
esaminato dalla Corte territoriale;
che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente
condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come
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deduce in giudizio la simulazione della quietanza rilasciata dal fallito in

liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55
del 2014;
che la inammissibilità del ricorso per le ragioni innanzi
evidenziate, che palesano una proposizione dell’impugnazione basata
su censure insostenibili, in contrasto con la exacta diligentia esigibile in

quella dell’avvocato, in particolare se cassazionista (tra le altre, Cass. n.
19285/2016, Cass. n. 20732/2016), comporta, ai sensi dell’art. 96,
terzo comma, cod. proc. civ., la condanna del ricorrente al pagamento
anche della somma equitativamente determinata in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore
della parte controricorrente, in euro 4.000,00, per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
curo 200,00, e agli accessori di legge;
condanna, altresì, il ricorrente al pagamento, in favore della
parte controricorrente, della somma di euro 2.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 19 settembre
2017.

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