Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27742 del 22/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27742 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 15775-2016 proposto da:
MAMAZZA GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA piazza
Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e
difeso dall’avvocato MARIAGRAZIA CARUSO;

– ricorrente Nonché da:
COMUNE DI TREMESTIERI ETNEO (RI. 00646630871), in
persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,
rappresentato e difeso dagli avvocati MATTEO FRENI, PATRIZIA
ROMANO;

– controricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 1803/2015 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA, depositata il 27/11/2015;

Data pubblicazione: 22/11/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 19/09/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato a tre motivi, Giovanni
Mamazza ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Catania,
in data 27 novembre 2015, che rigettava il gravame da egli proposto

volta, aveva respinto la domanda di condanna del Comune di
Tremestieri Etneo al risarcimento dei danni subiti dall’attore a causa
delle continue infiltrazioni d’acqua all’interno del suo stabile, adibito ad
esercizio commerciale (per attività cinematografica, bar, sala danzante,
etc.), dovute alla difettosa esecuzione dei lavori di allargamento della
via Trento ove era ubicato, avvenuti nel 1981;
che il Tribunale osservava: 1) i danni reclamati dall’attore a titolo
di danno emergente erano prescritti; 2) la domanda di risarcimento dei
danni a titolo di lucro cessante e perdita di avviamento era
inammissibile per sussistenza di precedente giudicato (Tribunale di
Catania, sentenza non definitiva n. 165 del 7 febbraio 2000 e sentenza
definitiva n. 987 del 30 luglio 2002); 3) nel giudizio definito con
sentenza n. 987/02, il petitum era stato ampliato dall’attore, facendovi
rientrare tutti i danni subiti per l’allagamento e derivanti dai lavori
effettuati dalla P. A.;
che la Corte territoriale, pur riconoscendo la natura permanente
del dedotto danno da lucro cessante in quanto connesso alla mancata
eliminazione dei vizi della strada da parte del Comune e destinato a
protrarsi sino all’effettuazione dei lavori, confermava la decisione di
rigetto delle domande risarcitorie, escludendo che i difetti della strada
avessero provocato il danno da lucro cessante sulla base di una
inequivoca dichiarazione resa dallo stesso Mamazza presso la Stazione
dei Carabinieri di Gravina, in data 29 marzo 1994;
Ric. 2016 n. 15775 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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avverso la decisione del Tribunale della medesima città, il quale, a sua

che resiste con controricorso il Comune di Tremestieri Etneo,
che ha, altresì proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico
motivo;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., è stata comunicata ai difensori di entrambe le parti, unitamente al

prossimità della quale sia il ricorrente principale, che quello incidentale,
hanno depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione
semplificata.

Considerato che:
a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt.
112, 115, 116, 244, 245, 345 e 356 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod.
civ. in relazione all’art. 2947 cod. civ., per aver la Corte territoriale
erroneamente confermato il provvedimento di mancata ammissione
della prova testimoniale richiesta in primo grado da esso Mamazza al
fine di contrastare l’eccezione di prescrizione di controparte;
a.1) il motivo è inammissibile, giacché la Corte di appello ha
adeguatamente motivato circa la negata ammissione della prova
testimoniale (evidenziando che il capitolato contrastava con le
allegazioni dell’atto di citazione, essendo quivi indicato, in relazione
all’avvenuta demolizione di arredi e attrezzature, il riferimento ad
“alcuni anni”, da intendersi come “un numero contenuto di anni”,
mentre nel capitolato si postulava una demolizione avvenuta “a
distanza di quasi quindici anni”: p. 12 sentenza appello), così da non
potersi ravvisare alcun vizio giuridico o incongruenza logica tale da
inficiare in radice il giudizio sulla superfluità della prova testimoniale
(in rapporto alle presupposte allegazioni di fatto presenti nell’atto di
Ric. 2016 n. 15775 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in

citazione), come tale soltanto sindacabile in cassazione, involgendo
esso una valutazione di fatto (tra le altre, Cass. n. 18222/2004);
b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt.
2909 cod. civ., 324 (in relazione all’art. 115), 112 e 345 cod. proc. civ.;

costituito dalle sentenze n. 987/2002 e n. 165/2000 rese nel giudizio
risarcitorio introdotto nel 1981, i danni richiesti con il presente
giudizio, riguardando quest’ultimi i pregiudizi, successivamente
manifestatasi, da danno emergente per demolizione di arredi e beni
strumentali inerenti alle attività commerciali svolte nel locale, nonché
da lucro cessante per interruzione delle attività stesse e da perdita
dell’indennità di avviamento, mentre i danni richiesti nel giudizio
iniziato nel 1981 riguardavano il mancato utilizzo del locale e i danni
da infiltrazioni d’acqua;
c) con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli
articoli 229, 115 e 116 cod. proc. civ.: il giudice del gravame avrebbe
errato nel ritenere insussistente il dedotto danno da lucro cessante
fondando il rigetto della domanda risarcitoria su una dichiarazione resa
dal Mamazza presso la Stazione dei Carabinieri di Gravina, in data 29
marzo 1994, che non poteva avere natura confessoria (in assenza dei
relativi requisiti oggettivo e soggettivo) e, in ogni caso, specificamente
contestata in sede processuale dallo stesso attore/appellante;
c.1) i motivi sono inammissibili, anzitutto perché il ricorrente,
oltre a non localizzare processualmente gli atti processuali su cui fonda
le censure (in base alla previsione dell’art. 366, primo comma, n. 6,
cod. proc. civ.), manca, quanto segnatamente al secondo motivo, di
specificare (così da poter dare idoneamente ingresso all’esame del
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per aver errato la Corte territoriale nel ritenere coperti da giudicato,

”fatto processuale” da parte di questa Corte nello scrutinio del dedotto

error in procedendo: Cass., S.U., n. 8077/2012), quali siano state, a tacer
d’altro, le conclusioni precisate nel giudizio iniziato nel 1981, così da
consentire di saggiare effettivamente (al di là di quanto riportato nella
stessa comparsa conclusionale) la portata complessiva effettiva del

che, in ogni caso, sono inammissibili (i motivi stessi), giacché,
con il terzo mezzo, da scrutinarsi prioritariamente, si deduce, anzitutto,
la violazione dell’art. 229 cod. proc. civ., che è norma inconferente
rispetto alla statuizione impugnata, posto che essa si fonda su una
confessione stragiudiziale e non già giudiziale, come ha riferimento la
predetta norma processuale. Né poteva il ricorrente limitarsi a
denunciare la sola omessa motivazione circa i requisiti della
confessione stragiudiziale ritenuta dalla Corte territoriale, senza
evidenziare quali errores in indicando avrebbe commesso il giudice di
appello, là dove, poi, sotto il profilo della motivazione, è principio
consolidato che la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha
valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale
fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal
giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione
se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione
rispetto al diritto fatto valere in giudizio (tra le tante, Cass. n.
29316/2008), tale da poter fondare il proprio convincimento anche
soltanto su di essa (tra le altre, Cass. n. 4608/2000). A tal riguardo, la
Corte territoriale ha motivato adeguatamente il proprio
apprezzamento, senza che il ricorrente abbia, peraltro, evidenziato —
tramite gli stessi stralci degli atti processuali del giudizio di primo grado
— una effettiva e diretta contestazione delle dichiarazioni rese ai

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petitton azionato in detto giudizio;

carabinieri nel 1994, ma soltanto una diversa giustificazione della
vicenda processuale;
che, inoltre, il ricorrente non ha impugnato la ratio decidendi della
sentenza impugnata secondo cui, in base all’anzidetta confessione
stragiudiziale, era da escludersi che “i difetti della strada, accertati nel

danno da lucro cessante”, ma anche (“come peraltro”) “il dedotto
danno da perdita da avviamento ed il dedotto danno emergente”. Di
qui, l’inammissibilità delle censure svolte anche con il secondo mezzo,
che non potrebbero comunque trovare accoglimento in quanto ormai
cristallizzatasi la

ratio decidendi non fatta oggetto di specifica

impugnazione;
che la memoria depositata dal ricorrente non è in grado di
scalfire le ragioni che precedono, risultando, poi, inammissibile là dove
essa si palesa non solo illustrativa delle censure svolte originariamente,
bensì integrativa e/o emendativa delle carenze del ricorso;
d) il ricorso incidentale del Comune di Tremestieri Etneo è
inammissibile per difetto di interesse, in quanto proposto dalla parte
totalmente vittoriosa in appello e diretto solo ad incidere sulla
motivazione della sentenza impugnata (tra le tante, Cass. n. 658/2015);
ciò che non consente — come richiesto dal Comune con la memoria —
la correzione della motivazione della sentenza impugnata ai sensi
dell’art. 384 cod. proc. civ. ed essendo inconferente il rilievo (anch’esso
operato con la memoria) della conversione del ricorso incidentale
inammissibile in controricorso;
che vanno, dunque, dichiarati inammissibili entrambi i ricorsi,
principale ed incidentale, con compensazione integrale delle spese del
giudizio di legittimità, in ragione della reciproca soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
Ric. 2016 n. 15775 sez. M3 – ud. 19-09-2017
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giudizio instaurato nel 1981, abbiano provocato”, non solo “il dedotto

dichiara inammissibili entrambi i ricorsi, principale ed
incidentale, e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di
legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,

dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i
rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 19 settembre
2017.

del ricorrente principale, che del ricorrente incidentale, dell’ulteriore

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